Russia: le torbide illusioni dell’Occidente

Se ancora ce ne fosse bisogno, la marcia su Mosca della Gruppa Vagnera (Wagner Group, ufficialmente PMC Wagner), è stata occasione di ulteriore succosa disinformazione da parte dei media occidentali, che dovevano per forza far credere alle opinioni pubbliche dei propri Paesi che in Russia si era alla vigilia di un colpo di Stato, il cui passo successivo sarebbe stato l’esplodere della guerra civile.

Bastava invece quel poco di immagini che arrivano da Rostov sul Don per capire che la mossa di Evgenij Viktorovič Prigožin non aveva trovato la minima opposizione dei comandi militari russi, almeno quelli più direttamente in contatto col fronte del Donbass.

Questo atteggiamento dei media la dice quindi lunga su cosa l’Occidente atlantico spera come risultato strategico di questo conflitto: non certo una vittoria dell’Ucraina, quanto la disintegrazione del sistema politico ed economico nella Federazione Russa.

L’eredità delle forze armate sovietiche

Se i nostri giornalisti fossero capaci di un minimo di serietà professionale, avrebbero potuto spiegare ai loro ascoltatori che la questione militare è stata una delle più gravose eredità del sistema sovietico con cui Putin ha avuto a che fare: basti dire che si trattava di un’organizzazione militare pletorica, nella quale, nei primi anni Duemila, c’erano più colonnelli che tenenti e un ufficiale ogni due soldati semplici…

Nell’autunno del 2008, Putin, dopo i primi impegni militari del suo governo, iniziò a metter mano seriamente alla riorganizzazione delle forze armate, riducendo gli ufficiali da 355mila a 150mila, congedando 220 generali, 16mila colonnelli, 74mila maggiori e 50mila capitani. Cifre non di poco conto, che certo non possono aver fatto felice la burocrazia militare ancora di impronta tardo-sovietica.

Le condizioni demografiche del Paese, poi, spingevano nella direzione di eliminare gradualmente la coscrizione di massa, per optare decisamente per forze armate professionistiche, secondo una tendenza oggi generalizzata: una riforma tanto radicale non è stata però mai portata a termine. Per cui, a partire dal 2012, la struttura delle forze armate russe si è stabilizzata sulla formula mista di un corpo di professionisti di circa 450mila uomini, e di 250mila soldati di leva, cui vanno aggiunti gli ufficiali ed il personale di supporto, per un totale di circa un milione di unità.

È nel contesto di eserciti sempre più professionistici e non di popolo, che si afferma, con una tendenza di lungo periodo, la presenza dei c.d. “contractor”, per usare l’espressione americana, che spesso viene considerata sinonimo di eserciti di mercenari, poiché formalmente non esprimono più una forza militare nazionale. Anche se è bene tenere presente che i contractor sono pur sempre agli ordini di uno Stato, ancorché come attività privata e non in quanto istituzione statale: gli USA, ad esempio, nel solo caso dell’Afghanistan, nel non troppo lontano 2013, utilizzavano oltre 110mila contractor a fronte di forze regolari Usa per 65mila uomini – giusto per dare un’idea del fenomeno. Il gruppo Wagner, a quanto pare, non era mai arrivato, fino alla guerra in Ucraina, a superare le 10mila unità, espandendosi oggi, sembra, a quasi 50mila uomini, stima a nostro parere eccessivamente alta.

Il malcontento degli ufficiali russi

Quanto allo scontento sulla conduzione del conflitto che questi soldati professionisti hanno espresso negli ultimi mesi, con grande ed eccessiva verve tipicamente russa, prima di andare ad invocare la guerra civile, sarebbe bastato rileggersi qualche documento.

Per esempio, la presa di posizione dell’11 febbraio 2022, dell’Assemblea Generale degli Ufficiali della Russia. In una lettera aperta al giornale Echo Moskvy, un esponente dell’Assemblea, l’anziano generale 78enne Leonid Ivashov, aveva fatto dapprima «una distinzione tra i ranghi degli ufficiali professionisti altamente addestrati della Russia e l'”élite” militare del Cremlino, guidata da quelle che egli considera delle non-entità».

Aveva poi aggiunto: «Se le politiche di Putin – pensate solo per consolidare il suo potere interno – spingeranno davvero la Russia in una “guerra catastrofica”, non saranno i soldati del Cremlino a pagarne il prezzo, ma gli ufficiali professionisti e le decine di migliaia di giovani coscritti russi che saranno uccisi o menomati nei combattimenti». In sostanza un messaggio di netta opposizione all’ipotesi di un conflitto per il Donbass, a poche ore dell’inizio dell’operazione speciale.

Ancor più serio, l’intervento nel giugno seguente di un altro esponente della stessa Assemblea degli ufficiali russi, quando oramai la guerra era scoppiata e l’operazione speciale ipotizzata da Putin e/o dagli alti gradi militari si era trasformata in una guerra classica.
Il colonnello del GRU (servizi militari russi) Vladimir Kvachkov, lanciava il 20 giugno 2022 un appello pubblico, in nome della stessa Assemblea, a Putin, al patriarca Kirill e ad altri alti funzionari russi, nel quale avanzava una serie di proposte, che certo non avrebbero potuto tranquillizzare, se accolte, i media occidentali. Partendo dalla premessa che l’operazione militare speciale era fallita e che era iniziata una Terza Guerra Mondiale su larga scala, e che quindi negoziati con i “Banderisti” e ritiro dai “territori liberati”, rappresentavano un tradimento, Kvachkov elencava i provvedimenti necessari per salvare il “mondo russo”.

Vediamoli un attimo: introduzione della pena di morte in tempo di guerra e della legge marziale in tutta la Russia e in tutti i territori “liberati” in Ucraina; creazione di un Comitato di Difesa dello Stato (GKO) con pieni poteri nella conduzione delle operazioni militari; mobilitazione parziale per condurre una guerra su tre fronti in Ucraina, non quindi solo nel Donbass, e raggiungere così i confini dell’ex-Unione Sovietica; introduzione di un periodo di servizio militare di due anni per i cittadini russi, con leva biennale; riforma radicale del sistema finanziario del Paese, nel quale tutte le banche dovrebbero essere nazionalizzate e poste sotto il controllo del GKO; cancellazione dei debiti e prestiti a tutti i combattenti russi; monopolio di Stato sul commercio estero; divieto di utilizzare valuta estera; confisca delle proprietà dei Paesi della NATO; ritorno delle imprese privatizzate alla proprietà pubblica; il rifiuto di collaborare a queste misure sarebbe considerato un atto criminale in tempo di guerra.

Prigožin non è solo

Attenzione quindi ad esaltarsi davanti alla prospettiva di un rovesciamento di Putin. Dietro e accanto a lui premono forze che, con evidenti richiami anche al passato sovietico, constatando il fallimento della strategia adottata dal presidente russo, chiedono misure assai più radicali e draconiane per vincere. Esattamente le stesse che il portavoce del Gruppo Wagner ha qua e là fatto sentire, sia pure nei modi esagitati che caratterizzano il suo eloquio torrenziale.

Prigožin ha affermato senza mezzi termini quello che si trova già in documenti come quelli citati: che la guerra in Ucraina si poteva evitare; che l’operazione ideata dai vertici militari russi è fallita; che la conduzione attuale manca di realismo e di risolutezza; che occorre una mobilitazione totale del Paese.

Altro che invocazione alla guerra civile, al pronunciamento militare, allo scontro ideologico contro l’autocrazia. Si chiede che la guerra, visto che oramai c’è, sia combattuta fino in fondo.

Quale realtà

Traiamo due rapide conclusioni.

La prima è che è oramai evidente, come da noi ipotizzato, che l’operazione speciale è una trappola in cui Putin è caduto: si dovrà capire come, perché, grazie a chi, e queste sono domande a cui sicuramente molti ufficiali russi stanno cercando di rispondere.

Si noti, al margine, che queste erano le stesse domande che si ponevano gli ufficiali russi più consapevoli alla fine del 1916, poco prima dello scoppio della rivoluzione di Febbraio 1917. Il grandissimo Aleksandr Isaevič Solženicyn ne ha dato un quadro straordinariamente dettagliato e penetrante ne La Ruota Rossa, descrivendo i pensieri del bellissimo personaggio principale protagonista di quest’opera gigantesca, purtroppo mai tradotta dai dormienti editori italiani, il colonnello Vorotyntsev. Sarebbe il caso di andarsi a rileggere quelle pagine, per capire neglio la Russia in guerra di oggi.

La seconda notazione è diretta ai pensatoi del mondo atlantico, quelli che dirigono in realtà la guerra occidentale in Ucraina, dato che governi come quello italiano sono solo squallide comparse in questo dramma europeo.

Attenzione alla machiavellica illusione di fomentare il caos nella Russia. Da una guerra civile o da una disgregazione della Federazione Russa non è detto che vengano fuori i capi che l’Occidente si augura: dopo decenni di umiliazioni e oramai qualche migliaio di caduti in battaglia, non è detto che i prossimi dirigenti della Russia amino di più chi ha circondato le sue frontiere di armamenti pronti all’uso, da nord a sud, dalla Finlandia al Mar Nero alla Georgia.

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