Scenario italiano. Parte terza: la missione dell’Italia

La mancanza di comprensione del contesto internazionale e delle forze reali dell’economia globalizzata da parte della classe dirigente italiana spiega, in definitiva, il crescente distacco di essa rispetto al Paese. Da qui il sano, istintivo atteggiamento antipolitico diffusosi nel Paese, atteggiamento corrispondente del resto ad una caratteristica storicamente strutturale dell’Italia che, quasi per paradosso, è riuscita per secoli a donare grandi forze di progresso spirituale all’umanità in totale assenza di uno Stato unitario. Ben poco da sorprendersi né da scandalizzarsi quindi, se, dopo centocinquanta anni di storia unitaria, in presenza di una classe politica che non più incarna l’unità, gli Italiani comincino a volersi sottrarre al dominio apparente della politica, che cela forze ben più potenti, come abbiamo appena visto.

Questa tendenza è del resto ampiamente giustificata dalla constatazione della sostanziale impossibilità ad operare i necessari mutamenti nel Paese, nella direzione che gli scenari che abbiamo precedentemente tratteggiato imporrebbero, da parte vuoi di forze nuove elettorali, vuoi di forze movimentiste. Nel primo caso, si è visto quanto, una volta costrette nei meccanismi del parlamentarismo, esse possano essere velocemente svuotate della propulsione necessaria ad imprimere una svolta decisiva al Paese. Nel secondo caso, si è visto molto recentemente quanto sia facile prestarsi a infiltrazioni, provocazioni, strumentalizzazioni, ovvero alla caduta in fenomeni qualunquistici di corta prospettiva.
Non è più dunque il tempo di ragionare in termini di partiti: ce lo dice l’esperienza degli ultimi tre decenni, dove tutte le forze presentatesi come nuove su quella strada non hanno fatto altro che ricondursi alle ben note metodiche della partitocrazia italiana, una delle più ottusamente grette fra quante la storia della democrazia moderna possa annoverare nei suoi annali. La forma partito, una volta tramontate le grandi ideologie di massa dello scorso secolo, si dimostra uno strumento idoneo solo a fornire, alle forze portanti del potere internazionale, così come analizzate nelle due parti precedenti, la necessaria garanzia di sostanziale continuità nella dipendenza.

Essere fuori della politica nella forma odierna non vuol dire, però, rinunciare ad un impegno civile, ad operare per la comunità – questo è il punto. Al contrario: solo fuori dai meccanismi della partitocrazia parlamentare si può sperare di preparare una classe dirigente di ricambio per l’Italia. Prepararla fuori dai partiti significa imprimergli immediatamente una diversa caratterizzazione, in quanto comporta per un verso un lavoro di formazione di una visione condivisa del presente e dell’avvenire e, per l’altro, l’esercizio di una pratica in situazioni concrete, dall’amministrazione locale, all’associazionismo economico, allo sviluppo di contenuti culturali. Nell’esperienza pratica, nelle diverse articolazioni viventi della società, se sviluppate in forma consapevole e coordinata, possono maturare, in tempi non necessariamente lunghissimi, gli uomini nuovi che servono al nostro Paese per affrontare la svolta che è richiesta dalla situazione attuale e dal futuro che a noi si avvicina.
La visione condivisa, oggi, non può che partire dalla constatazione che il nodo patologico della situazione italiana, così come dell’Occidente più in generale, risiede nell’intreccio fra potenza economica, meccanismi partitocratici e asservimento della cultura. È questa la malattia fondamentale della democrazia moderna, sulla quale occorre lavorare, in quanto il necessario risanamento corrisponde in profondità alle esigenze attuali, alla luce di quanto abbiamo visto in precedenza.

Ricostruire la democrazia, significa oggi vedere i valori di libertà, uguaglianza e fraternità distribuiti nelle tre articolazioni della società civile che a questi principi corrispondono perfettamente: il valore delle capacità individuali, intellettuali, spirituali – nella sfera della cultura, dell’educazione, della creazione artistica, destinata a soffocare se priva di libertà e di indipendenza da qualsiasi orientamento dogmatico o ideologico; il valore della parità di diritti per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro capacità, dal loro status sociale, dalla loro forza produttiva, nella sfera dell’amministrazione della cosa pubblica, dove solo può vigere il principio di eguaglianza, che radicalmente nega qualsivoglia tipo di privilegio; il valore della solidarietà fra tutti coloro che svolgono un ruolo economico nell’organismo sociale, che tiene perciò in conto e valorizza la loro reciproca interdipendenza, unica garanzia di un efficiente ed armonioso sviluppo, senza quindi che il denaro divenga strumento di potere politico, invadendo le altre sfere dell’organismo sociale per dominarle surrettiziamente.

Si tratta di una riorganizzazione profonda dell’organismo sociale, che apre un campo vastissimo di sperimentazione sociale, culturale ed economica alla quale l’Italia, per la sua stessa natura di secolare laboratorio di idee e soluzioni concrete fornite all’umanità moderna, è in realtà specialmente vocata – solo che, dalla conoscenza della nostra identità, fossimo capaci, punto per punto, di riprendere i molti percorsi da noi intrapresi nel tempo, e rimasti ancora da compiere. Quando ad esempio Mazzini parla della terza Roma, la Roma del Popolo, allude, a nostro avviso, proprio alla sottile, profonda ma fortissima continuità di impulso sottostante a tutto il corso della storia italiana.

Cogliere questo impulso oggi significa quindi affrontare un altro tema essenziale, senza di che qualsiasi aspirazione al mutamento diventa vuota dialettica, pura retorica: intendere l’identità italiana, rivitalizzarne l’impulso essenziale, sentirne il valore come una missione (la sua "forza del destino", per dirlo con parole diverse), presuppone una tensione morale in grado di sostenere il difficile, costante e spesso silenzioso lavoro di lunga durata. Si tratta di un orientamento di vita molto diverso da quello cui la società dei consumi e dello spettacolo ci ha inesorabilmente assuefatto come popolo, almeno negli ultimi settanta anni di vita dell’Italia.
Questo, dell’intero scenario italiano, è senza dubbio il primo passo, ed il più difficile: una futura classe dirigente, all’altezza dei compiti dei quali abbiamo qui dato poco più che un semplice cenno, per potere ragionare in termini di strategie, di tempi lunghi, di identità e di missione italiana, deve necessariamente fordare pensiero e volontà su forze ben diverse da quelle da cui siamo invece, e non a caso, quotidianamente distratti. Se davvero siamo interessati alla resurrezione della patria, avendone riconosciuto il valore in quanto persone e per il genere umano, il primo prezzo da pagare è dunque quello personale, liberandoci dalla zavorra accumulata nei decenni di accettazione della scintillante apparenza dell’interesse del successo e della comodità individuale.

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