La Questione Tedesca – Parte prima

La Germania è oggi spinta ad assumere ancora una volta un ruolo militare. Dapprima con un discorso davanti al Parlamento tedesco il 27 febbraio 2022; ora con un lungo articolo pubblicato sull’autorevole Foreign Affairs, espressione del Council of Foreign Relations, certamente uno dei più influenti e storici think tank statunitensi, il cancelliere tedesco Olaf Sholz ha proclamato al mondo la “svolta epocale” (Zeitenwende) alla quale la Germania deve rispondere anche sul piano militare, pudicamente denominato “di sicurezza”.

Si riapre quindi la questione tedesca in Europa. Da un secolo e più, infatti, l’accusa che grava sulle spalle della Germania è quella di aver tentato per ben due volte l’assalto al potere mondiale, secondo la comoda vulgata codificata dai suoi vincitori – seppure rimessa in discussione da storici anglo-sassoni di valore, da Taylor a Clark.

Dopo due epocali tragedie che, oltre a milioni di morti e a distruzioni inimmaginabili, condussero la Germania alla condizione di Anno Zero, il paese mitteleuropeo ha beneficiato di alcuni decenni di pacifica prosperità, sia prima che dopo la sua riunificazione, barcamenandosi con una certa abilità fra Est ed Ovest: prendendo a Ovest una cultura fotocopia di quella anglosassone, e commerciando freneticamente con l’Est, ancor più dopo il crollo dell’Urss.

Destinata ad essereil campo di battaglia fra est e ovest in caso di guerrafra le superpotenze, la Germania viene inserita nella Nato il 9 maggio 1955 (a dieci anni esatti dal crollo del III Reich), anno in cui appunto vengono ricostituite le forze armate tedesche (Bundeswehr), che trovano poi una collocazione costituzionale nel 1968, quando i terremoti in corso nell’Europa orientale, culminati nell’invasione della Cecoslovacchia, facevano temere contraccolpi nei rapporti fra Usa e Urss.

Con la caduta del comunismo, si diffonde la generale illusione che, polverizzatasi l’Urss, stia per aprirsi un’era di stabilità e pace, almeno in Europa. È solo un’illusione. Infatti, proprio nel 1990, nell’anno cioè della riunificazione fra le due Germanie, le forze armate tedesche per la prima volta vengono dispiegate all’estero, per lo sminamento nel Golfo Persico, durante la seconda Guerra del Golfo, e per la difesa antimissilistica in Turchia, a copertura dell’operazione Desert Storm contro il cattivo di turno, Saddam Hussein. Col riorientamento della NATO verso le cosiddette out of area issues (“esigenze fuori area”), vengono brillantemente superate le non poche perplessità legate in Germania all’art. 26 della “legge fondamentale”, anche se questo era incluso nel protocollo di unificazione del Paese, passato al vaglio ed approvato dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra mondiale1.

L’interventismo democratico atlantico di origine wilsonista, in cui sono sempre i buoni a intervenire contro i cattivi, fa sì che la Germania poco a poco riprenda quindi un ruolo militare, tanto che anche il partito social-democratico tedesco, con la “svolta di Petersburg” del 1992, supera i suoi dilemmi pacifisti, grazie al fatto che gli interventi della Bundeswehr avvengono sotto l’ombrello delle Nazioni Unite. Puntualmente, nel 1994, anche la Corte costituzionale tedesca ribadisce la liceità di questo tipo di operazioni. Il 16 ottobre 1998, quindi, vediamo le forze militari germaniche impegnate in Kosovo. Ad oggi, i soldati tedeschi hanno preso parte ad oltre 130 missioni di cosiddetto peace keeping in tutto il mondo.

Tutto sembrava comunque filare liscio per la Germania: facendo il suo dovere nella Nato, a costi e rischi tutto sommato modesti; dando un contentino anche all’Unione Europea, con la brigata mista franco-tedesca, un vero giocattolo; traendo dalla Russia tutto quello che serve alla propria enorme fame di energia; proiettandosi a gran velocità verso l’enorme mercato cinese, ove fa affari favolosi, che le creano certamente più di un’invidia oltre Atlantico. Poco male se intervengono a ruota la rovinosa crisi dei subprime dal 2007-2008 e poi il Covid nel 2020-2022. La Germania ha spalle larghe, i soldi non mancano, Berlino è diventata la mèta di tutti i giovani europei più dinamici: la capitale tedesca, coi suoi avveniristici investimenti architettonici, appare ogni giorno di più come la vera capitale dell’Europa unita, se ci sarà un giorno. La BCE, Draghi o non Draghi, deve comunque prestare attenzione ai desiderata della finanza tedesca, da sempre bene inserita nei circuiti mondiali che contano.

Tutto va bene finché si parla di soldi, mercati e tecnologia: il problema tedesco resta però quello della sua politica internazionale. Perché la Germania pensa che, facendo questa volta i bravi, non si possa che guadagnarci, conservando il proprio posticino al sole, continuando semplicemente a generare lavoratori indefessi, commercianti di solida reputazione, tecnici sopraffini. Sicura di trovarsi finalmente dalla parte giusta, la Germania lascia pure che la Nato avanzi verso est; anzi, si dà da fare per avvicinare di più l’Ucraina all’Occidente – tanto alla fine con la Russia, grazie ai soldi, in qualche modo ci si metterà d’accordo.

Le sfugge ancora una volta, come già nel 1914 e come in fondo anche nel 1939, che l’Occidente fa sempre sul serio: sottovaluta il fatto che la classe dirigente nordamericana punta a mettere Putin alle corde, allo scopo di isolare la Cina, che in realtà è il suo vero problema. Procedendo per gradi, intende per prima cosa declassare la Russia, indebolirla, per farne poi uno spazio di manovra contro la Cina. Ma la Russia di Putin, invece, la lezione del 1939 non l’ha dimenticata: conosce bene il modo di procedere occidentale, così come quello dei Cinesi, e comprende che per non trovarsi schiacciata fra est ed ovest occorre conservare alla Russia almeno il suo ruolo continentale, che il mondo anglosassone invece non tollera – la svolta euroasiatica che tanto irrita il mondo atlantico.

La classe dirigente tedesca non capisce nemmeno che per gli Usa sottomettere la Russia per contenere la Cina non basta: è necessario contenere anche l’Europa. La crisi sistemica che gli Usa affrontano, proprio quando vanno emergendo in modo nuovo antiche potenze, India e Cina, non permette loro infatti di sostenere allo stesso tempo anche una competizione mondiale (industriale, tecnologica e finanziaria) con l’Europa, il cui motore rimane proprio la Germania.

Gli Stati Uniti sanno bene, dalla metà degli anni Venti del XX secolo, che, sul piano materiale appunto, il sistema produttivo del capitalismo monopolista ha il suo tallone d’Achille nel fabbisogno d’energia e ora le stime degli esperti dicono che probabilmente già dal 2016 è stato raggiunto il temutissimo oil peak, vale a dire il punto massimo della capacità di sfruttamento dei giacimenti petroliferi mondiali. Gli Usa quindi devono garantirsi il controllo delle risorse energetiche; rendere arduo ai loro competitor approvvigionarsene; quindi obbligarli a passare attraverso di loro per approvvigionarsi.

(continua)

Olaf Sholz, La Zeitenwende globale, Foreign Affairs, gennaio-febbraio 2023, tr. it. di G. Colonna.

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Note
  1. «I Governi della Repubblica Federale di Germania e della Repubblica Democratica Tedesca riaffermano le loro dichiarazioni in base alle quali sono la pace può diffondersi dal suolo tedesco. Sulla base della costituzione della Germania unita, azioni che tendano o vengano intraprese con l’intento di turbare le relazioni pacifiche fra le nazioni, specialmente per preparare guerre d’aggressione, sono incostituzionali e considerate un reato suscettibile di punizione».