Una Commissione d’inchiesta regionale su Banca Marche è credibile?

Dunque, sull’affaire Banca Marche potremo contare su di una Commissione d’inchiesta. Lo ha deciso il Consiglio Regionale delle Marche, su proposta della maggioranza di governo. Il fatto in sé potrebbe anche costituire una buona notizia, se non vivessimo in un Paese dove, quando non si sa che pesci pigliare, si istituisce una bella commissione d’inchiesta, un po’ come quando si apre l’immancabile "tavolo di discussione". Con la parziale eccezione della Commissione Parlamentare sulle Stragi, presieduta dall’allora sen. Giovanni Pellegrino, le infinite commissioni (è ancora attiva quella sul caso Moro), istituite sui più svariati argomenti, non hanno mai saputo individuare le responsabilità politiche di quanto accaduto.
Tornando alla Commissione Regionale su Banca Marche, il primo dubbio sull’efficacia dell’iniziativa sorge dalla lettura dell’art. 5 del Decreto Legislativo n. 180 del 2015 con cui il governo Renzi ha istituito le quattro nuove Good Banks (fra cui Nuova Banca Marche) ed ha sostanzialmente scaricato i costi delle Bad Banks sugli azionisti ed obbligazionisti subordinati, spesso ignari dei reali rischi di questi strumenti finanziari.
L’art. 5 recita: "Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della sua attività di risoluzione sono coperti da segreto d’ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministero dell’economia e delle finanze nell’esercizio delle funzioni previste dal presente decreto. Il segreto non può essere opposto all’autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini o i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente". In buona sostanza, quindi, la commissione regionale creata per accertare la verità, non potrà avere accesso ad informazioni fondamentali come quelle in possesso della Banca d’Italia.
È dal 1945 che viviamo nel Paese dei segreti e dunque non ci stupisce più di tanto che anche Renzi prosegua su questa strada, tuttavia ciò non significa che non comprendiamo la gravità di tale scelta. Rischia di essere la pietra tombale posta sulla strada della comprensione di ciò che è realmente accaduto. In che direzione si muoverà, quindi, questa benedetta commissione regionale? Aggiungiamo che questa, a differenza di alcune commissioni parlamentari, non potrà avere poteri inquirenti che, fra l’altro, si andrebbero a sovrapporre impropriamente alle indagini penali in corso, da parte della procura di Ancona. E allora? A nostro avviso, per evitare che la commissione si riveli una perdita di tempo, potrà indagare in una sola utile direzione: quella delle responsabilità politiche della Banca d’Italia, delle Fondazioni proprietarie e della politica locale.
Per ciò che riguarda la Banca d’Italia, occorrerà capire quali logiche e quali interessi l’abbiano indotta a constatare, già nel 2011, una situazione in buona parte compromessa sotto il profilo della solidità finanziaria di Banca Marche ed autorizzare, nel 2012, un aumento di capitale senza imporre una contestuale pubblica informativa sullo stato di salute della banca stessa. Ciò avrebbe messo i risparmiatori nelle condizioni di valutare meglio la rischiosità delle proprie sottoscrizioni. Nel chiedere ciò, non ci sfugge che Banca d’Italia è di proprietà non del popolo italiano ma di alcune delle stesse banche private su cui essa deve vigilare.
Sempre in merito a Banca d’Italia ed al governo, proprio due giorni fa in un’intervista sul Resto del Carlino, l’ultimo Presidente di Banca Marche prima del commissariamento, l’ex ministro della Repubblica Rainer Masera, ha rilasciato importanti dichiarazioni. In particolare ha affermato di avere proposto che, per il salvataggio di Banca Marche, così come già avvenuto per il Monte dei Paschi di Siena, fossero emessi i cosiddetti Monti Bond, cioè obbligazioni bancarie assistite dalla garanzia dello Stato. Tale proposta è stata rifiutata, perché? Non ci risulta che la situazione dei crediti di Banca Marche fosse peggiore di quella del Monte Paschi.
Ai proprietari della banca, cioè le fondazioni bancarie marchigiane, andrebbe chiesto conto della governance della banca stessa. Erano loro a nominare i consigli di amministrazione, spesso composti di membri privi di adeguata competenza bancaria, ed i collegi dei sindaci revisori. In che modo e secondo quali logiche vigilavano ed intervenivano sulla banca? Come hanno fatto a non accorgersi di ciò che stava accadendo? Il risultato è un impoverimento pesante del nostro territorio, dato che il patrimonio delle fondazioni esce drasticamente ridimensionato da ciò che è accaduto.
Infine, la politica locale. Oggi la Regione Marche propone Commissioni d’inchiesta e valuta di costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico degli ex amministratori, dunque ammette il legame fra la banca e le istituzioni locali. Ma dov’erano queste istituzioni quando la banca veniva mal gestita nel modo che oggi è emerso? Che ruolo avevano sui territori i gruppi imprenditoriali beneficiari di ingenti finanziamenti bancari, poi contestati da Banca d’Italia e autorità giudiziaria? Ecco, se saprà rispondere ad almeno alcuni di questi quesiti, la politica regionale avrà l’occasione di riscattarsi e di dare un senso autenticamente utile alla Commissione d’inchiesta, in favore dei cittadini e dei risparmiatori di questa regione.
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