Finalmente Europa!

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea rappresenta un elemento di chiarificazione.
Le ragioni tattiche dell’adesione britannica sul finire degli anni Sessanta, quando l’impero coloniale inglese era entrato in una crisi irreversibile e passava il testimone agli Stati Uniti; le modalità "speciali" con cui essa ha partecipato al processo di integrazione europea, grazie ai cosiddetti opt-out che essa ha ottenuto; la sua prioritaria integrazione atlantica con gli Stati Uniti d’America, testimoniata da ultimo nel caso della guerra in Iraq del 2003; l’essere sede del centro di potere finanziario mondializzato della City of London, che tuttora rappresenta il vertice della finanza off-shore: tutti questi fattori hanno da sempre conferito una palese ambiguità all’europeismo britannico.
Da quando il processo di integrazione europea ha dovuto affrontare la crisi economico-finanziaria globale, la sempre crescente esposizione ai flussi migratori provenienti dal Medio Oriente allargato e la sempre più complessa relazione con la Russia di Putin, le ragioni di una permanenza della Gran Bretagna nell’Unione sono apparse sempre più deboli – cosa che i politici britannici hanno sperimentato anche a livello elettorale.
È pensabile che l’uscita del Regno Unito avrà nell’immediato conseguenze anche su altri Paesi europei, non soltanto per quelli che entrarono al suo seguito in Europa nel 1973: sarà facile per le destre cosiddette populiste far leva su questo successo anti-Unione Europea per reclamare altri referendum popolari, e magari vincerli in uno o più degli attuali membri dell’Unione. Ma non crediamo che questo sia l’elemento più significativo per il futuro.
Ciò cui assistiamo adesso è la conferma che l’intero processo di unificazione, così come concepito dai cosiddetti "padri fondatori" e attuato dalle smorte figure di leader europei nel secondo dopoguerra è un processo che non ha mai corrisposto alle vere esigenze dell’Europa. Nemmeno a questa Europa dei "grigiocrati" si può attribuire il merito di sette decenni di pace di cui il continente ha goduto, giacché fino agli anni Novanta questa pace è stata in realtà imposta dai contrapposti schieramenti della Guerra Fredda; dopo, la nostra pace stata assicurata dal predominio militare atlantico a livello mondiale, a spese di altri popoli. In tutto questo l’Europa non ha mai saputo svolgere alcun ruolo autonomo, venendo anzi posta nell’angolo ogni volta che ha inteso manifestare una propria diversa volontà.
Il processo di unificazione europea fondato sui rapporti economici del capitalismo finanziario occidentale, come viene ad esempio magistralmente narrato nelle memorie di un Jean Monnet, non è stato in realtà capace di coinvolgere i popoli europei; poiché non è in grado di cogliere l’identità europea nei suoi elementi essenziali, che non possono che essere di natura ideale, culturale e storica. Un’effettiva unificazione dell’Europa passa quindi necessariamente per la capacità di unificare spiritualmente le tre grandi forze costitutive della nostra storia comune: quelle dei popoli germanici, neo-latini e slavi.
Così come l’impero asburgico mancò a questo compito, che per certi aspetti prefigurava in essenza proprio i problemi che l’Europa ha dovuto affrontare dopo il 1945; così come la Germania non fu capace, basandosi sulla statolatria prussiana, di conciliare le diverse anime dell’articolata spiritualità mitteleuropea, e si trovò alla fine sempre ridotta al puro uso della forza militare; così, il tentativo di unificazione, ispirato dalle potenze occidentali e basato sulla pura forza del denaro, è destinato al fallimento.
In questo senso, per quanto grandi siano i pericoli negli anni a venire di una destabilizzazione politica, sociale ed economica dell’Europa qualora l’Unione dovesse progressivamente disgregarsi, occorre guardare positivamente al processo storico che si avvia da oggi. Infatti, è questa l’occasione finalmente di ripensare interamente l’idea di Europa, in direzioni completamente diverse da quelle dei vincitori della Seconda guerra mondiale.
L’Europa si trova infatti ad affrontare per la prima volta in dimensione continentale la nuova questione sociale, come essa viene oggi riproposta ai popoli dalla crisi sistemica innescatasi nell’ultimo decennio: è un nodo storico centrale, che il XX secolo non è stato in grado di sciogliere, e che ci obbliga a ripensare integralmente le forme dell’organizzazione economica, la funzione dello Stato nazionale e il ruolo portante, nelle società moderne, delle forze dell’intelletto, della cultura e della creatività umane, quali elementi formatrici della società, oggi invece asservite anch’esse al potere del denaro.
La salutare scossa che riceviamo oggi da Brexit è occasione irripetibile non per abbandonarsi ai lamenti degli eurocrati né ai superficiali tripudi degli anti-europeisti: è un’occasione per immaginare da nuovo l’Europa unita del futuro, quella dei popoli.
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