L’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh: considerazioni di un Italiano

Non possiamo fare a meno di riprendere la questione dell’omicidio mirato dello scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh. Non lo avremmo fatto, poiché è stato per noi sufficiente sentire il ministro dell’energia israeliano Yuval Steinitz affermare:
«L’assassinio in Iran, chiunque l’abbia commesso, non è utile solo a Israele ma anche all’intera regione e al mondo».
Ben più di una rivendicazione, possiamo dire.

Ma dalla sponda nordamericana arriva un commento assai più interessante, come filosofica legittimazione dell’omicidio mirato, da parte di un noto lay-strategist, George Friedman, dal davvero impegnativo titolo Utilità e moralità dell’assassinio. Ne riportiamo una lunga parte saliente:

«La questione morale è, a mio avviso, più semplice delle difficoltà pratiche. È vero che uccidere il cittadino di un paese con il quale non c’è dichiarazione di guerra è problematico. Ma le dichiarazioni di guerra sono finite nel dimenticatoio dal 1945.
Ci sono state molte guerre e poche hanno avuto dichiarazioni formali.
Perciò questa caratteristica del diritto internazionale è diventata priva di significato, cosa che considero un peccato ma che è una realtà.
Se ci saranno guerre, non riesco a immaginare perché sia ​​più legittimo uccidere migliaia di persone che ucciderne una, solo perché hai formalmente dichiarato in anticipo la tua volontà.
Infatti, se ucciderne uno potesse impedire a migliaia di persone di morire, allora non sarebbe solo morale, ma addirittura un imperativo morale.
Quindi, se Israele teme legittimamente l’annientamento della sua nazione nel caso in cui l’Iran costruisse armi nucleari, allora le scelte sarebbero o di accettare la distruzione di Israele, oppure un attacco preventivo contro l’Iran, o l’uccisione della persona chiave.
Si possono avanzare forti argomentazioni morali contro la guerra, ma, nel corso dei millenni, tali argomenti sono stati rimasti privi di effetto. Un principio morale può essere un indicatore, ma, quando viene costantemente ignorato, non può guidare l’azione delle nazioni. Le nazioni si temono a vicenda, spesso con ottime ragioni. Le paure sono infatti generalmente reciproche.
Faccio difficoltà a capire l’argomento morale contro l’assassinio o lo scopo pratico del pacifismo. Ma posso capire perché l’assassinio è raro: esso è molto difficile da compiere, e le sue potenziali conseguenze sono del tutto imprevedibili.
Ma quando un attacco chirurgico contro una persona può aumentare la sicurezza della nazione che l’assassina, esso sembrerebbe legittimo almeno quanto un’invasione.
Ma le circostanze in cui è possibile identificare la figura chiave e ucciderla sono rare ed enormemente difficoltose. Il problema non è morale ma pratico».

Questo crediamo sia il pensiero di molti esponenti dell’establishment americano, e certo anche di molti esponenti dei governi occidentali, e crediamo sia quindi apprezzabile la sincerità con cui questo analista si esprime senza mezzi termini, a benificio del più largo pubblico.

Così possiamo finalmente smettere di credere all’umanitarismo statunitense, alle proclamazioni di rifiuto della guerra, difesa della libertà e del diritto di autodeterminazione dei popoli, eccetera, eccetera.

Parole al riparo delle quali ha da sempre operato la feroce volontà di potenza anglo-sassone.

Siamo dunque pratici, come Friedman vuole: poniamo un caso. In altri tempi (ma non poi così lontani, storicamente parlando), precisamente nell’agosto 1939, due celebri scienziati, Albert Einstein e Leo Szilárd, scrissero, in collaborazione coi fisici ungheresi Edward Teller e Eugene Wigner, una lettera al presidente Franklin Delano Roosevelt, con la quale invitavano gli Stati Uniti a sviluppare la bomba atomica in funzione anti-nazista.

Se qualcuno, edotto di questa comunicazione, avesse deciso di procedere all’omicidio mirato di qualcuno degli scienziati del progetto Manhattan, quello per intendersi che portò alle bombe di Hiroshima e Nagasaki, egli avrebbe dunque seguito un legittimo imperativo morale, alla luce di quanto affermato oggi dalle autorità israeliane e sostenuto con elementare machiavellismo dal commentatore sopra citato.

Inoltre oggi, decenni dopo, dovremmo quindi a maggior ragione benedire ogni giorno un simile mai attuato omicidio mirato.

Esso infatti avrebbe indubbiamente risparmiato all’umanità il tributo delle vite innocenti di decine di migliaia di civili giapponesi, nonché la minaccia da allora costantemente pendente sul futuro di tutta l’umanità.

Potremmo fare altri, ben più scandalosi esempi di storia contro-fattuale, per esempio in tema di legittime invasioni. Preferiamo fermarci a questo. Per chi è in buona fede, pensiamo possa bastare.

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