I Vespri Fiumani, 6 luglio 1919

Il 29 ottobre 1918 la città istriana di Fiume era stata occupata dai serbi e dai serbo-fili del Comitato croato-sloveno. Ma il 30 ottobre 1918 l’organismo rappresentativo della città – il Consiglio Nazionale italiano di Fiume – aveva invece proclamato l’annessione al Regno d’Italia, invocando esplicitamente il principio di autodeterminazione dei popoli ed i Quattordici Punti di Wilson.

Il puzzle dalmatico

Anche in questo caso, difronte alle condizioni reali, si sarebbe tragicamente verificata tutta l’astrattezza della proclamazioni wilsoniane. Il censimento del 1910 vedeva infatti la presenza nella città di oltre 24mila italiani, rispetto ai circa 13mila croati.
In un tanto complesso puzzle etnico-culturale come quello adriatico-balcanico, del resto, il principio di autodeterminazione non sarebbe mai stato applicato alle popolazioni del nascente Regno Serbo-Croato-Sloveno: non solo nel caso di Fiume, ma nemmeno in Dalmazia e neppure con le popolazioni croate, slovene, montenegrine, macedoni, kosovare, bosniache – prodromi di ulteriori conflitti, come ben sappiamo.

Il Consiglio Nazionale italiano di Fiume invocava a questo punto l’aiuto del governo italiano che il 4 novembre inviava a Fiume l’incrociatore Emanuele Filiberto ed i caccia Stocco, Orsini e Sirtori: poi, dato il protrarsi dell’azione serba, il 17 novembre entravano nella città istriana anche 13mila soldati della III Armata del Regio Esercito.

Gli Americani, a loro volta, per evitare che la presenza italiana creasse un fait accompli ingestibile ai tavoli delle trattative, inviavano anche un loro battaglione, per caratterizzare in senso “internazionale” l’occupazione di Fiume: cosa che spingeva i Serbi ad abbandonare Fiume, su suggerimento francese.

Non per nulla, infatti, il 28 novembre anche truppe francesi, e minori unità inglesi, si installavano nella città – con una sovrapposizione di occupazioni unica nella storia diplomatica europea: per di più, il 10 dicembre, il generale francese Louis Franchet d’Esperey proclamava Fiume e Ragusa basi navali ricomprese nella sfera d’occupazione della Francia, per garantire le linee di rifornimento della propria Armée d’Orient.

Il contenzioso su Fiume spacca gli alleati

Come abbiamo già visto, la richiesta italiana di annessione di Fiume e della Dalmazia all’Italia venne respinta in maniera netta da Woodrow Wilson, che si basava sul lavoro geopolitico di The Inquiry per giustificare la propria dura ostilità alle aspirazioni italiane. Assai più prosaicamente, il premier francese George Clemenceau avrebbe risposto ai diplomatici italiani: “Fiume, c’est la lune”.

Si era aperto quindi un contrasto fra Italia e Alleati tanto grave da portare il 24 aprile 1919 al ritiro della delegazione italiana, allorché Wilson, senza preavvertire i nostri diplomatici, aveva rivolto un appello direttamente al popolo italiano invitandolo a rinunciare una volta per tutte a Fiume.

I rappresentanti italiani sarebbero rientrati a Parigi solo il 7 maggio, in occasione, come sappiamo, della presentazione delle condizioni di pace alla Germania.

La mobilitazione per Fiume in Italia

Nel frattempo, cioè fino dal 7 aprile, il Consiglio Nazionale di Fiume aveva cercato supporti politici in Italia, rivolgendosi fra gli altri a Gabriele D’Annunzio, il quale aveva sollecitato il Governo italiano a occupare la città: si era poi costituito un Comitato per le rivendicazioni nazionali con a capo Giovanni Giuriati, Benito Mussolini, con il sostegno del suo quotidiano il Popolo d’Italia, oltre appunto allo stesso Gabriele D’Annunzio.

La firma del trattato con la Germania aveva lasciato del tutto aperta la questione di Fiume, ancora affidata alle diplomazie: in vista della sistemazione della pace con i resti dell’Impero asburgico, l’agitazione da parte italiana non poteva quindi che accentuarsi, davanti alla prassi quanto meno assai discutibile con cui veniva applicato da parte alleata il principio di autodeterminazione dei popoli.

Il 30 giugno, in un incontro a Roma, D’Annunzio, Antonio Gossich, sindaco di Fiume, e Giovanni Giurati, progettarono di armare la resistenza fiumana, ipotecando gli impianti industriali e del porto di Fiume per finanziarsi; si intraprese anche l’arruolamento di volontari, appoggiandosi da una parte all’associazione irredentista Trento e Trieste, e dall’altra al Popolo d’Italia di Mussolini, che a Milano funse anche da punto di reclutamento dei volontari per la costituenda Legione Fiumana.

Nella città intanto il clima era incandescente per le continue manifestazioni a favore dell’annessione della città all’Italia, accolte con evidente ostilità da parte slava, ma anche dalle truppe Francesi di stanza nella città.

Del resto si erano già verificati incidenti fra i militari francesi e italiani a dicembre e a gennaio, così come altri scontri erano avvenuti anche con Croati e Sloveni, anche in Dalmazia intorno a Spalato, almeno da gennaio.

Ora la situazione si andava aggravando di giorno in giorno: il Comando italiano di Fiume chiese l’evacuazione delle truppe serbe, ora sotto comando francese, ma i Francesi rifiutarono di accogliere la richiesta ed anzi accusarono il comandante italiano di aver fatto aprire il fuoco il 29 giugno contro una nave che aveva a bordo prigionieri di guerra jugoslavi in procinto di sbarcare.

I Vespri Fiumani

Il 2 ed il 3 di luglio iniziavano così gli scontri che gli Italiani chiameranno “Vespri Fiumani”, riprendendo il precedente storico dei Vespri Siciliani del 30 marzo 1282, quando a Palermo il soldato francese Drouet aveva oltraggiato una dama siciliana, provocando la furiosa rivolta della popolazione isolana contro l’opprimente occupazione angioina: in questo caso, i soldati francesi vennero accusati di aver strappato le coccarde tricolori che giovani fiumane portavano appuntate sul petto.

Ovviamente, i Francesi sostengono che sarebbero stati gli Italiani ad aggredire i soldati francesi, senza che venissero poi adottati i prescritti provvedimenti disciplinari da parte dei comandi italiani.

Il 6 luglio 1919, l’episodio culminante: secondo ricostruzioni di fonte francese, dei soldati francesi isolati sarebbero stati attaccati da una pattuglia italiana, appoggiata da civili. Sarebbe poi seguito un attacco vero e proprio ai baraccamenti francesi presso i magazzini di Porto Barros, dove i soldati d’oltralpe avrebbero aperto il fuoco, ottenendo però la peggio nel conflitto a fuoco contro marinai, soldati e civili italiani intervenuti: nove sarebbero stati i caduti da parte francese; le fonti italiane parlano anche di un caduto italiano. I feriti sarebbero stati numerosi.

Questo episodio, gravissimo fra ex-alleati, portava immediatamente alla creazione di una Commissione interalleata d’inchiesta (9 luglio), le cui conclusioni avrebbero prodotto ancora un’umiliazione per l’Italia: si decisero infatti provvedimenti sanzionatori contro le truppe italiane, con conseguente obbligo di ritiro della brigata Granatieri di Sardegna, comandata dal gen. Mario Grazioli, unità d’élite che aveva dimostrato un’intensa partecipazione alla questione fiumana.

Da notare però che il 22 luglio 1919, prima ancora che la commissione d’inchiesta imponesse questo provvedimento all’Italia, il governo Nitti, probabilmente impensierito da voci di cospirazioni militari, decretava d’urgenza non solo lo scioglimento del Corpo degli Arditi, accusati di aver avuto un ruolo di primo piano nei Vespri – ma addirittura la smobilitazione della gloriosa III Armata del Regio Esercito.

Fu così che le truppe “sanzionate”, il 25 agosto, sfilando in mezzo alla popolazione che chiedeva di non essere abbandonata, lasciarono Fiume per essere accantonate a Ronchi.

La vicenda di Fiume, tuttavia, non si chiudeva qui.

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