Guerra e indipendenza in Afghanistan, 1919

Sono in corso in Qatar i colloqui fra l’inviato del governo Usa, Zalmay Khalilzad, ed i rappresentanti dei guerriglieri Talebani: le ultime notizie di stampa parlano di un possibile accordo, che prevederebbe il ritiro delle truppe Usa dal Paese in cambio del cessate il fuoco e del disimpegno della sempre più indefinibile al Qaeda dall’Afghanistan.

Continuano intanto guerriglia e attentati da parte dei Talebani, che controllano oggi almeno la metà del Paese, in attesa delle ennesime elezioni, previste per settembre, che servono solo a fare apparire democratico il governo sostenuto dagli occidentali.

Il Grande Gioco

Al di là delle schermaglie diplomatiche e delle affermazioni ad uso mediatico, la gigantesca operazione bellica che gli Usa ed i loro alleati, Nato inclusa, hanno messo in piedi in Afghanistan dal dicembre del 2001 si sta per concludere con una significativa sconfitta degli Occidentali, non dissimile da quanto avvenuto agli Stati Uniti negli anni Settanta del XX secolo in Vietnam.

Può essere utile anche in questo caso tornare indietro di un secolo, dato che proprio nell’agosto del 1919 si concludeva a Rawalpindi, con l’omonimo accordo, la cosiddetta terza guerra fra Afghanistan e Gran Bretagna.

Il contesto è quello del cosiddetto Grande Gioco, che impero inglese e russo svilupparono nel corso del XIX in Asia Centrale: gli Inglesi per consolidare il proprio controllo del subcontinente indiano, i Russi per arrivare ai cosiddetti “mari caldi”.

Furono gli Inglesi a segnare i maggiori successi in questo conflitto diplomatico, spionistico ed economico: prima con il trattato di Gandamak (1879), con il quale assumevano il controllo della politica estera dell’Afghanistan, poi con l’imposizione ad esso della cosiddetta Linea Durand (1893), un confine tracciato sulla base di puri criteri strategico-militari, senza alcuna considerazione delle condizioni storiche ed etniche effettivamente esistenti sul terreno.

Nel 1907, infine, l’accordo anglo-russo determinava la spartizione dell’Asia centrale nelle rispettive zone d’influenza dei due imperi, creando un equilibrio nel quale l’Afghanistan, seppure incluso nell’area di influenza britannica, assumeva di fatto la condizione di “stato cuscinetto” fra l’India britannica e l’area di influenza centro-asiatica dell’impero zarista.

Gli effetti della Grande Guerra

Proprio come nel caso dell’India, anche in Afghanistan si pensò che la Grande Guerra mondiale dovesse portare a dei cambiamenti, tanto più alla luce delle affermazioni di principio proclamate dalle potenze dell’Intesa.

Il 28 febbraio del 1919, a seguito dell’uccisione dell’emiro Habibullah, saliva al trono afghano il figlio Hamanullah Khan, particolarmente influenzato dall’orientamento laico, nazionalista e modernista del suocero, Mahmud Tarzi (1865-1933), politico, scrittore, giornalista, appartenente all’aristocrazia pashtun di Kandahar, leader del movimento dei Giovani Afghani, che si ispirava chiaramente ai Giovani Turchi, promotori del movimento riformatore e modernizzatore nell’impero Ottomano: Tarzi fu nominato ministro degli Esteri dal nuovo sovrano.

Fu il massacro di Amritsar in India, di cui abbiamo già parlato, a suscitare lo sdegno del nuovo emiro afghano, il quale non esitò a invocare la guerra santa contro gli Inglesi, rivolgendosi ai capi tribali, due giorni dopo la strage, con le parole: “Imbracciate le armi, l’ora è giunta!”

Determinante in questo atteggiamento del giovane emiro fu senza dubbio anche il risentimento per la mancata riconoscenza degli Inglesi rispetto alla neutralità osservata rigorosamente dagli Afghani durante il conflitto, in cambio della quale ci si attendeva almeno la fine dell’ingerenza britannica nella politica estera del Paese: il viceré dell’India, Lord Chelmsford, si era invece rifiutato di rinegoziare gli accordi anglo-afghani, come era previsto accadesse all’insediamento di un nuovo emiro.

Senza dubbio giocava anche il fatto che il crollo dell’impero zarista stava mettendo in movimento tutta l’Asia centrale, nella quale al conflitto civile in atto in Russia tra “rossi” e “bianchi” si accompagnavano le spinte autonomiste dei Paesi islamici turcofoni.

La terza guerra anglo-afghana e il trattato di Rawalpindi

La guerra, scoppiata ai primi di maggio del 1919, vide il pronto impiego da parte britannica di tutte le nuove risorse belliche il cui uso era stato ben collaudato sui campi di battaglia europei: una trentina di aerei, alcuni carri armati, e consistenti forze di artiglieria pesante furono usate massicciamente contro gli Afghani, al punto che, secondo le fonti dell’epoca, una tonnellata di esplosivi sarebbe stata riversata su Jalalabad in un solo giorno.

Nonostante la resistenza offerta dagli Afghani, e i non pochi problemi che gli Inglesi ebbero anche fra le truppe dei propri contingenti locali, il 2 giugno il comandante supremo afghano, Nadir Khan, si vide costretto a chiedere il cessate il fuoco e l’apertura di trattative.

Il risultato delle trattative, formalizzate nel Trattato di Rawalpindi, sottoscritto l’8 agosto 1919,  non presentava a prima vista particolari novità: i cinque brevissimi articoli del testo avevano come tema centrale quello del ristabilimento di buoni rapporti con gli Inglesi, che sarebbero stati riesaminati a distanza di sei mesi, nonché le lievi penalizzazioni al governo afghano per la sua sconsiderata iniziativa (gli Afghani non potevano più importare armi come in passato, venivano confiscati gli arretrati dei sussidi che gli Inglesi versavano all’emiro deceduto…).

L’indipendenza afghana e la diplomazia inglese

La vera novità era tuttavia rappresentata da una lettera che il rappresentante britannico A. H. Grant si compiacque di inviare su richiesta del Ministro degli Esteri afghano, e che merita riportare qui per intero:
Mi è stata richiesta una qualche ulteriore garanzia affinché il Trattato di Pace che il Governo Britannico offre non contenga nulla che interferisca con la completa libertà dell’Afghanistan nelle questioni interne ed estere.
Caro amico, se leggerà il Trattato con attenzione, troverà che non vi è in esso nessuna interferenza con la libertà dell’Afghanistan.
Lei mi ha detto che il Governo Afgano non intende rinnovare l’accordo a seguito del quale il precedente emiro accettava di seguire senza riserve le indicazioni del Governo Britannico in politica estera. Io non ho quindi insistito su questo aspetto: e non ve n’è alcuna menzione nel Trattato.
Di conseguenza, il suddetto Trattato e questa lettera lasciano l’Afghanistan ufficialmente libero e indipendente nei suoi affari interni ed esterni.
Infine, questa guerra cancella tutti i precedenti trattati”.
In questo modo, sia pure con tutta l’ambiguità di cui è tradizionalmente capace l’abile diplomazia britannica, l’Afghanistan acquistava formalmente la propria indipendenza dall’Impero britannico.

Afghanistan indipendente e Italia

Quanto essa fosse tuttavia limitata lo si vide ben presto. Il sogno dell’indipendenza afghana ebbe un immediato importante coronamento con la realizzazione degli accordi commerciali e diplomatici che il governo afghano stabilì nel 1921 con l’Italia, prima fra le potenze occidentali.
Ma questo pieno riconoscimento dell’indipendenza del Paese centro-asiatico da parte italiana suscitò tuttavia le ire di Lord Curzon, ministro degli Esteri inglese, il quale non si peritò di osservare che la démarche italiana, che faceva seguito alla collaborazione fra Italiani e kemalisti turchi, denotava un atteggiamento della politica estera italiana ostile all’Impero britannico.
Segno evidente, come osservarono in quelle circostanze i diplomatici statunitensi, che gli Inglesi, nonostante lo storico accordo di Rawalpindi, consideravano ancora l’Afghanistan parte della loro “sfera di influenza”.

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