Sotto una cattiva luce

C’è un libro sullo scaffale. La copertina è una sublime immagine del mare sotto nubi e cieli bagnati dal mezzogiorno. La luce è irreale e splendida, le scritte in nero tra le nubi recitano Marcello Fois, Luce Perfetta. Leggo il retro del volume per farmi un’idea della storia, una storia che ha per titolo ed immagine qualcosa di così suggestivo.
La trama pare sia questa: due amici e una donna tra loro. Mi figuro le scene di lui  lei e l’altro, qualcosa che può essere romantico e struggente, patito e passionale, vedo confliggere l’amore e l’amicizia e tutti i sentimenti puri e oscuri rimescolarsi come onde tra loro tempestose o di una quiete immensa, sopra le molte correnti. Il sentire umano nelle sue estreme forze e la vita nelle sue modeste, comuni, ma intense emozioni che la rendono grande e straordinaria ovunque pulsi. Questo mi ispira il volume, ma non ho abbastanza soldi con me e lo ripongo nello scaffale. Aggiorno la lista di libri da acquistare che tengo in nota sul telefono e mi prometto che Luce Perfetta sarà il primo di quel lungo elenco ad essere depennato con appassionata lettura, lui che sta tra Plotone Sette di Andy McNab e La certosa di Parma.
Due mesi dopo me lo faccio regalare, con grande entusiasmo e certe aspettative.
I personaggi ci sono tutti, la situazione è delineata. La lettura è scorrevole, ed anche se certi passi non mi fanno impazzire (ho alle spalle la fresca lettura de Il Gattopardo e non è facile soddisfare una certa necessità di grandezza), li calco comunque fiducioso. Sono sulle prime di quelle che mi aspetto essere le pagine di una lenta, combattuta rivendicazione d’amore, quando il libro comincia ad andarsene per i fatti suoi. Lui e lei si amano, sono amanti, ma nessuno dei due ha il coraggio di affrontare sia l’amico che il fidanzato rispettivi. E quindi ci si avvia alla festa di fidanzamento senza lottare. Già sobbalzo irrequieto, sarà che ho un carattere diverso, sarà che credo nella passione al di sopra di ogni altra capacità, tuttavia confido che l’autore abbia dato questa piega solo per rendere più sofferta la battaglia per l’oggetto desiderato nel resto del romanzo. Ma sì, queste trame un po’ torbide nel contesto sentimentale contemporaneo, questi amori un po’ maledetti e devastanti, purché trionfino gli slanci del cuore..! Ma sì si scriva pure di codeste cose! Soffrirò, ma alla fine sarà una tragedia piena di emozione.
Invece il romanzo sta proprio andando per i fatti suoi, un elemento viene presto sottratto alla complessa equazione amorosa, la vicenda si trasforma in una infelice cronaca evolutiva tra i restanti personaggi, di cui alcuni, ogni tanto, hanno il buon gusto di morire, complottare un poco, ritirarsi, accondiscendere od odiare in silenzio. Poco più di un centinaio di pagine e mi ritrovo ad osservare il deprimente compromesso che è diventata questa vita immaginata dall’autore. Costui, inoltre, cesella tutta una sottotrama sulla maledizione di una di queste due famiglie protagoniste, che, per quanto leghi il romanzo ad altri due volumi che non ho la minima intenzione di leggere, non fa altro che opprimere ulteriormente un’atmosfera già poco piacevole in maniera forzata e maniacale. Ben più odiosi, ripeto odiosi, sono gli almeno sei passi in cui i protagonisti sognano e ci viene descritto il tal sogno. In primis, ritengo le fasi oniriche un espediente molto faticoso, nel normale scorrere della lettura; lo tollero se ha particolari valenze evocative, o narratologiche, nel caso, ovvero, che debba aprire gli occhi su una parte più misteriosa della trama o sul mondo interiore dei personaggi. E comunque lo tollero singolarmente, alla sesta sequenza di sogno l’irritazione mi ottunde il cranio. Se volevo leggere di sogni mi avviavo mestamente al trattato di Freud e non leggevo un romanzo! Questa mia originale pretesa di leggere in un libro di narrativa le vicende umane dei suoi protagonisti (e non le loro elucubrazioni subconsce)! Ad ogni modo, pur intuendo un qualche tentativo pretenziosamente intellettuale nei resoconti onirici del romanzo, nella rivelazione dei quali faccio a meno di applicarmi, proseguo.
Infelice idea. I personaggi degenerano. Non in maniera eclatante, cosa che come espressione di una potenza interiore avrei accettato, ma sottilmente, in maniera morbosa e strisciante.
Prima di questo libro mi ero avventurato per Non ti muovere di Margaret Mazzantini, che, nella sua originale espressione letteraria, degna di rispetto e niente affatto spiacevole, pure avevo dovuto abbandonare, perché incapace di proseguire e sopportare, appunto, certe morbosità dei suoi personaggi. Fois me l’ha ricordata, con meno talento letterario. Senza una prosa allo stesso livello, egli non ci risparmia quella vena folle e sudicia di tormentati ed insani conflitti celebrali, quali un antico sentimento di rivalsa, un masochistico senso di colpa… Fino a che mi ritrovo a leggere di uno dei personaggi, quello che sembra essere l’unico (e non lo è) privo di slanci passionali o eroici, alti o supremi, insomma, il personaggio che è un "normale" uomo qualsiasi, con progetti e desideri nella norma, che rivela il suo lato perverso e si lascia frustare violentemente sul gluteo per sfogare una repressa problematicità… Lì, ho perso ogni speranza. Ma non ho preso a frustarmi da nessuna parte.
Giungo oltre la metà decisamente annoiato e sconfortato. La sola cosa che mi spinge verso la fine del volume è la dura e precisa recensione che mi prospetto di redigere e che voi, ora, state leggendo. Così termino il racconto dopo una inaspettata rivelazione (che forse era solo frutto di una mia lettura poco gradita od ad una arzigogolata architettura dell’autore), seguendo un vero e proprio colpo di scena (il quale, visto il generale andazzo, non mi ha permesso di nutrire altre speranze per la resurrezione del romanzo) fino al, secondo me, prevedibile secondo colpo di scena (atteso per troppe pagine) il quale non manca di annegare nel veleno amaro di una soluzione finale di gratuita infelicità.
Non so cosa volesse dire il sig. Marcello Fois con questa sua opera, e di certo non ho apprezzato passaggi intellettuali, volti ad esporre punti di vista e celebralità senza grazia né sincere aspirazioni poetiche (che almeno nel tentativo, ne avremmo perdonato l’esito). Di tutto questo io, però, lo perdono, perché non sono un’autorità letteraria e seguo solo le leggi personali del gusto e del cuore, perché lui ha compiuto la sua opera ed io ancora no, perché Fois aveva in mente una storia e questa storia non era priva di originalità.

Una cosa, però, la trovo imperdonabile.
Come molti artisti, letterati, autori di età contemporanea, anche questo non si è risparmiato di mostrare un’umanità senza valori, solo preconcetti, senza rettitudine morale, solo caratteri, senz’anima, solo un confuso motore delle loro azioni. Ci mostra personaggi incapaci di lottare spassionatamente per qualcosa che amano, e però facili alle bassezze e ciechi nello slancio delle stesse.
A questo punto mi chiedo se gli editori rivolgono i loro sforzi alla pubblicazione sempre maggiore di storie simili venalmente sperando nelle vendite copiose spinte dalla follia moderna, che fa di titoli immeritevoli dei successi mondiali. Allora mi rincuora sapere che solo il 35,6% della popolazione italiana (dati ISTAT) ha comprato almeno un libro in un anno. Magari agli  altri capiterà tra le mani qualche sano volume dell’ottocento dagli scaffali di casa, dei loro genitori o nonni, magari si leggeranno cose come quelle, che si rivendono i pensieri degli altri secoli, e questi vaneggiatori di oggi andranno ad estinguersi dalla memoria nel giro di una generazione.
Questo penso perché nell’umanità che odiernamente ci raccontano io non mi riconosco e nemmeno nei miei incubi mi ci sogno. Non credo nemmeno che meriti tanto ampia celebrazione letteraria.
Se poi mi sbaglio, se poi sono io a ritenermi superbamente più sano, se nel mondo davvero si ha necessità di più di due autori al massimo che descrivano in questo modo l’essere umano, allora forse non vale nemmeno più la pena fare della letteratura.

Print Friendly, PDF & Email