Club di Berna e nuova strategia della tensione

Elias Canetti ha scritto: “Nel segreto sta il nucleo più interno del potere”. Questo elemento del potere moderno è sempre stato scomodo per la democrazia contemporanea, al punto che un autorevole liberale come Norberto Bobbio cercò di salvare la purezza dello Stato democratico italiano coniando il termine di “doppio Stato”, quando esplose l’affare della Loggia P2.

L’impressione che oggi riceviamo, quando si approfondiscono i meccanismi con cui si conserva il potere nelle democrazie occidentali di ispirazione anglo-sassone, è che invece l’elemento occulto sia indispensabile per la conservazione del potere da parte delle classi dirigenti occidentali, in forme mai raggiunte di sofisticato utilizzo dei sistemi di intelligence, deception, infiltrazione, provocazione e manipolazione di uomini, organizzazioni, media. Non dunque un “doppio Stato” ma il cuore dello Stato, sottratto alla sovranità popolare.

Ci siamo di recente occupati del Club di Berna, e vi torniamo oggi, nella speranza che i molti interrogativi che la sua perdurante esistenza pone arrivino all’opinione pubblica anche in Italia, come già successo in Svizzera, Germania, Austria.

Club di Berna, CGT, Europol

Abbiamo già visto che il Club di Berna è un’organizzazione non istituzionale che riunisce fin dalla fine degli anni Sessanta del Novecento i servizi di sicurezza e di informazione dei Paesi occidentali, Israele compreso.

Abbiamo anche visto come della sua nascita sia stato magna pars un personaggio cardine nella storia della strategia della tensione italiana come il prefetto Federico Umberto D’Amato, per lunghi anni mente direttiva dell’Ufficio Affari riservati del Ministero degli Interni italiano, e post mortem rinviato a giudizio per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.

Sappiamo che questo organismo non solo è tuttora operativo ma si è anzi ulteriormente sviluppato, includendo i 27 Paesi membri della UE, oltre a Svizzera e Norvegia, per includere oggi i servizi di intelligence israeliani, canadesi, australiani, neozelandesi, oltre la CIA e l’FBI statunitensi.

Il Club di Berna gestisce una serie di basi di dati coordinate, relative al terrorismo islamico (Phoenix, Capriccio), a quello non islamista (Toccata), e a quello degli estremismi di destra e di sinistra (RILE).

Abbiamo ricordato come il Club di Berna abbia “generato”, probabilmente nel 2004, il Counter Terrorism Group (CGT), con il quale collaborano da allora gli organismi di polizia e di antiterrorismo europeo, come da ultimo dimostrano i rapporti annuali 2018 e 2019 di Europol, organismo di coordinamento delle polizie europee, rapporti che citano espressamente questa collaborazione, facendo riferimento ad una serie di esercitazioni ai massimo livelli.

Sappiamo anche che, dal 2016, il Club di Berna ha collocato a L’Aja, in Olanda, la propria piattaforma IT, vale a dire il centro di raccolta e coordinamento delle informazioni a sua disposizione, la cui esistenza è circondata dal massimo segreto, al punto che lo stesso direttore dei servizi di sicurezza olandesi (AIVD) non ha mai voluto fornire alcun commento al riguardo.

Soteria

Un interessante esempio del ruolo che il Club di Berna svolge nel campo strategico dell’intelligence occidentale è dimostrato dalla vicenda, emersa nel novembre 2019, relativa alle conclusioni di un’ispezione effettuata il 13 febbraio 2019 da parte del Club e di un suo più ristretto gruppo di lavoro, denominato Soteria, composto dai servizi di sicurezza di Svizzera, Germania, Gran Bretagna, Lituania.

La missione ispettiva ha avuto per oggetto i servizi informativi austriaci (BVT), che sono stati posti sotto accusa per una lunga serie di rilievi tecnici, presentati in un documento di cui è fortunosamente venuto in possesso il giornale austriaco Österreich, a sua volta posto sotto inchiesta dall’autorità giudiziaria austriaca per averne pubblicati degli estratti.

Il documento di Soteria era ovviamente coperto dal massimo segreto, come si legge nel frontespizio del rapporto, riservato ai soli Club Services, a conferma della più vasta serie di attività operative del Club.

Così, oltre a conoscere finalmente l’emblema del Club di Berna, nonché il logo del più ristretto gruppo di lavoro Soteria, qui riprodotti, veniamo a conoscenza del fatto che il Club di Berna effettua un controllo accurato sui servizi di informazione europei, potendo sollevare la bellezza di decine rilievi tecnici a quello austriaco: in merito all’utilizzo dei suoi sistemi informatici, per esempio, alle modalità di condivisione dei documenti, all’uso di un sistema antivirus a dire del Club penetrabile dai servizi russi, ecc. ecc.

Veniamo così a sapere soprattutto, ma solo a causa di una fuga di notizie, che la sicurezza dei nostri Paesi è soggetta alla supervisione di un organismo sovranazionale sul quale i nostri sistemi democratici non hanno alcuna possibilità di esercitare il benché minimo controllo.

Cosa che è stata messa in rilievo dal parlamentare della sinistra tedesca Andrj Hunko in una delle sue interrogazioni al Parlamento tedesco, rimaste per altro senza risposte soddisfacenti, in merito a queste vicende, nelle quali il politico tedesco ha affermato che è grave per una democrazia ignorare il fatto che i suoi servizi di sicurezza sono subordinati ad un super-servizio di sicurezza straniero. In barba, aggiungiamo noi, a qualsiasi residuo di una sovranità nazionale.

Per chi scrive, questa realtà non è certo muova, perché è ben noto che, dalla fine della seconda guerra mondiale, tutta l’intelligence occidentale opera sotto il diretto, stretto e costante controllo dei servizi anglo-americani, come vicende quali ad esempio quella delle rete Echelon hanno dimostrato in modo palmare. Ma occorre almeno riconoscere ad Andrj Hunko il merito ed il coraggio di avere sollevato in un parlamento nazionale la questione.

Il caso Franco A.

Avremmo potuto concludere qui questo aggiornamento, perché queste informazioni sono già di per se stesse notevolmente corpose, e bene confermano quanto Canetti aveva a suo tempo intuito sulla microfisica del potere, come l’avrebbe chiamata Charles Foucault, delle democrazie occidentali.

Ecco però che un dettaglio fornito en passant da una delle fonti che abbiamo consultato ha attirato la nostra attenzione, costringendoci ad approfondire meglio la questione.

Qualcuno dei nostri più affezionati ed attenti lettori ricorderà forse che clarissa.it, praticamente unica in Italia, si era occupata nel lontano aprile del 2017 del singolare caso di un giovane ufficiale di un reparto di élite dell’esercito tedesco, integrato fra l’altro nell’unica brigata mista franco-tedesca esistente in Europa.

Franco A. (il cognome non è mai stato reso noto) era stato fermato in quanto conduceva una singolare doppia vita, quella di militare in servizio vicino a Strasburgo e quella di profugo siriano, regolarmente registrato, come Daniel Benjamin, presso il competente ufficio profughi bavarese. Con tale identità era stato poi trovato in possesso di un’arma, che aveva cercato di nascondere, all’aeroporto civile di Vienna, e quindi fermato come sospetto terrorista.

La vicenda si era poi allargata ad altri due ufficiali dello stesso reparto, fra cui il tenente Maximilian T., il quale era stato indicato come personale referente, portaborse diremmo noi, dal parlamentare tedesco Jan Nolte, anche lui con un discreto curriculum militare, passato dalla CDU bavarese ad Alternative für Deutschland, partito come si sa di destra in Germania, che lo aveva inserito nella commissione parlamentare della difesa dopo la sua elezione al Parlamento.

Franco A., dopo sette mesi di carcere preventivo, era stato trasferito ai domiciliari, mentre per Maximilian T. non erano emerse risultanze tali da giustificarne l’arresto: anche perché, a quanto si leggeva nella stampa tedesca nell’aprile del 2018, non era stato facile per il giudice decifrare i numerosi documenti trovati al militare, nel frattempo allontanato dal servizio.

Strano attacco al BVT

Ci sembra di poter dire che l’episodio di Franco A. sia la vera causa della singolare “ispezione” che il Club di Berna ha affidato al gruppo di lavoro Soteria, nel quale, a nostro avviso non a caso, sono presenti i servizi inglese e tedesco. Ma, per confermare questo, dobbiamo introdurre un ulteriore elemento.

Infatti, proprio quando l’inchiesta giudiziaria sul caso di Franco A. era avviata su di un binario morto, in Austria, il Paese dove Franco A. era stato trovato armato all’aeroporto di Vienna, il 28 febbraio 2018 si verifica un evento che suscita enorme scalpore: l’incursione di un reparto di pronto intervento della polizia austriaca negli uffici del Bundesamt für Verfassungsschutz und Terrorismusbekämpfung (BVT), i servizi di sicurezza del ministero degli interni.

La clamorosa operazione, era ufficiosamente giustificata da sospetti di corruzione e malaffare: distrazione di fondi destinati al riscatto di ostaggi, interferenze illecite in indagini penali, archiviazione illegale di dati personali, violazione di segreti d’ufficio, violenza privata e distruzione di elementi probatori.

Accuse pesantissime, che non possono che essere partite dai massimi livelli del ministero degli Interni stesso, retto in quel momento da Herbert Kickl del Fpö, un partito notoriamente vicino alle confraternite studentesche ed all’estrema destra austriaca. Si viene a capire ben presto che l’obiettivo non era certo il buon ordine del BVT, quanto i database della sua sezione che si occupa dell’estrema destra austriaca, a quanto sembra sottratti nel corso dell’incursione.

«Può essere una semplice coincidenza il fatto che il comandante del gruppo operativo Egs [il reparto austriaco che ha condotto l’operazione] sia un noto esponente del partito di estrema destra Fpö?» si chiedeva non a torto infatti Walter Rauhe su La Stampa del 13 marzo.

La liaison austro-tedesca: Klaus-Dieter Fritsche

Il fatto ovviamente ha forte risonanza anche in Germania. Ma dobbiamo capire meglio perché.

I rapporti fra il servizio di sicurezza interno tedesco BVT e quello austriaco BfV sono comprensibilmente molto stretti. Ma lo sono a tal punto che consulente per i servizi segreti del ministero degli Interni austriaco, presieduto come si è visto da Herbert Kickl, è diventato, dopo un pensionamento anticipato avvenuto in Germania nel marzo 2018, l’ex segretario di Stato tedesco Klaus-Dieter Fritsche.

Ma cosa faceva in Germania Fritsche prima del 2018? Fritsche, dall’ottobre 1996 al novembre 2005, era stato vicepresidente dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, appunto il BfV, per intendersi proprio uno dei quattro servizi segreti che con Soteria va a rivedere le bucce al BVT austriaco; dal dicembre 2005 al dicembre 2009, era diventato capo di dipartimento e coordinatore dei servizi segreti federali. Infine era diventato il responsabile del coordinamento dei servizi segreti della Cancelleria federale, con una lunga carriera nell’ambito dei servizi. Dunque oltre vent’anni di brillante carriera trascorsi nel mondo delle cosiddette “barbe finte”, fino a diventare referente per i servizi segreti della stessa cancelliera Merkel.

Ed è proprio Fritsche che, come libero professionista, viene mandato a “consigliare” in materia di sicurezza il ministero degli Interni austriaco, e proprio quando esso è passato alla destra austriaca, e proprio dopo che era venuta fuori la questione Franco A.

In Austria, Fritsche sembra percepisse quasi novemila euro al mese per nove mesi l’anno, ed ha formalmente segnalato il suo nuovo impiego al governo federale tedesco, potenza delle coincidenze, solo il 13 febbraio 2019, proprio il giorno in cui il Club di Berna ha messo sotto indagine il BVT austriaco.

Ed il suo incarico avrebbe dovuto terminare proprio quando la plenaria del Club di Berna si è riunita a Londra, a metà ottobre 2019, per discutere la questione austriaca e quindi approvare il documento di Soteria, quello che tirava robustamente le orecchie al BVT austriaco.

Fritsche è dunque un tipico detentore di quel «nucleo più interno del potere» di cui parlava Canetti.

È stato infatti un accanito difensore delle attività più opache dei servizi segreti tedeschi, difendendoli senza mezze misure, in particolare quando essi sono stati accusati di tolleranza nei confronti dei movimenti di estrema destra, di aver eliminato le liste degli infiltrati nei gruppi estremistici (i cosiddetti V-Leuten), come nel caso della operazione Rennsteig, con la quale sono stati distrutti i fascicoli relativi agli infiltrati dei servizi tedeschi nelle organizzazioni di estrema destra in Turingia.

Prassi ben note alla storia della strategia della tensione italiana, e che Fritsche lapidariamente giustifica così:

«Es dürfen keine Staatsgeheimnisse bekannt werden, die ein Regierungshandeln unterminieren [Non deve essere reso noto nessun segreto di Stato che possa mettere in pericolo un governo]». Una frase che il “padrino” del Club di Berna, Federico Umberto D’Amato, avrebbe volentieri fatto sua.

Perché il Club di Berna interviene

Come accennato, le pur ripetute interrogazioni che Andrj Husko ha presentato al governo tedesco sulla vicenda non ottengono alcuna chiarificazione su cosa sia all’origine vuoi dell’inusitato attacco al BVT austriaco da settori del suo stesso Ministero, vuoi dell’ispezione impostagli dal Club di Berna: tantomeno sulle conseguenze di questi accadimenti per la sovranità nazionale tedesca.

L’ipotesi che noi avanziamo a questo punto, tirando le somme, è che sia l’attacco al BVT austriaco nel febbraio 2018 che l’ispezione affidata dal Club di Berna proprio a Soteria, dove operano uomini di servizi inglesi e tedeschi, sia legata all’esigenza di assicurare che nulla dei retroscena della vicenda di Franco A. possa emergere.

Essa infatti, come da noi ipotizzato già nel 2017, il caso Franco A. mostra una volta di più l’intreccio tra organismi di intelligence, strutture militari Nato ed estremismo di destra: nel quale quest’ultimo funge da utile manovalanza, buona per tutte le stagioni. Come negli anni Sessanta e Settanta era utile l’anticomunismo per strumentalizzare gli uomini e le organizzazioni della destra italiana, oggi le derive razziste delle destre centro-europee possono essere utilmente gestite in funzione di provocazione e di ogni altra operazione mirata alla ragionata propagazione del pericolo islamista.

Questo intreccio operativo, proprio come negli anni Sessanta e Settanta, va coperto a tutti i costi, perché esso non è che la punta di un iceberg di strategie molto più articolate e complesse, da tempo in opera a livello globale.

Qualsiasi minima falla che possa rivelare i dettagli di questo “gioco di specchi” deve essere evitata, in quanto da essa si potrebbe giungere a comprendere i meccanismi con i quali gli uomini e le organizzazioni del Club di Berna, sotto impulso statunitense ed israeliano, gestiscono dagli anna Ottanta del secolo scorso il cosiddetto “terrorismo islamico”, la nuova linea della strategia della destabilizzazione dell’ordine pubblico per assicurare la permanenza dell’ordine politico e ideologico esistente, oramai su scala planetaria.

Gli errori del BVT austriaco, o di un settore in esso operante, non sono quindi legati, come si vuol far credere, ai suoi malfunzionamenti, ma al pericolo che informazioni sul gioco sporco condotto in Europa venissero alla luce. Non sorprende infatti che alla fine, così come accaduto ripetutamente in Italia, il rapporto finale del governo austriaco sul BVT, reso noto nel settembre 2019, ha di fatto assolto tutti, limitandosi a censurare la “sciatteria” con cui il servizio segreto avrebbe operato: la stessa sciatteria che veniva rimproverata ai servizi segreti italiani, i quali, oggi sappiamo, conducevano al contrario con successo sofisticate operazioni di strumentalizzazione dell’estremismo di destra e di sinistra, coi relativi depistaggi.

Nessun organismo è più qualificato del Club di Berna, con la sua esperienza di oltre mezzo secolo nelle attività di provocazione, infiltrazione e terrorismo di stato, per gestire una materia così delicata ma fondamentale, a presidio della continuità degli assetti del potere atlantico.

Il fatto che, a quanto pare, il BVT austriaco sia stato, almeno momentaneamente, escluso dal Club di Berna a noi fa pensare che si sia voluto far capire in modo molto chiaro per gli addetti ai lavori che non è proprio il caso di disturbare i vari Franco A. operanti in Europa: mettendo per prima cosa preventivamente al sicuro i dossier austriaci sui rapporti con l’estrema destra, proprio come avvenuto in Germania nell’operazione Rennsteig.

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