La rivoluzione egiziana del 1919 e i Quattordici Punti di Wilson

Si dimentica spesso  il tributo che i popoli cosiddetti di colore diedero alla vittoria alleata nella Grande Guerra: su quasi 9 milioni di mobilitati dalla Gran Bretagna, ad esempio, ben 2,7 milioni erano truppe non britanniche.

Il loro tributo di sangue fu assai alto: su 910mila caduti, 177mila infatti erano di appartenenti alle truppe coloniali. Assai scarsa fu tuttavia la riconoscenza che l’Impero britannico manifestò alle sue colonie per questo decisivo apporto, come dimostra la vicenda dell’Egitto.

I nazionalisti egiziani chiedono la fine del protettorato inglese

Il 13 novembre del 1918, pochi giorni dopo l’armistizio sul fronte occidentale, una delegazione di nazionalisti egiziani, guidata da Saad Zaghlul Pascià, si recò dall’alto commissario britannico Sir Reginald Wingate al Cairo, invocando l’indipendenza: non per nulla erano stati proclamati i Quattordici Punti.

Il governo britannico rifiutò ogni concessione, tanto meno quella di ammettere una delegazione egiziana a Parigi: al contrario, il 7 di marzo, seguendo le indicazioni di lord Balfour, sir Milne Cheetham, succeduto a Wingate, procedette all’arresto ed alla deportazione a Malta di Saad Zaghlul, Ismail Sidky, Mohammed Mahmoud e Hamad-el-Bassal.

Questo provvedimento provocò l’accendersi il 9 di marzo di un’estesa rivolta in tutto l’Egitto, nota agli Egiziani come la “prima rivoluzione”, che vide fra l’altro la collaborazione fra cristiani e musulmani, un’attiva presenza delle donne, la proclamazione di scioperi in tutto il paese, con frequenti interruzioni delle comunicazioni: le proteste videro la partecipazione di tutti i ceti sociali ed anche di numerosi esponenti politici che fino a quel momento avevano collaborato nell’amministrazione pubblica controllata dai britannici.

Particolarmente forte era il risentimento di quell’oltre mezzo milione di egiziani, tra cui moltissimi contadini, che avevano prestato servizio per i britannici come coscritti nel Labor and Camel Corps, il cui ruolo logistico nella vittoriosa campagna in Palestina era stato sicuramente molto importante.

Il 26 marzo, il generale Allenby, il celebrato vincitore della campagna appena ricordata, venne nominato alto commissario e provvide subito a fare liberare Saad Zaghlul, il quale decise di recarsi alla Conferenza di Parigi, mentre l’Egitto esprimeva un vero e proprio tripudio per questo successo delle proteste, come testimoniano i resoconti del Times di Londra di quei giorni.

Il 19 aprile, la delegazione nazionalista giunse a Parigi. Definitasi ufficialmente “deputazione nazionale egiziana”, richiedeva la completa indipendenza del Paese ed il riconoscimento di Zaglul e dei capi nazionalisti come rappresentanti della nazione egiziana. Il governo francese ebbe subito cura di informare i britannici che non avrebbe fornito alcun sostegno alla delegazione egiziana, che fu quindi ignorata dai diplomatici francesi, così come dai rappresentanti inglesi alla Conferenza.

La repressione inglese in Egitto

In Egitto intanto i disordini crescevano, con la proclamazione della legge marziale e l’impiego delle armi da parte dei britannici: il bilancio delle vittime si faceva sempre più ampio, comprendendo anche l’uccisione di 19 armeni, contro i quali si ebbero gravi episodi di intolleranza, essendo accusati dai nazionalisti più ottusi di avere supportato gli Inglesi nella repressione. Questa alla fine avrebbe determinato oltre 800 morti e 1500 feriti fra gli Egiziani, 31 vittime e 35 feriti fra gli europei, 29 uccisi e 114 feriti tra i Britannici, compresi alcuni soldati indiani.

Non restava che sperare a questo punto in una presa di posizione americana, ed infatti i manifestanti al Cairo chiesero anche di incontrare il console statunitense in quel Paese, nella speranza che Wilson applicasse quanto statuito ai punti 7 e 14 dei famosi Quattordici Punti, laddove si affermava appunto il diritto all’auto-determinazione dei popoli.

Il tradimento di Wilson

La risposta non si fece attendere. Il 21 aprile 1919, il presidente Woodrow Wilson rilasciò infatti una dichiarazione che suonava così testualmente:

«Il Presidente ed il popolo americano provano simpatia per le legittime aspirazioni del popolo egiziano all’adozione di una futura misura di auto-governo, ma deplorano il tentativo di ottenere questi diritti con l’anarchia e la violenza».

Si riconosceva quindi il protettorato inglese come presidio dell’ordine nel Paese, così come si giocava con le parole auto-governo in luogo di auto-determinazione, cose ovviamente ben diverse fra loro.
Comprensibile che Muhammad Haykal, uno dei membri della delegazione egiziana in attesa a Marsiglia di incontrare il presidente Wilson, abbia scritto nel suo diario:

«Ecco l’uomo dei Quattordici Punti, tra i quali il diritto all’auto-determinazione, negare al popolo egiziano i suoi diritti all’auto-dterminazione e riconoscere il protettorato inglese sull’Egitto. E fare tutto questo prima che la delegazione che rappresenta il popolo egiziano sia arrivata a Parigi per sostenere le proprie richieste, e prima che il presidente Wilson abbia udita una sola parola da loro! Non è questo il più orribile dei tradimenti!? Non è questo il più totale rinnegamento di quei principi?!»

Come la storia sia finita è noto: nel 1923 la Gran Bretagna permise all’Egitto di dotarsi di una costituzione, ma mantenne il controllo del Paese, grazie anche alla propria presenza militare a Suez, un fattore chiave per la vittoria alleata nella Seconda Guerra mondiale.

Solo i Liberi Ufficiali guidati da Muhammad Negīb e Gamāl ʿAbd al-Nāsser, con il colpo di stato nazionalista del 1952, e poi con la nazionalizzazione del Canale di Suez del 1956, ottennero quell’auto-determinazione che si dimostrò essere una pura operazione propagandistica.

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