L’ambiguo accordo Weizmann Feisal, 3 gennaio 1919

A Londra, il 3 gennaio 1919, Chaim Weizmann, leader del movimento sionista, e re Feisal dell’Hegiaz, fedele alleato degli Inglesi durante la Prima Guerra Mondiale, sottoscrivono un accordo relativo alla politica da attuare nella Palestina ex-ottomana da pochi mesi sotto controllo britannico: nell’immagine accanto sono ritratti insieme nel loro primo incontro avvenuto ad Aqaba nel 1918 (Weizmann è a sinistra di chi legge).

Questa volta, l’incontro avviene all’hotel Carlton di Londra ed è stato voluto ed organizzato dal colonnello Thomas Edward Lawrence, meglio noto come Lawrence d’Arabia, lo straordinario protagonista dalla guerriglia araba contro i Turchi, che lo ha portato a condividere intimamente le aspirazioni di indipendenza del popolo arabo: sentimenti ed esperienze che riverserà nel suo bellissimo libro I Sette Pilastri della Saggezza.

L’accordo del 3 gennaio 1919 sarà in realtà travolto dai fatti nel giro di pochi mesi. Pesa infatti su di esso la spregiudicata condotta imperiale britannica, che ha giocato su più tavoli contemporaneamente: dapprima spartendosi le spoglie del Medio Oriente arabo coi francesi (accordo Sykes-Picot, 1916), poi attivando l’influente supporto del movimento sionista internazionale (Dichiarazione Balfour, 1917), fondamentale per ottenere l’intervento americano nel conflitto, infine manovrando gli Arabi, appunto attraverso l’azione dell’Arab Bureau nel quale era stato reclutato il promettente tenente Lawrence.

Le cifre della popolazione della Palestina al 31 dicembre 1918 parlano chiaro: qui si trovano 618 mila mussulmani, 70 mila cristiani, 7 mila drusi e 59 mila ebrei.

La posizione di Weizmann è abilmente ambigua: negando ripetutamente ai responsabili Alleati di avere qualsivoglia aspirazione a creare uno Stato ebraico vero e proprio in Palestina, fa balenare al sovrano hashemita la prospettiva di un consistente apporto di capitali ebraici e di know-how tecnico-scientifico, cose entrambe di cui i sionisti dispongono, per sviluppare la Palestina come punto di contatto privilegiato con l’Occidente. Il re arabo spera che una simile collaborazione coi sionisti potrà colmare il divario tecnico-economico con gli occidentali, come dimostra l’art. 4 dell’accordo:

Saranno prese tutte le misure necessarie per incoraggiare e stimolare l’immigrazione su larga scala degli ebrei in Palestina e per insediare il più rapidamente possibile gli immigrati ebrei nel territorio, attraverso insediamenti più vicini e mediante la coltivazione intensiva del suolo. Nell’adottare tali misure, i contadini e gli affittuari arabi devono essere tutelati nei loro diritti e devono essere assistiti nell’accrescimento del loro sviluppo economico 1.

Ma per i britannici la prospettiva di un’integrazione arabo-sionista in Medio Oriente è guardata con grande preoccupazione, come spiegava con chiaro argomentare Lord Curzon, all’epoca presidente della commissione governativa britannica per il Medio Oriente (Eastern Committee):

Io aborro fortemente l’idea di Feisal sospinto dai sionisti, che ritengo sarebbe fatale. Cosa ne risulterebbe? Con i sionisti già in posizione influente in Palestina e che finanziano, amministrano, armano e controllano la Siria, questa diventerebbe una delle più formidabili forze del Medio Oriente. Sarebbe una «Nuova Gerusalemme» al massimo grado 2.

Dunque, fin da prima che inizino le trattative del Congresso di Versailles, il sanguinoso destino conflittuale della Palestina contemporanea è chiaramente tracciato, tra ambiguità, doppi giochi e politica colonialista.

Il sogno di Lawrence si dissolverà subito, portando lo stesso disinteressato leader della rivolta araba ad abbandonare ogni collaborazione col governo di Sua Maestà britannica, per concludere la parabola della sua esistenza avventurosa e romantica in un incidente motociclistico di cui rimane ancora inspiegata la dinamica.

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Note
  1. testo inglese in: http://www.mideastweb.org/feisweiz.htm traduzione italiana a cura del redattore
  2. Knightly P., Simpson C., The secret Lives of Lawrence of Arabia, London, 1969, p. 130