Il prezzo da pagare

Dal film-documentario di John Pilger “Paying the price. Killing the children of Irak” la trascrizione delle parti salienti di questa inchiesta giornalistica che ha fatto scalpore e che suona come un monito per le pigre coscienze occidentali.
John Pilger è un giornalista indipendente australiano, ultimo grande esempio dell’inviato di guerra che si reca nelle zone più calde e racconta la sua verità senza ipocrisie. Benché voce scomoda, la sua indubbia professionalità ed esperienza lo portano ad essere una delle fonti più autorevoli del giornalismo mondiale. Ha lavorato o collaborato per i più grandi giornali (dal Daily Mirror, all’Independent, al New York Times) e televisioni (BBC), i suoi reportage giornalistici hanno vinto numerosi premi, ha raccontato tutte le vicende della storia contemporanea dal sud-est asiatico all’America latina fino al Medio Oriente. In questo ultimo lavoro che indaga sulle condizioni della popolazione civile irakena dopo dieci anni di isolamento e sanzioni in seguito alla guerra del Golfo, Pilger miscela le voci delle strade di Baghdad a quelle dei potenti della terra: il risultato è un documento agghiacciante ed un atto di accusa indelebile.

Questo è il film sulla punizione di una intera nazione, l’uccisione di centinaia di migliaia di persone, molti dei quali bambini. Sono gli irakeni le vittime silenziose non solo di Saddam Hussein, il loro dittatore, ma di una guerra infinita contro i civili fatta dai governi occidentali.

Il 2 agosto 1990 in seguito ad una disputa su alcuni giacimenti petroliferi comuni, l’Irak invase il Kuwait. Quattro giorni dopo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU impose delle sanzioni economiche, le più totali che la storia moderna ricordi. Al popolo irakeno venne negato praticamente tutto, compreso nei primi otto mesi, cibo e medicinali. Oggi, dieci anni dopo, le sanzioni sono ancora in vigore e le Nazioni unite parlano di una malnutrizione cronica diffusa e di morti fra i bambini: un disastro umano senza precedenti.

Cosa accade quando le comodità del moderno vivere civile ci vengono sottratte? Immaginiamo che tutte le cose che consideriamo scontate all’improvviso non siano più disponibili o siano assai scarse: acqua pulita, cibi freschi, sapone, carta, matite, libri, lampadine, farmaci salvavita. Comunicare telefonicamente con il mondo esterno è molto difficile, i computer non funzionano più. Quando ci si ammala si devono vendere i mobili per comprare le medicine, quando ci si toglie un dente non c’è anestetico. Nessun paese commercia con il vostro e il vostro denaro quasi non ha valore. Rapidamente i vostri bambini diventano mendicanti: è come se il mondo avesse condannato tutta la vostra società ad una morte lenta, e tutto a causa di un contenzioso fra governi sul quale voi non avete alcun controllo. È quello che è accaduto qui in Irak, dove dieci anni di straordinario isolamento decretato dall’ONU e imposto da Stati Uniti e Gran Bretagna hanno ucciso più persone delle due bombe atomiche sganciate sul Giappone, compreso mezzo milione di bambini.

Questi sono i bambini che l’Occidente ha dimenticato: dieci anni fa l’Irak era un paese sviluppato a cui il petrolio aveva portato grande ricchezza, ma anche dipendenza per l’importazione di cibo e altri generi essenziali. Oggi il tasso di mortalità infantile sotto i cinque anni supera i 4000 al mese, 4000 in più di quelli che sarebbero morti prima delle sanzioni.

Questo è un tipico reparto di ospedale in cui le sanzioni hanno negato attrezzature essenziali e quel genere di farmaci salvavita disponibili in qualsiasi ospedale britannico. (Nel video si mostrano le immagini di alcuni bambini malati… la dottoressa Jinan Ghalib Assen, responsabile del reparto di pediatria, spiega): “Questo bambino ha nove anni, l’hanno portato qui con un pallore progressivo, ha la leucemia e non possiamo curarlo, alcuni dei farmaci non sono disponibili, gli facciamo una trasfusione ma non ci sono abbastanza sacche di sangue… a volte riusciamo ad avere i farmaci per due o tre settimane e poi basta… così le cure vengono interrotte o a volte nemmeno fatte… quest’altro è un caso di neuro blastoma… è un tumore molto raro, prima non ne vedevamo, ora invece in questi anni ne abbiamo molti casi… prima avevamo un caso ogni due anni… quest’altro è stato operato, massa addominale, ma senza terapia il tumore si ripresenta, quindi c’è una ricaduta, una recidiva del tumore, adesso cominciamo a somministrare alcuni farmaci ma non tutti sono disponibili… il suo futuro è brutto perché ha sviluppato una insufficienza renale… un altro neuro blastoma del sistema nervoso, come dicevo, adesso abbiamo molti casi, prima non se ne vedevano, questa bambina ha undici anni… è malnutrita, comincia le cure oggi… molti bambini non arrivano nemmeno all’ospedale, una famiglia povera non può permettersi di curare i propri bambini… questo bambino ha cinque anni, un caso di Ochkin diagnosticato di recente, normalmente avrebbe una aspettativa di miglioramento di vita del 95%, ma se i farmaci non sono disponibili possiamo attenderci altre complicazioni… questo è un caso di leucemia ai linfonodi acuta diagnosticata recentemente, anche lui viene da una famiglia povera e cominciamo la terapia oggi con i farmaci che abbiamo disponibili… io mi sento molto triste, il futuro di questi bambini è molto incerto, molti assomigliano a tuo figlio o tua figlia, e praticamente ogni giorno ne vedi morire uno davanti a te…”

Spiega un oncologo irakeno: “Nella terapia del cancro bisogna somministrare i farmaci nel momento giusto e nella giusta frequenza, in genere per un periodo di circa sei mesi, nel cancro non è concessa una seconda possibilità. In altre parole se si danno i medicinali nella giusta sequenza ed al momento giusto c’è un’alta possibilità di guarire una serie di tumori compresi quelli infantili: i farmaci ci sono tutti ma se sono intervallati male come in Irak, non si ha un tasso di successo così alto, per cui un tasso di guarigione dell’80% si traduce in uno del 30% quando gli stessi farmaci sono somministrati in sequenza sbagliata.”

Il Consiglio di Sicurezza è il centro del potere delle Nazioni unite a New York. Nel 1996 il Consiglio ha concesso all’Irak di vendere una parte delle sue riserve di petrolio per comprare cibo e altre merci essenziali: questo è noto come “Oil for Food”. Tutto il denaro ricavato dalla vendita del petrolio è controllato dal Consiglio di Sicurezza dominato dagli Stati Uniti che mantengono con la Gran Bretagna una linea dura sull’Irak. Tutto ciò che va all’Irak deve essere approvato da uno speciale Comitato per le Sanzioni gestito dal Consiglio. Questo Comitato ha bloccato costantemente il ripristino dei servizi essenziali in Irak: energia elettrica ed acqua corrente pulita. Per i bambini irakeni petrolio significa cibo, ma benchè sia stato detto agli irakeni che possono riparare la loro industria petrolifera danneggiata, contratti per attrezzature essenziali sono stati bloccati o ritardati a New York. Attualmente sono bloccate spedizioni disperatamente necessarie per un valore di oltre un miliardo e mezzo di dollari, compresi alimenti, attrezzature mediche salvavita, come quelle per la diagnosi e la cura del cancro, e macchinari a raggi X, macchine cuore-polmone, attrezzature antincendio, attrezzature agricole e sapone da toletta.

L’obiettivo dichiarato delle sanzioni è eliminare le armi di distruzione di massa dell’Irak. Poco prima del natale scorso, il Dipartimento dell’Industria e Commercio di Londra, ha bloccato una spedizione di vaccini destinati a proteggere i bambini irakeni contro la febbre gialla e la difterite. I vaccini, ha detto il ministro, potrebbero essere usati in armi di distruzione di massa.

Questo è Denis Halliday ex vice segretario generale delle Nazioni unite, il responsabile delle operazioni umanitarie in Irak. Nel 1998 si è dimesso accusando l’Occidente di distruggere una intera società. Lo abbiamo riportato per la prima in Irak. Nell’ambulatorio oncologico di questo ospedale ha rincontrato una bambina a cui ha salvato la vita.

“Questa bambina si chiama Saffa” dice Halliday “l’ho incontrata due anni fa in questo ospedale in condizioni molto brutte per la leucemia. Non è possibile occuparsi di migliaia di bambini ma di due, tre o quattro sì, e sono riuscito con l’aiuto dell’Organizzazione mondiale della Sanità a portare dei farmaci dall’estero, anche se in modo illegale, sufficienti per due anni di cura per questa bambina. Oggi è meravigliosa, bella, e fa la terapia solo una volta al mese. Quindi penso che sia quasi guarita dalla leucemia. Purtroppo questa è una dei quattro. Altri due sono morti quasi subito, purtroppo era troppo tardi per loro, mentre Saffa e un’altra bambina sono sopravvissute. Quando mi sono messo all’opera per salvare queste bambine ero un rappresentante delle Nazioni unite e ho dovuto violare le “mie” sanzioni economiche, cioè decretate dal Consiglio di Sicurezza guidato come sappiamo da Washington e Londra. Penso che oggi in questo ospedale abbiamo visto la prova della strage la cui responsabilità appartiene agli Stati membri del Consiglio di Sicurezza. Penso in particolare a Bill Clinton e Tony Blair, dovrebbero essere qui con noi per vedere personalmente l’impatto delle loro decisioni e cosa significa mantenere le sanzioni economiche. Vengono messe da parte le stesse dichiarazioni della Carta dell’Onu e della Dichiarazione dei Diritti umani. Stiamo facendo una guerra ai bambini ed al popolo dell’Irak attraverso le Nazioni unite con risultati incredibili, che non ci si aspetterebbe di vedere nemmeno in guerra in base alle Convenzioni di Ginevra. Stiamo colpendo dei civili, peggio, stiamo colpendo dei bambini come Saffa, che ovviamente non erano ancora nati quando l’Irak invase il Kuwait: come vogliamo definirlo? È una situazione mostruosa per le Nazioni unite, per l’Occidente, per tutti noi che facciamo parte di un sistema democratico e nei fatti siamo responsabili delle politiche dei nostri governi, dell’attuazione delle sanzioni economiche contro l’Irak.”

Quando al Segretario di Stato americano Madeleine Albright venne chiesto alla televisione se pensava che la morte di oltre mezzo milione di bambini fosse un prezzo che valeva la pena pagare, lei rispose: “Pensiamo che ne valga la pena”.

Precisa James Rubin, portavoce della Casa Bianca: “Non accettiamo la cifra di mezzo milione, quindi se si dice che il segretario Albright ha detto che mezzo milione è un prezzo che vale la pena pagare, noi non accettiamo questa cifra”.
Ribatte Pilger: “Ma derivano dall’Organizzazione mondiale della Sanità!”
E Rubin: “Anche se vengono dall’OMS derivano da una metodologia che non accettiamo. Accettiamo l’idea che nello scegliere e fare politica si debba scegliere di solito fra due opzioni cattive, non fra una buona e una cattiva, e sfortunatamente l’effetto delle sanzioni è stato peggiore di quello che ci si sarebbe aspettato. Quello che abbiamo cercato di fare è limitare questo effetto, come ho indicato, attraverso la pratica “oil for food” ed altri programmi per cercare di fornire cibo e medicinali alla popolazione irakena. E quindi quando il segretario Albright parlava di una scelta difficile, stava ammettendo la difficoltà di scegliere fra l’effetto delle sanzioni e l’idea di lasciare Saddam Hussein libero di imperversare. Ma non stava accettando la cifra di mezzo milione”.
Chiede Pilger: “Quanti bambini lei pensa siano morti?”.
Risponde Rubin: “Non abbiamo una cifra, non è un calcolo che si possa fare facilmente, e pensiamo che alcuni di coloro che avanzano queste cifre devono inevitabilmente utilizzare qualche metodologia dubbia!”.

Mentre i politici occidentali arzigogolano sulla metodologia, l’ultimo studio delle Nazioni unite dice che il tasso di mortalità infantile è raddoppiato durante le sanzioni, ovvero mezzo milione di morti in otto anni. Parla ancora la dottoressa Jinan Ghalib Assen: “Sono molto frustrata, ogni giorno mi trovo davanti a situazioni che non posso risolvere. Se i farmaci non sono disponibili in ospedale o se la famiglia è molto povera e non può in qualche modo farceli pervenire, tutti questi bambini sono destinati alla morte. Per me è una cosa molto dura, scontrarmi ogni giorno con l’impotenza verso questa realtà. Ogni nostra prospettiva si allontana. Cosa accadrà in futuro? Siamo destinati a perdere tutti questi bambini, una generazione futura. Perderemo questa generazione. Quale crimine hanno commesso i bambini irakeni per ricevere questa punizione? Quale crimine?”.

A Baghdad, quello che gli stranieri non vedono, sono le cliniche ben fornite dove Saddam Hussein e i suoi ricchi compari ricevono cure di prima classe, un’indicazione del fatto che le sanzioni non li hanno danneggiati minimamente. Perché la popolazione civile, compresi i bambini nati dopo la guerra del Golfo, persone innocenti, dovrebbero essere tenuti ostaggio per ottenere la sottomissione di un dittatore?

Risponde l’ambasciatore Peter van Walsum, presidente del Comitato delle Nazioni unite per le sanzioni all’Irak: “E’ un problema difficile, ma bisogna pensare una cosa: un regime di sanzioni non è una forma di aiuto allo sviluppo, le sanzioni…”
Lo interrompe Pilger: “Mi scusi ma sta parlando seriamente?”
Riprende van Walsum: “ Sì… seriamente… è appunto quello che sto cercando di dire… bisogna capire la natura di queste sanzioni. Esse sono una delle misure coercitive che il Consiglio di Sicurezza ha a disposizione in base al capitolo VII. Vale a dire che fanno parte di un insieme di misure che comincia con una risoluzione e che poi alla fine, proprio alla fine della scala, c’è l’azione militare. Le sanzioni sono la misura che viene proprio prima dell’azione militare. Ovviamente danneggiano, sono come una misura militare, sono come un’azione militare.”
Incalza Pilger: “Ma chi danneggiano? Questo è il punto chiave.”
“Infatti è questo il problema” risponde van Walsum, “anche con l’azione militare c’è l’eterno problema dei danni collaterali…”.
“Ma qui il danno collaterale è un’intera Nazione!” esclama Pilger, “scusi se la interrompo ma mi lasci dire solo questo: tutte le agenzie dell’ONU che si occupano di salute, alimentazione, agricoltura e infanzia, hanno ripetutamente riferito che decine di migliaia, tra i più vulnerabili nella società, sono morti, e stanno soffrendo a causa delle sanzioni. Questo lo chiama seriamente danno collaterale”?
Van Walsum: “No, non l’ho chiamato danno collaterale…”
“Beh, ma ne stava facendo un paragone…!” lo interrompe Pilger.
“No, stavo dicendo” riprende van Walsum “che l’azione militare porta dei danni collaterali. Le sanzioni vengono subito prima dell’azione militare, ma naturalmente hanno anche effetti indesiderati. Sono d’accordo con lei che dobbiamo studiare il problema ulteriormente e in modo più esteso per vedere come si può migliorare la situazione senza permettere al regime di farla franca rispetto all’eccessivo, documentato interesse, del governo irakeno per le armi di distruzione di massa”.
“Bene” dice Pilger “allora perché non ci sono sanzioni contro Israele che possiede armi nucleari in Medio Oriente?”
“Beh, ma Israele” risponde van Walsum “è circondato da Paesi che hanno cercato di cancellarlo, non è esattamente la stessa situazione”
“Ma possiede armi nucleari…!” insiste Pilger.
“… sì… ma non abbiamo ancora attaccato… imposto sanzioni su ogni Paese…”
“Ma Israele attacca il Libano quasi ogni giorno della settimana!” dice Pilger “e ancora: perché non ci sono sanzioni contro la Turchia? Hanno costretto alla fuga tre milioni di curdi e ne hanno causato la morte di forse 30.000. Perché non ci sono sanzioni contro la Turchia?”.
“… beh…” risponde imbarazzato van Walsum “… certo… ci sono Paesi che fanno cose di cui non siamo contenti, ma questa è la situazione che si è determinata in seguito all’invasione del Kuwait. E questa è la spiegazione.”
Chiede Pilger: “Lei pensa che le persone abbiano dei diritti umani indipendentemente dal luogo e dal sistema in cui vivono? Che i diritti umani appartengano all’individuo?”.
“Sì” afferma van Walsum.
“Bene,” riprende Pilger “questo non significa che se si applica questo concetto all’Irak, l’effetto di queste sanzioni documentato dalle stesse Nazioni Unite, stanno violando i diritti umani di milioni di persone?”
“I diritti umani in Irak” risponde van Walsum “sono un problema molto difficile. È documentato anche dalle Nazioni unite che il regime ha commesso violazioni assai gravi dei diritti umani. Ne è a conoscenza?”
“Naturalmente” risponde Pilger.
“Bene” riprende van Walsum “quindi penso che siamo costantemente preoccupati dei diritti umani in un modo o nell’altro. Non c’è differenza”
“Lei ha detto che sono un problema molto difficile, ma i diritti umani appartengono agli irakeni, lei sarà d’accordo. Indipendentemente dal fatto che siano stati fortunati o sfortunati a nascere in Irak, il fatto di farli soffrire non viola questi diritti umani?”.
Risponde van Walsum: “Sì, natuaralmente, è proprio ciò che dico. Dico che non vogliamo danneggiare la popolazione irakena, e questo è il motivo per cui stiamo cercando di migliorare il sistema…”
“Sì, va bene” si spazientisce Pilger “ma il numero di bambini che muoiono ogni mese, 4000 sotto i cinque anni! Cifre terribili! Questo è noto da anni… perché ci vuole tanto a decidere come superare questo cosiddetto problema complesso?”
“Penso che avremmo potuto risolvere la questione piuttosto facilmente” dice van Walsum “se tutti i membri del Consiglio di Sicurezza fossero determinati a migliorare quella situazione. Ma al tempo stesso si deve assicurare garanzia che l’Irak non sviluppi di nuovo armi di distruzione di massa. Il fatto che le maggiori potenze siano in disaccordo su questo rende assai difficile risolvere la questione”.

Dice Denis Halliday: “Stiamo distruggendo attraverso il Consiglio di Sicurezza i diritti umani del popolo irakeno. Per molti di noi questa è una situazione particolare, in cui l’organo mondiale della pace e della sicurezza sta trascurando le stesse disposizioni della Carta, della stessa Organizzazione. È un fenomeno straordinario: non c’è democrazia nel Consiglio di Sicurezza, io credo che se la questione delle sanzioni all’Irak, dopo nove lunghi anni, passasse all’Assemblea generale, vedremmo un’ampia maggioranza ribaltare queste posizioni domani!”

Il 13 febbraio quest’uomo si è dimesso dal suo incarico: Hans von Sponeck, il rappresentante delle Nazioni unite in Irak ha seguito il suo predecessore Denis Halliday dicendo di non poter più tollerare la sofferenza provocata dalle sanzioni: “Penso che non sia giusto rendere una popolazione civile oggetto di contrattazione per un periodo di tempo così lungo. Troppo spesso quello che qui si vede è esattamente questo.” Due giorni dopo la responsabile del World Food Program in Irak, Yubda Burgath, si è dimessa a sua volta dicendo che neanche lei poteva tollerare ciò che veniva fatto al popolo irakeno. Le Nazioni Unite non hanno mai conosciuto una ribellione di questo tipo. “Non è nell’interesse del futuro dell’Irak” dice von Sponeck “né in quello di una stabilità regionale, né in quello di una maggiore armonia di tutta la comunità, consentire che un paese come l’Irak cominci un altro anno di privazioni. Questa discussione su come l’Irak si deve comportare non dovrebbe essere fatta sulle spalle della popolazione civile.” Per tutto lo scorso anno, la pressione sugli alti funzionari delle Nazioni unite perché non parlassero chiaro, è stata incessante. Essa è venuta dal Dipartimento di Stato a Washington e dal governo britannico.
Dice il portavoce americano James Rubin: “Noi pensiamo che il lavoro del coordinatore in Irak non sia quello di interpretare le decisioni del Consiglio di Sicurezza sulla pace internazionale, che è proprio ciò che il Consiglio è chiamato a decidere, e cioè su cosa sia più pericoloso per il mondo. E crediamo che il mondo sarebbe più pericoloso se alcune delle opinioni dei funzionari umanitari delle Nazioni unite venissero accettate dal Consiglio di Sicurezza. Il loro lavoro in Irak è quello di amministrare un programma.”
Risponde Halliday: “Penso che sia un segnale che in qualche modo l’accusa di genocidio che ho fatto, ad esempio contro la Gran Bretagna , si stia avvicinando alla verità. E penso che ci sia un senso di disagio a Washington e a Londra, perché sanno che ciò che molti di noi hanno detto, e che ad esempio hanno detto alcuni parlamentari, è giusto. Sanno che i libri di storia parleranno di questo in modo tale che a mio avviso il Consiglio di Sicurezza, le Nazioni unite, Washington, Londra, saranno massacrati.”

Sono venuto in questa strada di Baghdad con Denis Halliday. È qui che le persone vendono i loro libri per comprare cibo e medicinali per le proprie famiglie. “Cosa significano libri come questi? Per la maggior parte sono libri di medicina, il tipo di libri che è improbabile vedere in una fiera del libro come questa.” (risposta): “Vuol dire che i professionisti irakeni sono costretti a vendere le loro collezioni, le loro biblioteche per avere denaro. Essenzialmente per portare del cibo in tavola per nutrire i loro bambini. È forse una tragedia particolare in Irak, data la storia della Mesopotamia. L’arte della scrittura si era sviluppata in questo Paese, e gli irakeni hanno un rispetto straordinario per la cultura e i libri. Così questo dimostra, io credo, la devastazione che le sanzioni economiche stanno creando per il popolo irakeno. Avete visto un collasso nella qualità della vita, ovviamente, ma ci sono anche le conseguenze sulle persone. Gli uomini sfuggono dalle loro responsabilità familiari, perché sono disoccupati, non hanno un reddito, essi semplicemente non sanno affrontare la realtà. Si vedono bambini strappati alla scuola per essere messi sulle strade a mendicare o a darsi alla piccola criminalità. C’è una nuova forma di criminalità violenta, in Irak c’è una corruzione che prima non c’era. La gente cerca danaro ed è pronta ad umiliarsi per un po’ di soldi, cosa che non sarebbe mai accaduto in passato, così c’è questo sgretolarsi dei valori e l’impossibilità di accedere ai viaggi, alla tecnologia, all’istruzione, ai libri, a tutte le cose buone che tutti vogliamo dalla vita. C’è un lento trascinarsi in una sorta di discesa a spirale, direi, della vita in tutti i suoi vari aspetti.”

Stati Uniti e Gran Bretagna dicono che obiettivo delle sanzioni è la minaccia costituita da Saddam Hussein, non il popolo irakeno: ma da dove è venuto Saddam Hussein? Come ha avuto le sue armi di distruzione di massa e chi gli ha dato questo potere? Le risposte si possono far risalire alla scoperta del più grande tesoro imperiale: il petrolio.

Nel 1921 gli inglesi crearono un’altra monarchia del deserto installando a Baghdad un obbediente re Feisal. All’Irak fu concessa una indipendenza nominale mentre il potere reale rimaneva a Londra di modo che il petrolio e i suoi profitti continuassero ad affluire in Occidente. Nel 1958 in Irak andò al potere un governo nazionalista e Washington intervenne immediatamente. Entro cinque anni il governo irakeno fu rovesciato con l’aiuto della Central Intelligence Agency, la CIA, che affermò trattarsi di una grande vittoria. Il nuovo regime era dominato dal partito Baath, che nel 1979 produsse un leader con cui l’Occidente poteva fare affari: Saddam Hussein.

“Era un figlio di puttana” disse un funzionario della CIA “ma era il nostro figlio di puttana.”

Dice Robert Gates, direttore della CIA nel periodo 1991/93: “Non penso che ci siano mai state illusioni su Saddam Hussein, tutti sapevamo dall’inizio che questo era un uomo che era arrivato al potere supremo in Irak estraendo personalmente un revolver e sparando al suo predecessore durante una riunione di governo. Non era un democratico né un riformatore agrario, ma sostanzialmente un criminale, e un criminale che aveva idee molto buone su come mantenersi al potere, e aspirazioni notevoli.”

Saddam ha molto per cui ringraziare la CIA: per aver portato il Baath al potere, per aver mantenuto il Baath al potere, per averlo aiutato personalmente, per avergli fornito aiuto finanziario durante la guerra con l’Iran, per averlo protetto contro colpi di stato interni. È un rapporto che continua dagli anni ’60 ad oggi, ed è un rapporto odio-amore. A Washington il rapporto con Saddam Hussein è stato spesso cinicamente chiamato la “storia d’amore”. Come si legge in un’inchiesta del Senato americano, i presidenti Reagan e Bush hanno corteggiato segretamente e illegalmente Saddam Hussein con uno slancio sconsiderato. In Gran Bretagna la stessa storia d’amore sbocciò tra il governo Thatcher e Saddam Hussein. I ministri facevano la fila per ossequiarlo e offrirgli accordi commerciali e prestiti… in effetti quasi tutto ciò che voleva. Gli hanno venduto elicotteri, munizioni, apparecchiature elettroniche. Gli hanno venduto uniformi e stivali anti-nucleari, biologici e chimici, gli hanno venduto attrezzature molto importanti. Nella guerra contro l’Iran, la Gran Bretagna come altri paesi europei e gli Stati Uniti, si schierarono tutti con Saddam Hussein e non vollero sapere niente altro di ciò che stava accadendo in Irak. Chi si opponeva a Saddam, le violazioni dei diritti umani che avvenivano: tutto ciò veniva messo deliberatamente da parte. Sapevano molto bene che Saddam Hussein stava uccidendo gli irakeni, che la repressione in Irak era a livelli senza precedenti, che egli usava armi chimiche contro gli iraniani e contro gli irakeni. Gli ingredienti per le armi biologiche di Saddam Hussein spesso venivano dalla Gran Bretagna e dall’America, e impiegavano l’antrace prodotto nei laboratori di Port on Down e il botulino prodotto da questa società del Maryland, vicino Washington. È perché l’Occidente aveva fornito i mezzi per fabbricare tante armi di distruzione di massa, che quando furono imposte le sanzioni il Consiglio di Sicurezza insistette perché venissero distrutte.

Uno di coloro che vennero mandati a svolgere questo lavoro era Scott Ritter, ispettore capo delle Nazioni unite per gli armamenti in Irak: “Nel 1991 l’Irak possedeva notevoli capacità nel settore delle armi chimiche e biologiche, capacità di produzioni di armi nucleari e missili balistici a lunga gittata. Nel 1998, l’infrastruttura per le armi chimiche era stata completamente smantellata o distrutta dall’Anscom o dall’Irak stesso secondo il mandato dell’Anscom. Il programma per le armi biologiche era stato eliminato nella sua totalità anche se in ritardo, tutte le strutture principali erano state eliminate, il programma per gli armamenti nucleari a sua volta completamente eliminato, il programma per i missili balistici a lunga gittata completamente eliminato. Tutto ciò che restava era la ricerca, lo sviluppo e la capacità di fabbricare missili di gittata inferiore a 150 km, una attività permessa. Tutto quello che ci accingemmo a distruggere nel 1991, l’infrastruttura fisica era stata eliminata. Così, se io dovessi quantificare la minaccia dell’Irak in termini di armi di distruzione di massa, la minaccia reale è zero, nessuna.”

Chiede Pilger: “Che cosa risponde a chi dice, d’accordo, può darsi che lui non sia una minaccia adesso, ma potrebbe esserlo in futuro?”. Risponde Ritter: “Gli ispettori devono tornare in Irak per completare il loro mandato. Quel mandato adesso deve essere riconfigurato. Il mandato era stato formulato in termini di disarmo quantitativo, rendere conto di ogni dado, vite, bullone, documento esistente in Irak, e finchè l’Irak non l’avesse fatto non avrebbe ottemperato alle richieste. Bisogna riformulare questo mandato per un disarmo qualitativo. Oggi l’Irak ha un programma di armi chimiche? No. Ha un programma di missili balistici a lunga gittata? No. Nucleare? No. Biologico? No. L’Irak è qualitativamente disarmato? Sì. Si mandino gli ispettori per certificare questo e poi si continui il monitoraggio per assicurare che non ricostruiscano nessuna di queste capacità.”

Per coloro che continuano a pagare il prezzo delle sanzioni c’è un’altra terribile ironia: la maggior parte dei soldati irakeni e dei civili che morirono nella guerra del Golfo erano curdi e sciiti, quelli stessi che il presidente Bush invitò a ribellarsi contro Saddam Hussein e che quando lo fecero nel febbraio 1991, vennero brutalmente traditi. Il 5 marzo 1991 l’autorità di Saddam Hussein nel sud dell’Irak era crollata e la sollevazione popolare si era estesa qui a Bassora, la seconda città dell’Irak. Per il popolo irakeno sembrava ci fosse un nuovo inizio a portata di mano, allora i vecchi alleati di Saddam a Washington intervennero giusto in tempo. L’opposizione interna del Paese ovviamente ascoltò l’Occidente e si sollevò contro Saddam Hussein, ma si trovarono difronte gli Stati Uniti, in modo particolare, che aiutarono Saddam Hussein contro di essa. Essi impedirono ai ribelli che si erano sollevati contro di lui di raggiungere i depositi di armi, negarono loro rifugio, volavano sopra gli elicotteri di Saddam mentre questi li attaccavano. Essi permisero alla sua Guardia repubblicana di passare attraverso le loro linee per attaccare i ribelli. Fecero di tutto… tranne che unirsi nei combattimenti al loro fianco.

Questo video straordinario è stato filmato in segreto da due coraggiosi irakeni (scorrono le immagini) fra le truppe ribelli, uno degli operatori rimase ucciso. Un consigliere del presidente Bush disse in seguito: “Gli Stati Uniti non potevano consentire che Saddam Hussein fosse rovesciato senza sapere che il suo sostituto avrebbe sostenuto la politica americana.”
Questi sono soldati irakeni sollevatisi contro Saddam Hussein (scorrono le immagini) che stanno per essere portati via e fucilati. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno detto che le sanzioni non verranno tolte finchè questo mostro, Saddam Hussein, non se ne andrà. E così si usano a vicenda per giustificare i crimini contro il popolo irakeno. Essi sono stati contro Saddam solo quando ha minacciato i loro interessi, perché Saddam era il “nostro amico” contro i “nostri nemici”, qui non c’è questione di principio, non c’è democrazia da perseguire e difendere, non ci sono diritti umani da proteggere: sono i “nostri amici” e i “nostri interessi”. La principale questione in gioco è che l’Irak non deve essere mandato in rovina come Paese, e il popolo irakeno non deve essere ucciso su tale scala con il pretesto di negare a Saddam Hussein la possibilità di sviluppare armi di distruzione di massa. Le due questioni sono molto diverse: l’Irak è un Paese, l’Irak non è Saddam Hussein.

Dovunque si vada, nel sud dell’Irak, c’è polvere: nelle strade, nei cortili delle scuole, ti entra nel naso, nella gola e negli occhi… e porta i semi del cancro. Uno degli effetti nascosti delle sanzioni è che l’Irak non può bonificare i suoi campi di battaglia. Durante la guerra del Golfo, Stani Uniti e Gran Bretagna lanciarono proiettili rivestiti di uranio impoverito, una fonte di radiazione usata nelle armi nucleari. Il professor Doug Rokke è un ex fisico-medico dell’esercito americano che fu incaricato di bonificare il Kuwait nel 1991 e divenne a sua volta una vittima. Ha in corpo un livello di radiazioni di 5000 volte superiore a quello raccomandato. Egli racconta: “Era in tutto l’Irak e il Kuwait, e anche in Arabia Saudita a causa dei test e della preparazione delle munizioni. Così copre l’intera regione. La contaminazione era estesa. Le vittime erano grottesche, probabilmente avete sentito il termine “creatura croccante”, cioè le persone che si trovano in un veicolo colpito da munizioni all’uranio impoverito, se sopravvivono riportano ustioni e schegge di proiettile a seconda di dove si trovavano, ma quelle che muoiono vengono letteralmente bruciate e assumono l’aspetto di un manichino carbonizzato. L’effetto poi dipende dal fatto che una persona lo abbia respirato, inalato, ne abbia assunto mangiando o bevendo, o che la contaminazione da uranio derivi da una ferita aperta, e così allora, a seconda della quantità assunta, sono possibili problemi respiratori, renali, tumori, insomma quello che vediamo oggi.” Secondo le stime del comitato atomico irakeno, le persone inquinate vanno dal 40 al 48% della popolazione che all’epoca viveva nella città di Bassora. Tutti questi pazienti potrebbero sviluppare il cancro nel corso della loro vita. Forse dopo un anno, due… dieci o quindici, così la metà della popolazione ha la probabilità di ammalarsi di cancro. A meno che venga fatta una bonifica ambientale totale e venga fornita assistenza medica, gli effetti sono permanenti e durano per sempre. È come una epidemia, in un certo senso è come la tragedia di Hiroshima, e si ripete qui.

Chiede Pilger alla dottoressa Ghalib Assen: “Dottoressa, che cosa dice a coloro che affermano che non sia possibile dimostrare il legame fra la contaminazione da uranio impoverito e le deformità di questi bambini?”
Risponde la dottoressa: “Non è vero. C’è una relazione fra le malformazioni congenite e l’uranio impoverito. Prima di queste cose non ne vedevamo affatto, ora vediamo tante malformazioni congenite e cose molto strane. Se non c’è un legame perché prima queste cose non succedevano? Molti di questi non hanno alcuna storia familiare. Come ad Hiroshima sono aumentate le percentuali di malformazioni congenite, di tumori: tumori maligni, leucemie, tumori cerebrali.”
“Prima delle sanzioni avevate tutti i medicinali che vi servivano?” chiede Pilger.
“Avevamo tutto” risponde la dottoressa.

Perché si è permesso che la sofferenza del popolo irakeno continuasse anno dopo anno? Esiste un altro piano? Annientare l’Irak dà agli Stati Uniti un maggior controllo sul Medio Oriente mentre l’Occidente si espande su un nuovo vasto protettorato petrolifero che va dal Golfo persico all’ex Unione Sovietica. Può darsi che l’Irak rappresenti un modello su come controllare questo nuovo ordine con l’arma delle sanzioni e dei bombardamenti. La portata vera e propria dei bombardamenti sull’Irak è un segreto ben custodito. Fra il maggio ’98 e il gennaio 2000, l’aviazione e la marina americana hanno fatto 36.000 raid nel sud dell’Irak, la cifra comprende 24.000 missioni di combattimento. In questo monastero cristiano nel nord, dove è seppellito San Matteo, i monaci riferiscono di bombardamenti costanti e dell’uccisione di persone che lo scorso anno erano venute per vedere l’eclisse. Un anno di bombardamenti sull’Irak da parte della Royal Air Force è costato al contribuente britannico oltre 60 milioni di sterline. Dal dicembre 1998, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno condotto una guerra in gran parte nascosta, nel nord e al sud. Le missioni di bombardamento dei piloti contro l’Irak sono quasi pari a quelle della NATO nel suo attacco alla Jugoslavia, e tuttavia con poche eccezioni degne di nota, di questo quasi non si è parlato in Gran Bretagna e Stati Uniti. I bombardamenti non hanno base legale e non sono stati approvati dall’ONU. Ministri del Governo britannico hanno sostenuto ripetutamente che i piloti attaccano solo se minacciati. Tony Blair ha detto al Parlamento che i bombardieri svolgevano solo, cito alla lettera: “solo compiti umanitari vitali per proteggere le persone”.

“Sono arrivata con un collega solo pochi giorni dopo che era successo” racconta una giornalista occidentale indipendente “e ho scoperto che al nord e nel sud dell’Irak venivano bombardati greggi di pecore, malgrado il ministero della difesa britannico lo avesse negato. Così siamo venuti a vedere se era vero ed abbiamo trovato tutta questa area coperta di pecore morte con chiari danni da esplosione, un grande serbatoio dell’acqua pieno di quelli che sembravano fori da proiettile. Eravamo qui in piedi, fra il fetore delle pecore, e si è fermata una macchina, qui sopra, era un membro della famiglia allargata, uno della famiglia di quelli che erano stati uccisi, e hanno detto che quando è successo era un venerdì, giorno di festa, e quindi gli abitanti del villaggio erano scesi tutti. Circa quaranta, cinquanta di loro stavano facendo colazione insieme e quando se ne sono andati hanno lasciato la famiglia di sei: il nonno, il padre e quattro figli, di cui il maggiore di 13 e il minore di sei, li avevano lasciati a custodire le pecore. Quando gli abitanti del villaggio sono tornati hanno sentito l’aereo ed hanno sentito, ed è una storia molto coerente, cadere le bombe. Sono scesi correndo e a vedere se potevano aiutare. Hanno cercato dal mattino presto fino al crepuscolo per trovare i corpi e poterli seppellire entro le dodici ore secondo i precetti dell’Islam, ma al crepuscolo avevano trovato solo pezzi di corpi… potete guardarvi attorno fin dove arriva l’occhio, è un posto isolato, completamente isolato, e come tale sarebbe stato assolutamente visibile dal cielo, sia le pecore che i membri della famiglia. Quando sono tornata a Londra ho telefonato al ministero della difesa e ho detto: sono appena tornata da Mosul… e state bombardando le pecore! Vorrei sapere se avete qualcosa da dire! E il funzionario mi ha risposto senza fare una piega: ci riserviamo il diritto di agire con durezza se minacciati. E io ho esclamato: contro delle pecore? E a quel punto ho lasciato perdere”.

Questo è un rapporto interno delle Nazioni unite preparato dalla Sezione Sicurezza dell’ONU. Esso rivela che in cinque mesi quasi metà delle vittime delle vittime dei bombardamenti erano civili in obiettivi che comprendevano: un’area residenziale, villaggi, un pontile per la pesca, terreni agricoli e pecore. Ho parlato al telefono con Hans von Sponeck a Baghdad proprio prima che si dimettesse, mi ha dato le ultime cifre dei bombardamenti: “Nel periodo dal primo gennaio al quindici settembre 1999, qui alle Nazioni unite a Baghdad, abbiamo registrato 99 raid aerei, sia nella no-fly zone a nord che in quella a sud. In 23 occasioni personale dell’ONU ha visto o sentito i raid o sentito anche le onde d’urto. E in tre occasioni io stesso con dei colleghi sono stato testimone di vittime civili.”

Pilger chiede a John Rubin: “Perché è idealistico pretendere che a questi bambini sia consentito vivere? E non c’è dubbio, lo affermano gli alti funzionari dell’ONU che amministrano gli aiuti umanitari, che questi bambini vivrebbero se fossero tolte le sanzioni.”
Risposta: “Non posso accettare il loro giudizio perché il nostro è che anche prima delle sanzioni in Irak c’erano gravi problemi di povertà e di salute. Sostenere che una volta tolto il bastone delle sanzioni tutti i problemi improvvisamente scomparirebbero… non è vero. I nostri cuori, come quelli di chiunque, vanno alle persone che vivono in Irak, ma dobbiamo prendere decisioni reali che hanno conseguenze reali nei Paesi, nella regione, nell’affrontare il problema curdo. Saddam Hussein ha gasato i curdi. È una realtà molto, molto più cruda della questione di fino a che punto le sanzioni abbiano danneggiato il popolo irakeno. Dobbiamo mettere a confronto il nostro profondo dispiacere per la tragica sofferenza degli irakeni con la sfida alla sicurezza internazonale che Saddam Hussein porrebbe al mondo se non fosse tenuto a freno dalle sanzioni e dalla politica di contenimento. È il calcolo che in definitiva devono fare i politici. Ma la prospettiva migliore per poter ottenere una soluzione attraverso misure diplomatiche, è non lasciare a Saddam Hussein nessun dubbio circa la nostra determinazione a vincere questa lotta.”

Per due mesi abbiamo chiesto un’intervista al ministro degli esteri inglese Robin Cook, e ci è stato detto che non voleva comparire in un film insieme con dei bambini morenti. Volevo domandare a Cook se era d’accordo con la sua amica americana Madeleine Albright che la morte di mezzo milione di bambini era un prezzo che valeva la pena pagare per le sanzioni. Volevo domandargli perché ai bambini irakeni vengono negate forniture mediche vitali come i vaccini, e perchè le bombe inglesi e americane piovono sui bambini. Solo due persone non sono state disposte a comparire in questo film: Saddam Hussein e Robin Cook. Questo solleva un interrogativo importante: a differenza degli altri che avete visto intervistati, solo il Foreign Office (ministero degli esteri inglese di cui Cook ricopre il dicastero) aveva chiesto un trattamento speciale, una proiezione esclusiva del film seguita da dieci minuti di un contributo non tagliato di Mr. Cook proprio alla fine. In altre parole volevano il controllo editoriale. È così che oggigiorno si garantisce la responsabilità politica in una democrazia? Di cosa ha paura il Governo britannico? Cos’hanno da nascondere?

All’alba del nuovo millennio come deve essere giudicata la civiltà occidentale? Dalle belle parole della Dichiarazione universale dei diritti umani? Parole come diritto alla vita? O dall’aver negato questo diritto ad un’intera nazione? I rappresentanti dei potenti che siedono qui al Consiglio di Sicurezza pensano mai, aldilà dei loro cosiddetti interessi e manovre, alle loro vittime? Bambini che muoiono inutilmene dall’altra parte del mondo. E qui politici che ci parlano di etica e delle loro crociate morali, si chiedono mai in base a quale autorità divina puniscono 21 milioni di persone per il comportamento indegno di un dittatore? Pensiamo che ne valga la pena, dice Madeleine Albright. No, non è così, e non lo sarà mai. Ed è tempo di riformare le Nazioni unite. Mentre guardavate questo film, tantissimi bambini sono morti in silenzio in Irak, quanti altri ne devono morire prima che il silenzio sia rotto?

Per ulteriori informazioni e aggiornamenti sulla vicenda irakena: www.unponteper.it

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