Europa, Russia, Ucraina

Non avrei ripreso il discorso sull’Ucraina, di cui mi sono ampiamente occupato nel 2014: senza presunzione, mi sento di dire che quanto ho scritto allora mantiene integralmente la sua attualità, per cui potrei semplicemente rimandare al mio libro.

Ma lo scorso venerdì c’è stato un fatto nuovo, quasi incredibile in questa nostra Europa senza identità e senza dignità: un alto ufficiale della Marina militare tedesca ha preso una netta posizione pubblica, dichiarando alla televisione dell’India un paio di cosette che ovviamente il mainstreaming si è ben guardato dal riportare – ma che suonano del tutto fuori dal coro in questo momento.

Il vice-ammiraglio Kay-Achim Schönbach, ecco di chi si tratta, ha dichiarato: «La Crimea non c’è più, non tornerà mai più. Davvero Putin vuole incorporare una parte dell’Ucraina? (…) Questo è un nonsenso. Probabilmente il Cremlino vuole esercitare un po’ di pressione, perché Putin sa di poterlo fare. Così può dividere l’Europa. Quello che Putin vuole davvero è rispetto. È facile dargli il rispetto che vuole e che, probabilmente, merita anche».

Ha poi aggiunto che l’Europa ha bisogno della Russia contro la Cina, affrontando anche il tema religioso, pensate un po’! «Sono un cattolico. Credo in Dio e nel Cristianesimo. La Russia è un Paese cristiano, la Cina no. Noi abbiamo bisogno della Russia».

Non ha atteso che lo buttassero fuori, si è dimesso da solo.

Coscienza storica

È un segnale importante: del disagio di coloro che hanno ancora un minimo di coscienza storica, che in Europa, dopo due guerre mondiali, non dovrebbe davvero mancare.

A nostro avviso, non è l’unico militare serio in Europa che si sta domandando cosa vogliamo dalla Russia, perché la stiamo mettendo con le spalle al muro, buttandola sempre più verso l’abbraccio della Cina, del gigante asiatico che è ben lieto di avere così dalla sua parte il proprio più pericoloso vicino.

Immaginando che non tutti i lettori abbiano voglia e tempo per leggersi, o rileggersi, il libro Ucraina fra Russia e Occidente, cercherò qui di fornire un rapido aggiornamento, partendo da un concetto fondamentale, quello cioè della sostanziale continuità dei rapporti di potenza nel mondo contemporaneo, così come è stato costruito a seguito dei due grandi conflitti mondiali del XX secolo.

Il nemico: i revisionisti

In sostanza, ritengo che l’ordine mondiale che noi conosciamo è ancora retto dall’egemonia globale del mondo anglo-sassone: la rete geopolitica, economico-finanziaria, militare e culturale che copre il mondo, che Gran Bretagna prima e poi Stati Uniti d’America hanno organizzato, a partire dall’asse nord-atlantico, per includere, oltre al Canada, Australia e Nuova Zelanda.

Nel 2018, gli Stati Uniti d’America hanno pubblicato la loro periodica National Defense Strategy, nella quale si ribadisce questo concetto chiave: l’ordine mondiale scaturito dalla Seconda Guerra mondiale è ancora oggi l’asse portante di ogni loro strategia.

Senza che gli Alleati abbiano avuto nulla da eccepire, definiscono in questo documento ufficiale del governo nordamericano, Cina e Russia come “stati revisionisti”, riprendendo un termine che, nella storia contemporanea, ha un significato profondo – poiché l’Italia fascista e la Germania hitleriana furono definiti proprio come tali, revisionisti, e come tali combattuti e vinti. Non certo perché erano stati totalitari, e nemmeno perché razzisti: la Russia sovietica, alleata, era altrettanto se non più totalitaria; Britannici e WASP statunitensi non erano meno razzisti, almeno finché si trattava di neri, gialli, rossi ed europei meridionali.

Italia e Germania furono eletti nemici mortali da quando cominciarono a rimettere in discussione l’assetto di Versailles, da esse (ma in realtà non solo da esse, ma anche da Keynes e da Lloyd George…) considerato iniquo: a fare insomma i revisionisti.

Dunque, chi, allora come oggi, mette in discussione l’egemonia nord-atlantica è uno stato revisionista, come tale da considerare nemico: questo è il nocciolo, estremamente elementare ma ben chiaro, della visione di grande strategia nord-americana e atlantica. Non è dunque bastata agli Usa la caduta del comunismo per certificare il trionfo dell’Occidente liberal-capitalista ed il suo dominio mondiale: il fatto è che, in questo loro mondo, non possono esservi oppositori – in quanto non debbono più esservi revisioni dello status quo.

La tragedia dell’Ucraina

È in questo contesto che va letta la questione ucraina, quel che ho cercato di fare nel 2014 e che brevemente riassumo qui: l’Ucraina, che storicamente rappresenta uno dei nuclei principali della Russia europea, ha vissuto come popolo una delle storie più tragiche di tutta la storia mondiale del Novecento.

Due volte resasi indipendente, prima dall’impero zarista, poi dall’Urss morente; due volte invasa dalla Germania durante le due guerre mondiali; demograficamente annientata dalla politica repressiva staliniana, che ne cancellò con lo sterminio per fame (olodomor) e deportazioni di massa (kulaki) il tessuto economico-sociale e la classe dirigente non comunista. In questo modo, l’Ucraina contemporanea si è trovata su quella faglia che, conclusa la Guerra Fredda e scioltosi il blocco comunista nell’Europa orientale, la colloca oggi, come appunto ho scritto, fra Russia e Occidente. Ma stiamo parlando, cosa di cui ci dimentichiamo troppo spesso, di una Russia e di un Occidente che stanno dentro l’Europa, nel cuore antico dell’Europa, dopo la scomparsa, appunto nelle due guerre mondiali, di un’Europa mediana, centrale – quella culturalmente austro-tedesca.

Tutto della cultura ucraina, come di quella russa, ci parla di un’appartenenza del mondo slavo e cristiano ortodosso alla civiltà europea, di cui sono parte costitutiva essenziale fin dalle più lontane origini della formazione dell’Europa quale noi oggi la conosciamo: insieme al retaggio neo-latino e a quello germanico.

Ora, in evidente contrasto con questa identità essenziale, la disgregazione dell’Unione Sovietica ha offerto all’Occidente atlantico, rimasto solo vincitore sul campo, l’opportunità che esso non volle cogliere nel 1919, e tanto meno nel 1945: di avanzare cioè con una mossa decisiva nel cuore stesso della Russia, intendiamo proprio della Madre Russia, vale a dire del nucleo culturale, diciamo pure spirituale, della Russia europea.

Non è bastato all’Occidente atlantico il recupero dei Paesi slavi non russi, in particolare della Polonia, con la sua fondamentale posizione fra Germania e Russia, che tanto faceva comodo agli strateghi francesi del cordon sanitaire, contemporaneamente anti-tedesco ed anti-bolscevico, negli anni Venti del XX secolo: salvo poi guardarsi bene dallo sparare un colpo, nel settembre-ottobre 1939, quando la Germania diede la zampata risolutiva.

Ora, dopo aver approfittato della crisi di sovranità della Russia post-comunista, iniziatasi con Boris Eltsin ed a fatica arrestata da Vladimir Putin, l’Occidente atlantista aspira a porre un’ipoteca decisiva sulla Russia come grande potenza, portando la Nato nel suo cortile di casa, l’Ucraina appunto: essenziale, perché dotata di grandi risorse agricole e industriali, in una posizione strategica che chiude alla Russia l’accesso al Mediterraneo.

Lo stesso sogno che i Tedeschi perseguirono nella prima e nella seconda guerra mondiale, riuscendovi tutte e due le volte, per poi uscirne due volte sconfitti, grazie proprio alla strenua difesa che ne fece la Madre Russia.

Creare il conflitto fra Russia e Ucraina

L’Occidente ha giocato tutte le sue carte: le rivoluzioni arancioni, prima, per far saltare i rapporti di buon vicinato che si erano instaurati fra Russia e Ucraina fino ai primi anni Duemila. Poi con la fornitura di armi pesanti americane all’Ucraina, da parte del presidente Usa Donald Trump (2017). Poi addirittura con una scisma fra le due Chiese ortodosse, russa ed ucraina (2019). Nel frattempo, con un massiccio rischieramento delle forze Nato lungo tutto il perimetro europeo della Russia, da nord a sud. Quindi con la più grande esercitazione militare mai vista dalla fine della Guerra Fredda, questa primavera (Defender Europe 2021), oltre ad altre sette esercitazioni militari organizzate all’interno dell’Ucraina stessa, nonché nel Mar Nero.

Il tutto continuando a proclamare come imminente l’ingresso dall’Ucraina nella Nato, vale a dire nella maggiore organizzazione politico-militare a guida americana operativa nel mondo: rimasta in piedi nonostante la fine del comunismo, ed anzi in costante ampliamento nel numero dei propri aderenti; una Nato oramai operativa nei contesti mondiali più diversi (Medio Oriente, Afghanistan), ben oltre l’area nordatlantica per la cui difesa essa era originariamente nata nel 1949.

È ben vero che nel 2014, la Russia ha duramente reagito, occupando la Crimea (storicamente non ucraina), e sostenendo la guerra degli indipendentisti filo-russi nel Donbas: ma, pensando a come gli Stati Uniti d’America hanno da sempre agito nei Caraibi e contro Cuba, difficile non giustificare la condotta del presidente russo Putin a tutela della propria sicurezza.

È ben vero che la Russia ha giocato le sue carte politiche ed economiche: cercando di favorire governi più malleabili in Ucraina; facendo perno sulla complessa partita energetica (gas e carbone) di cui l’Ucraina, come l’Europa, hanno necessità; mostrando i muscoli di un apparato militare ben riorganizzato negli ultimi venti anni, dal quale del resto gli occidentali hanno tratto notevoli vantaggi nella lotta contro l’Isis e nel recupero di un minimo di stabilità in Siria.

È ben vero che la Russia ha trovato una non semplicissima alleanza con la Cina, dalla quale pure la dividono secoli di conflitti e di reciproche interferenze: a parte qualche non superficiale affinità per chi ricorda il “dispotismo asiatico”, il cui modello statuale la Russia ha per certi versi spesso condiviso.

Europa e Russia

Ma quello che l’ammiraglio Schönbach ha detto, dal punto di vista europeo, è assolutamente esatto: che interesse abbiamo a spingere la Russia nelle braccia della Cina? a farne un Paese asiatico, dopo che si è faticosamente liberata, da non più di tre quattro secoli, della presenza tartara?

Davanti alla potente e ovvia ripresa del mondo asiatico, un’Europa che tenesse ad un minimo di equilibrio planetario dovrebbe pacatamente sostenere il duplice, delicatissimo ruolo, europeo ed asiatico, di una Russia che già ai primi del Novecento fu la prima potenza europea a sperimentare a prezzo carissimo sulla sua pelle, nella rovinosa guerra russo-giapponese, quello che i popoli asiatici, modernizzati e motivati, possono compiere.

Farne un partner essenziale nella costruzione di un’Europa degna di questo nome, con l’apporto di una ricchissima cultura slava e ortodossa, ancor più importante, in realtà, per il nostro equilibrio futuro, delle sue risorse energetiche strategiche.

Farne un prezioso alleato nel contenimento di quelle ambizioni cinesi che potrebbero un giorno non troppo lontano dimostrarsi eccessive, pericolose per l’equilibrio di aree fondamentali: l’Asia Centrale, il Medio Oriente allargato, l’Africa.

L’intento anglo-sassone è estremamente ottuso, pur nella sua insidiosità: l’idea è quella di indebolire la Russia, per accerchiare la Cina. Partire dalla comoda pedina Ucraina, per riaffermare la potenza della Nato, uscita fresca fresca dall’incredibile batosta dell’Afghanistan, un’altra delle prove dell’assenza di coscienza storica degli Stati Uniti.

Pensare di indebolire così la Russia, magari spingendola nel solito angolo chiuso di sanzioni ed esclusioni: per poi indebolirne la leadership, in attesa della scomparsa di Putin, magari fomentando l’emergere di qualche scriteriata figura, come quella di un secondo Eltsin.

Ottusità liberal-capitalista

Una strategia che in realtà dimostra come il mondo anglo-sassone si stia avvolgendo su stesso, incapace di una lettura più avanzata della storia e del futuro. E questo perché il liberal-capitalismo occidentale non riesce a concepire una sua trasformazione, mentre è paradossalmente tentato da quel capitalismo di Stato che la Cina incarna tanto bene e che sembra così funzionale al mantenimento del tradizionale concetto delle politiche di potenza e di ragion di Stato.

L’Europa, nonostante tutta la sua manifesta impotenza spirituale e strategica, ha tuttavia nel suo Dna il senso di quello che è il nostro presente, perché ha vissuto così intensamente, tragicamente, sanguinosamente il suo passato.

Deve solo trovare il coraggio civile di ricominciare a parlarne, anzi di gridarlo al mondo, per prima cosa agli arroganti servi sciocchi dell’élite mondialista anglo-americana.

Non possiamo quindi che augurarci che nei prossimi mesi molti altri Schönbach trovino il coraggio di dire la loro: forte e chiaro. Prima che sia troppo tardi.

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