La Carta del Carnaro, Fiume, 8 settembre 1920

La carta costituzionale della “Reggenza Italiana del Carnaro” è uno di quei documenti che meritano di essere riletti anche dopo cento anni dalla sua promulgazione a Fiume, da parte di Gabriele D’Annunzio.

Idealità e politica contingente

Sviluppata da un prima stesura del sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, nel marzo 1920, rielaborata con il gusto letterario e artistico proprio del Comandante, venne presentata alla gente di Fiume il 30 agosto 1920 in un’affollato teatro La Fenice. L’indomani, 31 agosto, D’Annunzio ne parlava così ai legionari che, un anno prima, lo avevano seguito nell’impresa fiumana:

«In mezzo a questo campo trincerato noi abbiamo posto le fondamenta d’una città di vita, di una città novissima. E abbiamo conciato le pietre e abbiamo squadrato le travi per la costruzione robusta.
Qui, in questo breve libro, è il disegno della vostra architettura, è il lineamento del vostro edifizio».

Accolta non senza titubanza e timore dal Consiglio della città di Fiume, preoccupato soprattutto del raggiungimento del suo obiettivo politico principale, quello di essere annessi all’Italia, la Carta del Carnaro testimonia dello straordinario impulso al mutamento che in quei mesi serpeggiava in tutta Europa, dopo la terribile prova collettiva per i popoli del continente e del mondo alla fine della Grande Guerra.

Testimonia quindi dell’aspirazione ad un radicale cambiamento che, di contro alla logica del profitto tipica del capitalismo liberale ed alla dittatura del proletariato affermata dalla rivoluzione leninista, coniugasse il lavoro, cui si riconosceva assoluta centralità nelle società moderne, con la nazione, costitutiva sul piano politico, e con la libertà sul piano spirituale, irrinunciabile aspirazione individuale per l’uomo moderno.

Democrazia, corporativismo e lavoro produttivo

Il «lavoro produttivo» è posto come fondamento della costituzione fiumana (art. III), che si vuole espressione di «democrazia diretta», nel testo deambrisiano, e del «governo schietto di popolo» nella più elaborata versione dannunziana, quella definitiva.

L’eguaglianza fra i cittadini, uomini e donne, anche sul piano elettorale, cosa allora inusitata, e «le libertà fondamentali di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione» vengono garantite, insieme alla libertà di culto.

Laddove la proprietà privata viene riconosciuta in quanto «funzione sociale» nel testo di De Ambris, l’art. IX del testo finale suona, più articolatamente:
«Lo Stato non riconosce la proprietà come dominio assoluto della persona sopra la cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali.»

Un’enunciazione alla quale segue, nell’ultimo capoverso dello stesso articolo, l’inequivoca affermazione:
«Solo il lavoro è padrone della sostanza resa massimamente fruttuosa e massimamente profittevole all’economia generale.»

Sono questi i passaggi che fondano in modo indubbiamente chiaro ed innovativo il rapporto con la funzione economica, alla cui organizzazione sono dedicati poi numerosi articoli, nel capitolo Delle Corporazioni. Qui è evidente la differenza con quanto poi si svilupperà più modernamente nell’ordinamento corporativo del fascismo italiano, che coglierà l’importanza dell’organizzazione sindacale per processo di produzione.

La Carta del Carnaro, in modo potremmo dire più primitivo, struttura invece le corporazioni sulla base delle diverse tipologie di lavoro (manuale, tecnico, imprenditoriale, commerciale, intellettuale, artistico, dei professionisti, dei dipendenti pubblici, ecc.), fino all’immaginifica invenzione dannunziana di una decima corporazione, «riservata alla forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento» (art. XIX).

Le Corporazioni fiumane partecipano del potere legislativo nell’originale democrazia del Carnaro, mediante il Consiglio Economico della versione deambrisiana, denominato «dei Provvisori» nel testo finale, che riecheggia gli statuti comunali tardo-medievali amati dal D’Annunzio: allo stesso modo, il mondo del lavoro trova riconoscimento ulteriore nella presenza di una magistratura del lavoro, chiamata a dirimere i relativi possibili conflitti – anche qui anticipando un importante aspetto del fascismo.

Libertà spirituali

Non poco spazio viene dedicato al mondo dell’istruzione, della cultura e delle arti, che sono libere e che si autogovernano, partendo dalla visione dannunziana espressa all’articolo L:

«Per ogni gente di nobile origine la coltura è la più luminosa delle armi lunghe.»

È qui evidente il ruolo anche politico dell’identità culturale nel clima di potenziale conflitto, al momento della dissoluzione dell’impero asburgico, nell’area balcanica e adriatica, fra le nazionalità neolatine e quelle slave, oggetto di strumentalizzazione da parte delle forze dell’Occidente wilsonista.

L’Università libera ed un autonomo Consiglio scolastico denotano l’idea dannunziana di una cultura che si vuole slegata dalla politica, anche se ovviamente ispirata ai contenuti comunque universali della cultura italiana, dantesca in particolare, cui non era certo possibile rinunciare come fattore identitario della «città olocausta».

Un 8 settembre, questo fiumano del 1920, ben diverso per l’Italia da quanto sarebbe avvenuto nel nostro Paese appena ventitré anni dopo.

Carta del Carnaro: il testo integrale.

Print Friendly, PDF & Email