Uomini e Voti

Clarissa ha taciuto per quasi un mese, non perché fossimo andati in vacanza, né perché mancassero i temi da affrontare: la guerra in Ucraina, gli omicidi mirati in Russia, le violenze israeliane nei territori occupati, la cosiddetta crisi energetica, la campagna elettorale, la seria conflittualità interna negli Stati Uniti, lo scontro sui brevetti dei vaccini fra i grandi del Big Pharma. Molto ci sarebbe stato da dire, forse troppo: come altre volte, abbiamo preferito quindi la riflessione piuttosto che unirci al vociare confuso che si è sovrapposto ad un Paese che in realtà non vedeva l’ora di andare in vacanza, e dimenticare (per chi ancora ci riesce…).

Assistiamo in Italia ad un esperimento politico senza precedenti, le cui modalità, se non ci sbagliamo, nessuno sta mettendo nel giusto rilievo.

È oramai evidente che l’ex-presidente del consiglio ha costruito con grande abilità la crisi del suo stesso governo, per varie buone ragioni: il fallimento della politica economica, quello altrettanto grave delle scelte in materia sanitaria, la farraginosa gestione dei soldi europei, l’incapacità di governare la crescita dei costi dell’energia, l’orizzonte internazionale sempre più cupo, annunciano un autunno a dir poco difficile, nel quale l’Italia dovrà fare i conti con i risultati di queste strategie, e non saranno conti rosei. Noi riteniamo che in questo modo abbia assolto il compito che gli era stato affidato in partenza, rispondente alla visione del futuro economico-sociale delle forze di cui egli è espressione, quelle, per sintetizzare, dei Trenta Tiranni dell’economia finanziaria internazionale, che abbiamo avuto modo di illustrare su queste colonne.

Con un provvedimento senza precedenti, il presidente della Repubblica Italiana, ha concesso a questo governo dimissionato di adottare provvedimenti strutturali e di grande portata, in evidente spregio del dettato costituzionale, continuando ad invocare un’emergenza che in realtà è l’effetto della completa incapacità dell’Italia di sviluppare scelte politiche, economiche, sociali, ideali autonome, confacenti agli interessi reali del nostro Paese, quelli cioè di chi lavora, fa impresa, manda avanti famiglie: questo presidente, una volta di più, si è confermato come figura garante non della sovranità nazionale ma del nostro allineamento al mondo atlantico, che domina in Europa ora come non mai in passato.

Niente di nuovo sotto il sole, da questo punto di vista, giacché le nostre classi dirigenti dal 1945 hanno potuto reggersi al comando del Paese solo ed esclusivamente fornendo questa garanzia di allineamento, che è stata sovente mantenuta a colpi di stragi, pressioni economico-finanziarie, operazioni di intelligence, o semplice corruzione (qualcuno ricorda il caso Lockheed?).

In questo contesto, la domanda più naturale oggi è se abbia ancora un senso il ricorso al voto.

Tutti i partiti, al di là dei personalismi, dell’uso rituale e fuori tempo di accuse reciproche di neo-fascismo e vetero-comunismo, hanno sposato tutti i capisaldi fondamentali del sistema. Il primo è appunto quello dell’allineamento atlantico; il secondo è quello dell’accettazione del sistema socio-economico del liberal-capitalismo occidentale.

Nessuna forza politica presente oggi fra le varie sigle e siglette elettorali rappresenta quindi un’effettiva alternativa al modello dei Trenta, consolidatosi ben prima dell’insediarsi fisico sulla sedia di capo del governo italiano del loro proconsole.

Spiace dirlo, ma anche le forze che hanno fatto opposizione alle politiche dell’emergenza hanno dimostrato di essere incapaci di trovare un comune denominatore e di proporre quindi consistenti modelli di organizzazione politica, sociale, ideale. La loro possibilità di incidere sul futuro del Paese appare inconsistente, aggiungendosi alla penosa disgregazione del fu M5S, di cui replicano i limiti, prima di tutto culturali.

In questo quadro, che risulta per certi aspetti tragicamente privo di forze ideali e quindi di prospettive per il futuro, noi continuiamo tuttavia a credere nel valore dell’identità italiana e della missione che l’Italia ha per il futuro dei popoli: la Roma dei Popoli, disegnata assai chiaramente da Giuseppe Mazzini, in termini di scottante attualità, per chi ancora ne legga le pagine. Non ci spaventa quindi, nella storia dell’Italia, constatare, accanto alle sue ascese luminose, le cadute nei baratri del tradimento e dell’asservimento, che tanto spesso l’hanno caratterizzata ed ora la caratterizzano.

Assai più che partecipare allo sterile rituale elettorale, è quindi prioritario lavorare su queste basi: cioè sulla coscienza delle persone, sul rigore di scelte disinteressate, sulla quotidiana battaglia nel posto che il destino ci ha assegnato in questa tormentata società.

Questo, assai più che il tributo a partiti privi di idealità, è necessario perché l’Italia viva, scrollandosi di dosso il facile servilismo, la brama di potere e di denaro, il comodo menefreghismo, le piccole e meno piccole viltà, l’ignoranza del nostro passato, l’oblìo di noi stessi.

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