Rapporto Nato 2030

Anno importante il 2020: nonostante il Covid, la nostra storia va avanti ugualmente, sui suoi ben definiti binari. Lo testimonia il rapporto della Nato pubblicato il 25 novembre 2020, intitolato
“Nato 2030: Analysis and Recommendations of the Reflection Group”.

Cinquant’anni di storia

Come si sa, lo scorso anno, la Nato ha compiuto mezzo secolo di vita: cinquanta lunghi anni nei quali molto è cambiato dall’iniziale assetto dovuto alla Guerra Fredda, alla contrapposizione est-ovest, alla lotta contro il comunismo internazionale, al contrasto (e insieme condominio) degli Usa con l’Unione Sovietica.
La caduta del muro di Berlino del 1989 per qualche mese, forse qualche anno, pareva mettere in discussione il ruolo stesso della Nato: qualcuno osò persino accennare al fatto che essa potesse scomparire, esaurita la sua missione anti-sovietica.
Ma ci si accorse ben presto, cosa che i meglio edotti di certo non ignoravano, che la Nato era ben più di una forza costruita in funzione anti-sovietica: era da sempre lo strumento principale degli Alleati anglo-sassoni, vincitori della Seconda Guerra mondiale, per garantirsi il controllo del fondamentale asse geopolitico transatlantico fra Nord America ed Europa occidentale.
Un asse che, caduta l’Unione Sovietica, poteva anzi in realtà assai più facilmente estendersi ad est in Europa, verso il Medio Oriente, a sud nel Mediterraneo e verso il continente africano.

Interventi in Medio Oriente

Dopo anni di tambureggiare degli strateghi Nato sulle Out-of-Area-Issues (questioni fuori area), furono le vicende del Medio Oriente, che ho trattato altrove, a rendere possibile l’estensione fuori dell’Europa dell’attività della Nato: ad essa vincolati, Paesi come il nostro furono stabilmente coinvolti, dietro l’ipocrita denominazione di peace keeping, in vere e proprie operazioni belliche in teatri dove non avevamo alcun reale interesse nazionale ad operare – dall’Iraq all’Afghanistan.
La Nato è così entrata nel nuovo millennio, con la sicurezza di rappresentare uno strumento di polizia internazionale buono per ogni stagione, in quello che i settori più potenti dell’establishment americano pensavano di poter disegnare come lo One World di rooseveltiana ascendenza.
Troppo facile e troppo scontato: la storia non segue le ideologie, ha forze proprie, quelle dello spirito dei popoli, mossi da forze ben più elevate delle razionali costruzioni illuministe e strumentalmente umanitarie. Dalle ceneri dell’Urss cominciò a riprendersi la Russia del neo-zar Putin, mentre la Cina post-maoista dava al suo capitalismo di Stato comunista una svolta tecnocratica e assolutista che la rendeva capace di affrontare il capitalismo occidentale sul suo terreno, cosa che l’Urss non era stata capace di fare: il mercato.

Necessità di una nuova strategia

Una premessa questa che avrà annoiato il lettore, indispensabile però per capire l’evidente preoccupazione con cui si è celebrato il cinquantennale della Nato.
Lo scorso dicembre a Londra, infatti, viene evidenziata la necessità di un ripensamento dell’intera strategia della Nato, alla luce proprio di un mondo che non ha voluto ancora una volta farsi One World, nel quale ancora entità come la Russia e la Cina manifestano una loro efficace indipendenza.
Non solo, ma questa loro energia ha creato non poche fibrillazioni in Europa: in quella centrale, per l’indiscutibile buon senso di mantenere finché possibile buoni rapporti con la Russia; in quella periferica, tra cui l’Italia, per la fame di capitali e di mercati che solo la Cina sembra poter promettere all’economie occidentali in crisi, dopo il tracollo economico-finanziaria del 2007-2008 e seguenti.
È in questo delicatissimo contesto che la Nato delinea una strategia per il decennio a venire, con la proclamazione di un’ambizione mondiale, quale mai fino ad ora veniva manifestata con tanta sicumera: in nome di questa ambizione, si fa appello all’unità politica e ideologica dei Paesi europei, con toni non dissimili da quelli con cui un tempo si invocava il pericolo comunista nel mondo.

Russia

Lungi da noi voler anche solamente riassumere qui le sessantasette pagine di questo elaborato documento, che potrete scaricare in fondo all’articolo: ci limiteremo a segnalare i punti che ci hanno maggiormente colpito, cercando alla fine di darne una lettura unitaria.
Anzitutto la constatazione della fastidiosa presenza di ben due potenziali avversari: la Russia che, pur venendo definita “una potenza in declino”, viene considerata capace di un’aggressione contro l’Occidente, come sarebbe stato testimoniato dalla questione Ucraina.
Ovviamente non mi soffermo sulla validità storiografica di questo rigurgito anti-russo, perché ho già documentato altrove la mia opinione in merito a come sono andate le cose a proposito dell’Ucraina e della Crimea 1.
Quel che più colpisce è che qui si addita, come esempio della minaccia russa, anche l’intervento di Putin in Medio Oriente, nella questione siriana. Come se questa efficace azione politico-militare non fosse servita a risolvere qualche problemino del quale l’affaticata macchina militare occidentale, Nato compresa, sembrava non potersi o non volersi occupare a fondo: forse anche perché Isis e compari sono state un’altra delle tante creazioni israelo-statunitensi, utili forze terroristiche, destinate a nascere, massacrare e morire secondo le esigenze tattiche del momento e del luogo.

Cina

Il secondo, ancor più fastidioso, avversario è ovviamente la Cina, della quale si scrive testualmente: «La politica industriale della Cina e la sua strategia di fusione militare-civile (Military-Civil Fusion – MCF) sono le componenti centrali di questa sfida sistemica».
Sembra quasi che gli ignoti e segretissimi estensori del documento (peccato davvero non sapere chi essi siano in carne ed ossa!) sembrano ignorare la celebre storia, che si trova oggi persino nei manuali delle scuole superiore, di quel complesso militare-industriale nordamericano che non solo ha edificato la potenza mondiale degli Stati Uniti, ma la cui influenza sistemica sul paese nordamericano destò addirittura le preoccupazione di un presidente americano certo non pacifista, come fu il generale Dwight Eisenhower. Probabilmente non a torto.

Italia sempre in prima linea

È sulla base di preoccupazioni sistemiche come queste che si indica come una delle linee strategiche primarie per la Nato 2030 il potenziamento del Joint Field Command (JFC) di Napoli, erede dal 2004 del comando sud della Nato (FTASE), oggi basato a Lago Patria, Giugliano, periferia della nostrana, bellissima città partenopea.
Questione dunque che ci tocca da vicino, a dimostrazione della sempiterna crescente importanza strategica dell’Italia, dato che siamo noi soli in Europa a condividere con l’Olanda del JFC di Brunssum l’onore di ospitare uno dei due comandi d’area operativi della Nato – anche se negli Usa c’è poi la vera testa del tutto, a Norfolk.
L’Italia dunque è oggi piattaforma operativa di una proiezione della Nato su di un’area immensa, che si estende dal Nord Africa all’Africa sub-sahariana, dal Vicino Oriente all’Afghanistan.
Essa copre dunque in sostanza quel crocevia di instabilità che proprio la politica nordamericana, elaborata in decenni dalla classe dirigente mista israelo-statunitense di cui ho parlato spesso 2, ha creato a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, abbattendo uno dopo l’altro come birilli quei regimi del nazionalismo arabo, che, sia pure con modi spesso repellenti alle nostre raffinate sensibilità occidentali, avevano tenuto insieme e in parte modernizzato i deboli aggregati etnico-tribali-religiosi, inseriti da Gran Bretagna e Francia dentro confini nazionali affrettatamente e volutamente arraffazzonati, dopo il crollo dell’impero Ottomano, alla fine della Grande Guerra.

EDT e HCT

Ma l’ambizione della nuova strategia Nato è senza limiti: questa è forse l’impressione più significativa che si riporta dalla lettura di questo documento. Accanto infatti a molti luoghi comuni della dottrina Nato, ad esempio quelli del suo ruolo come presidio delle democrazie e della pace in Europa (dimenticando le guerre in Jugoslavia, ad esempio, e la lunga stagione della strategia della tensione…), si affermano elementi significativamente nuovi.
Il primo è la questione delle cosiddette Emerging and Disruptive Technologies (EDT), la cui importanza era già stata riconosciuta dal summit tenuto dalla Nato a Londra, ai primi di dicembre del 2019. Con questa sigla si intendono le nuove tecnologie capaci di modificare profondamente il modo in cui cittadini, consumatori, industrie, politica, sistemi organizzati operano: in primo luogo la Nato ricorda ovviamente le potenzialità dell’Intelligenza Artificiale.
Nel documento si fa esplicito riferimento alla necessità di una specifica concertazione fra governi e settore privato, si dice, «con lo scopo di identificare le carenze nella cooperazione collettiva nel settore della difesa nelle strategie dell’IA collegate alla sicurezza, nelle normative e nella ricerca e sviluppo, per proteggersi contro l’uso ostile e aggressivo dell’IA, incluso l’ambito militare e mediante la diffusione dell’autoritarismo digitale».
Da qui si arriva ovviamente a invocare la formazione a livello Nato di un’agenzia simile alla statunitense Darpa 3, l’agenzia militare-civile di ricerca industriale, costituitasi negli Usa nel 1958, dopo i primi successi dell’Urss nella corsa allo spazio, da cui prese vita, fra l’altro, l’embrione della prima rete internet.
Allo stesso modo si conferma la creazione, già avviata dal 2018, di una struttura in grado di contrastare le Hybrid and Cyber Threats (HCT), che allargano ancor più il raggio di azione dell’alleanza – poiché con il termine ibrido ci si riferisce esplicitamente a «propaganda, deception, sabotaggio, e altre tattiche non militari».
Esattamente gli stessi strumenti di guerra non-convenzionale che sono stati decisivi per la vittoria anglo-sassone Seconda Guerra mondiale, quando furono espressamente inseriti, per volontà inglese, nella strategia bellica alleata, nella storica Arcadia Conference, tenutasi dal 22 dicembre 1941 al 14 gennaio 1942 a Washington.

Integrazione totale

Si aggiunge nel documento, oltre alle tematiche EDT e HCT, la lotta contro la disinformazione, per la quale è davvero rilevante il fatto che si prevedano, nella strategia Nato 2030, frequenti esercitazioni DIMEFIL, acronimo che comprende diplomazia, informazione, aspetti militari, economia, finanzia, intelligence, giustizia!
Vale a dire la capacità di coinvolgere negli orientamenti strategici di interesse Nato tutti i settori chiave di una moderna società organizzata.
Come se non fosse abbastanza, a completare il quadro, si precisa che dovranno essere anche inglobati nella nuova strategia le risultanze del summit speciale della Nato del giugno 2019, nel quale si è dichiarato di interesse strategico per l’organizzazione anche lo spazio, nel quale si ricomprendono anche le reti di comunicazione e dell’energia.
In tal modo, possiamo concludere che la dimensione operativa che la Nato intende raggiungere include di fatto ogni aspetto politico economico sociale dei suoi membri, sotto una direzione che prevede anche un aumento dell’autorità del Segretario Generale, e la creazione, accanto ai due grandi uffici di coordinamento, Joint Intelligence and Security Division (JISD) e Policy Planning Unit (PPU), già da tempo esistenti, di un «nuovo ufficio di valutazione in rete, composto da militari e civili, che si rapporti direttamente al Segretario Generale, con la missione di esaminare l’ambiente strategico della Nato sulla base di minacce e sfide condivise, in tutto lo spettro di strumenti militari e non militari».

Il grande fratello Nato

In questa grandiosa visione, di una Nato operante cioè in tutti i campi e ad ogni livello delle società post-industriali avanzate dell’Occidente, abbiamo l’apoteosi di un’impostazione storicamente ben nota dell’attività dell’organizzazione militare atlantica, la sua capacità di integrare mondo civile e mondo militare nel perseguimento dei propri obiettivi strategici: attività che in Italia ben conosciamo, a livello documentale, proprio dallo studio più attento delle drammatiche vicende della strategia della tensione.
Se però allora lo scopo era semplicemente mantenere nei binari dell’allineamento atlantico un Paese chiave di frontiera come l’Italia, oggi gli obiettivi si espandono senza limiti, per integrare tutti i Paesi alleati in un sistema politico militare industriale subordinato alla sempre più difficoltosa egemonia degli Stati Uniti, che ne assicuri ancora la proiezione di potenza in Europa, nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente allargato.

Nato e futuro dell’Italia

Le conseguenze per il nostro Paese non possono allora essere in alcun modo sottovalutate: si sbaglia dunque e non poco chi pensa che si sia allentato il controllo politico, militare, di intelligence, di disinformazione, tecnologico, economico e finanziario, costantemente esercitato sull’Italia del dopoguerra dagli ambienti atlantici, come un’enorme messe documentale dimostra oramai senza ombra di dubbio.
Finché esisterà la Nato, la sovranità limitata dell’Italia resterà un dato pacifico e inalterabile. Solo l’imputridimento della politica dei partiti, la comoda soggezione dei quadri militari e di sicurezza ai desiderata atlantici, la dipendenza energetica e tecnologica del sistema industriale italiano, l’incapacità della finanza italiana di creare propri autonomi punti di forza fanno sì che la tematica di fondo, vale a dire in sostanza il ruolo dell’Italia nella storia del suo tempo, non venga minimamente posta all’ordine del giorno davanti ad un’opinione pubblica impaurita e addormentata da decenni di sofisticato addomesticamento mediatico.

La vulgata storica antifascista, che impedisce di comprendere quale era la vera posta in gioco italiana nella Seconda Guerra mondiale; una Chiesa che, ammantandosi di sentimentalismo pacifista, ha sempre infiorato le canne dei fucili dei vincitori; una sinistra che, predicando l’astensione dalla guerra, ha per prima lanciato bombe all’uranio arricchito sopra Belgrado, mentre iniziava a lustrare i pavimenti di Wall Street – sono questi gli elementi costitutivi dell’Italia di oggi.

Sono essi che ottundono ancora la consapevolezza della verità al nostro popolo. Senza di essa, qualsiasi ipotesi di riscatto dell’Italia è una menzogna nella menzogna.

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Note
  1. G. Colona, Ucraina fra Oriente e Occidente, Edilibri, Milano, 2014.
  2. G. Colonna, Medio Oriente senza pace, Edilibri, Milano, 2009.
  3. Defense Advanced Research Projects Agency.