Politica estera di sicurezza comune europea: utopia o possibilità concreta?

Tutti noi sappiamo che l’Unione Europea è un’organizzazione regionale di carattere sovranazionale ed intergovernativo che ha tra i suoi scopi fondanti la creazione di politiche di intervento comuni. Tali politiche spaziano in numerosi campi, dall’economia all’agricoltura, dalla pesca al commercio, dalla concorrenza alla difesa, passando per la politica estera.
Difesa e politica estera, in modo particolare, costituiscono un punto dolente per l’UE. Partiamo con un excursus storico: l’idea che una posizione comune in fatto di politica estera fosse necessaria risale al 1970, anno di introduzione della CPE – Cooperazione Politica Europea. L’obiettivo primario che tale cooperazione si poneva consisteva nella consultazione in fatto di politica estera tra gli Stati membri per prendere – ove possibile – una posizione comune nelle organizzazioni internazionali.
Tale cooperazione venne poi sostituita mediante la ratifica del Trattato di Maastricht del 1992 nella PESC – Politica Europea e di Sicurezza Comune. Il Trattato è strutturato fondamentalmente in tre pilastri, un modo alternativo di distinguere le tre aree fondamentali sulle quali avrebbe dovuto poggiare l’intera struttura comunitaria:
1) Comunità europea, ovvero un mercato comune europeo, l’unione economica e monetaria e la politica energetica (carbone, acciaio ed energia atomica);
2) Politica estera e di sicurezza comune;
3) Affari interni e giustizia, ovvero uno spazio comune europeo di libertà, sicurezza e giustizia.
Questo è sufficiente per cogliere l’importanza della PESC sin dalla stesura del Trattato di Maastricht: la politica estera e di sicurezza comune costituisce uno dei tre pilastri su cui l’intera Unione Europea avrebbe poggiato. La scelta di dare un peso così rilevante alla politica estera comune è dipeso certamente dal particolare periodo storico vissuto: la guerra fredda era terminata da pochissimi anni ed erano in corso cambiamenti di natura geopolitica che l’UE intendeva gestire in modo efficace, e ciò sarebbe stato possibile esclusivamente parlando con un’unica voce all’interno dei consessi internazionali in cui si sarebbe discusso di tali cambiamenti.
Successivamente, nel 1999 (data in cui è entrato in vigore il Trattato di Amsterdam) sono stati adottati ulteriori interventi di rafforzamento della PESC, mediante la creazione della figura dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, carica ricoperta fino al 2009 da Javier Solana. La diplomazia internazionale ha positivamente accolto l’introduzione di tale figura, in modo particolare l’Amministrazione Clinton nella primavera del 2000, ha soprannominato Solana Mr. Europa sottolineando il fatto che Solana rappresentava la concretizzazione del desiderio di Henry Kissinger di avere un unico referente da contattare per parlare con l’Europa.
Dieci anni dopo, nel 2009, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha apportato modifiche significative alla figura dell’Alto rappresentante, ivi compresa la ridenominazione della carica (da Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune a quella di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ruolo ricoperto da Catherine Ashton, ancora in carica). Di seguito le principali competenze:

  • Guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione,
  • Contribuisce con proposte alla sua elaborazione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio;
  • Assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione;
  • Presiede il Consiglio "Affari esteri";
  • È uno dei Vicepresidenti della Commissione;
  • Rappresenta l’Unione per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune;
  • Conduce, a nome dell’Unione, il dialogo politico con i terzi;
  • Esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali ed in seno alle conferenze internazionali.(1)

Risulta dunque evidente che a tale figura l’Unione assegna una serie di compiti e di ruoli di ampio respiro. Va da sé, però, che maggiori sono i compiti ed i ruoli assegnati, maggiore complessità vi è per svolgerli. Ed il problema principale, apparentemente insormontabile, consiste nelle differenti posizioni politico-diplomatiche dei differenti Stati dell’UE: la Francia, da sempre nazionalista per natura ed orgogliosa del suo impegno militare, la Gran Bretagna, che continua a comportarsi come se fosse un impero, e la Germania, impegnata a gestire la crisi economica a livello nazionale ed internazionale, scarsamente interessata alle questioni di politica estera. A rimetterci sono soprattutto i piccoli Stati (come il Belgio), che generalmente restano inascoltati o comunque vengono sopraffatti dall’autorità imposta dagli Stati più grandi e politicamente più "ingombranti".
In linea di massima, il problema principale è costituito dal modus operandi adottato in ambito comunitario per discutere di politica estera: il "metodo comunitario" (generalmente in uso per le politiche agricole, dell’ambiente, dei trasporti, ecc.) è qui sostituito dal "metodo intergovernativo", lasciando cioè ai singoli Stati un vero e proprio potere di veto, in quanto le decisioni devono essere adottate all’unanimità.
Se cerchiamo concreti riscontri in merito, ne troviamo in quantità. Alcuni esempi: la guerra in Iraq del 2003, la guerra in Libia del 2011, il voto sulla risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU circa l’ammissione della Palestina in qualità di Stato osservatore non membro del 2012, solo per citarne alcuni. In tutte queste situazioni l’Europa non è stata capace di esprimere una posizione comune: i Paesi membri hanno preso iniziative singolarmente, in taluni casi addirittura bypassando le sedi istituzionali comunitarie.
Tradotto in poche, semplici parole, il problema è uno solo: l’UE non è ancora capace di parlare con una sola voce. Kissinger desiderava un unico numero di telefono da contattare per parlare con l’Europa, e su questo l’UE ha dato una risposta chiara e concreta. Il problema è che, a quel numero di telefono, rispondono ancora numerose voci, tutte in contrasto tra loro.

1) http://www.camera.it/leg17/1050?appro=882&La+PESC+e+la+PSDC+dopo+il+Trattato+di+Lisbona

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