Effetti Indesiderati

È palpabile la soddisfazione dei Grandi dell’Occidente per la situazione di sostanziale stallo della guerra in Ucraina, nonostante fosse facilmente prevedibile l’impossibilità di un Blietzkrieg allo stato attuale dell’arte militare, e nonostante le trattative di pace siano ovviamente assai difficili – in presenza di un evidente aggressore e di un altrettanto evidente aggredito.

L’Occidente (intendiamo con questo termine il mondo degli alleati anglo-sassoni e delle classi dirigenti che ad essi gerarchicamente subordinate) deve tuttavia essere assai cauto in questa sua evidente soddisfazione: perché essa potrebbe avere, in prospettiva storica, degli effetti indesiderati che potrebbero risultare assai gravi.

Chi perde è l’Europa

Certamente, la contrapposizione fra Ucraina e Russia, civiltà e popoli fratelli, una volta trasformatasi in sanguinoso conflitto aperto, è destinata a seminare odio, come solo la guerra moderna sa fare, imbevendosi di una propaganda che fa di ogni nemico il male assoluto. L’odio costruisce contrapposizioni che l’Europa ha ben conosciuto: ad esempio, nel famoso contenzioso fra Germania e Francia su Alsazia e Lorena. O quelle edificate in Medio Oriente: ad esempio in Palestina. Ferite che incancreniscono, rinnovando lutti e distruzioni, generazioni di esseri umani condotti alla reciproca ed insanabile ostilità.

Ma non solo questo potrebbe nascere da un prolungarsi della guerra in Ucraina.

Poco a poco, infatti, fra le persone normali, risulta evidente che le sanzioni contro la Russia non sono certo in grado di danneggiare gli oligarchi russi, mentre sicuramente rendono più dura la vita del popolo russo e creano però anche, attenzione, difficoltà non minori a tantissime aziende in Europa, nel cuore dell’Occidente. Si possono invocare tutte le più nobili ragioni, ma riesce difficile non rilevare che alla fine l’economia europea subirà colpi durissimi da questa guerra, della quale beneficeranno invece gli Stati Uniti d’America – a partire dall’enorme incremento delle sue esportazioni di gas naturale, che ne fanno da pochi mesi il maggiore esportatore mondiale1.

A quel punto risulta logico constatare un aumento della nostra dipendenza economica dall’America, mentre si chiudono promettenti mercati come, appunto, quello russo. Penoso quel tale Carlo Calenda che sere fa invitava, con fare da esperto, un nostro piccolo imprenditore calzaturiero di scarpe di fascia alta a non preoccuparsi della perdita del mercato russo, potendosi rifare a suo dire, udite udite, con quelli della Turchia e dell’Azerbaijan! Con il dovuto rispetto per questi due Paesi sovrani, sembra proprio che il Calenda non abbia proprio un’idea di cosa significa un mercato moderno…

È dunque l’Europa che viene danneggiata economicamente, che si trova la guerra sulla sua frontiera storicamente più instabile, che si vede spinta (con quanta buona fede?) ad un riarmo che accresce gli utili delle fabbriche di armi ma sicuramente pesa sui bilanci pubblici, mentre va in pezzi la stabilità geopolitica sancita dagli accordi di Helsinki del 1975 e svanisce ogni possibilità di completare il processo di unificazione del continente.

Così come nella prima e nella seconda guerra mondiale, le grandi promesse di pace, libertà e democrazia arrivate da oltre Atlantico, si sono via via trasformare in un evidente trionfo del grande capitalismo finanziario mondializzato e del grande fratello atlantico – ma per il resto ancora guerra, crisi economiche, disunione, strutturale debolezza politica, culturale e sociale in Europa.

Promesse non mantenute

Nell’est Europa, forse qualcuno comincerà anche a chiedersi quanto sia affidabile l’ombrello Nato, buono a cosa?

Non ha evitato il conflitto nella ex-Jugoslavia, non ha certo contribuito ad un pace risolutiva in Medio Oriente, è dovuta uscire con la coda fra le gambe dall’Afghanistan, non riesce nemmeno a mettere intorno a un tavolo le fazioni libiche, tanto meno l’intrico del Sahel

L’Ucraina ha inutilmente invocato la no-fly-zone, ottenendo un pilatesco lavarsene le mani. Fioriscono sofisticati sistemi d’arma Usa nelle repubbliche baltiche, in Polonia, in Romania, in Bulgaria – ma la Nato avrà mai il fegato di usarle? E se le usasse, avremmo una pace giusta e risolutiva o la reciproca distruzione dei contendenti? Se è così, allora, a che è servito l’allargamento ad est dell’Alleanza Atlantica?

Il modello occidentale, che prometteva pace, giustizia e libertà, ha mantenuto queste promesse, oppure ha semplicemente garantito l’egemonia nordamericana sul continente, senza nemmeno consentire all’Europa di stabilire un rapporto collaborativo con la Russia, una volta che essa ha ritrovato la sua stabilità dopo il crollo del comunismo?

Il modello occidentale, con le sue magnifiche vetrine e le sue mille comodità, ha fornito agli strati sociali più numerosi e meno ricchi quella sicurezza economica e sociale, quei servizi essenziali, quelle possibilità di miglioramento che prometteva?

L’Asia ci guarda

Ma vi è qualcosa che dovrebbe preoccupare ancora di più i fautori di questo Occidente interventista coi forti a parole, solo con i più deboli nei fatti. Questa è l’immagine che l’Europa prona alle scelte atlantiche sta dando alla Cina: abituata dalla sua storia a ragionare in termini di secoli e non di decenni, qualcuno pure in Cina comincerà a domandarsi se la potenza militare occidentale non sia una tigre di carta, buona ad alzare la voce nella propaganda, ad affibbiare sanzioni, ma ben poco efficace sul campo: soprattutto quando invece di tirare missili ci si devono sporcare, di fango e di sangue, gli anfibi.

Sia giusta o sbagliata, questa percezione è di per se stessa pericolosissima. Basti pensare alla questione di Taiwan, su cui non per nulla la Repubblica Popolare Cinese ha da poco ribadito la propria inalterabile volontà di riunificazione, con le buone o con le cattive. In questo caso il non intervento della Nato in Ucraina non può che risultare un segno di debolezza, oltreché una strana contraddizione con gli interventi alleati in Corea e in Vietnam, entrambi certamente né risolutivi né vittoriosi.

Parliamo di percezione cinese, ma quella da parte del Giappone potrebbe essere altrettanto preoccupata: per l’ex impero del Sol Levante, sempre più inquieto a motivo della crescente potenza economica e militare del suo storico rivale asiatico, quali rassicurazioni possono venire dalla condotta statunitense e della Nato in Europa, davanti all’aggressione russa?

Occidente e Terzo Mondo

Anche se l’espressione Terzo Mondo è decisamente sorpassata, la usiamo per indicare quel complesso e variegato insieme di nuove forze (India, Brasile) che si affermano su scala planetaria, ma anche di quella miriade di Stati “minori” che, ad esempio in Africa, sono consapevoli di quanto il loro futuro sia legato alla presenza di una o più potenze egemoni. La grande penetrazione occidentale in questo “mondo”, pur se insidiata sempre più dall’abile ed aggressiva politica cinese, fa sì che questi Paesi osservino con attenzione gli eventi europei, per almeno due importanti ragioni: la prima è di vedere se sia oggi possibile ad una potenza “seconda” come la Russia far valere le proprie ragioni con le armi; la seconda è di vedere quanto l’Occidente appunto sia davvero una forza dominante o un impero in decadenza.

Anche in questo caso, la condotta nordamericana in questo tragico conflitto potrebbe comportare una perdita di credibilità per l’Occidente, per i valori di cui si dichiara portatore, per la capacità di guida mondiale alla quale non intende rinunciare, per le prospettive di un equilibrato sviluppo del mondo globalizzato.

Un secolo di attesa

Quello che è certo è che il maggiore effetto indesiderato di quanto sta avvenendo sta nel fatto che il riproporsi di un conflitto per ragioni di nazionalità in Europa, per la terza volta nella storia del mondo (la quarta, considerando la guerra nella ex-Jugoslavia), indica con chiarezza che il modello occidentale di organizzazione politica è tragicamente superato.

Questo modello, fondato su di un’idea romanistica dello Stato e su di una visione materialistica della Nazione, impedisce all’Europa di evolvere finalmente verso forme nuove di ordinamento dei popoli, adeguate alla loro diversa, più articolata e complessa natura, in condizioni storiche completamente mutate.

Aveva parlato di Stato nuovo, probabilmente pagando con la vita questa intuizione, Walter Rathenau alla fine della Prima Guerra mondiale, nella Germania appena sconfitta – ma non era stato certo il solo, in quel 1919 ricco di idee e di stimoli nuovi, presto dimenticati, traditi, costretti al compromesso o fisicamente annientati. Sono trascorsi cento anni, ma quel nodo epocale non è stato ancora sciolto.

Eppure è questo il compito che spetta proprio all’Europa, quello che il mondo oggi attende dal nostro continente e dai nostri popoli, proprio perché è il nodo centrale della storia contemporanea, che l’Occidente non ha saputo sciogliere, pur affermando ad ogni passo di poterlo e saperlo fare.

È un argomento sul quale dovremo tornare.

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Note
  1. Ho documento questo fatto, cifre alla mano, nella nuova edizione di Ucraina fra Russia e Occidente, Edilibri, Milano, 2022