Israele e Gaza: se questa è informazione…

Torniamo sulla questione della disinformazione proveniente dal mainstreaming, la parola con cui si indica in genere la diffusione massiva da parte dei grandi media di notizie, informazioni e commenti destinati a dominare l’opinione pubblica.

Costruire l’opinione pubblica

Abbiamo preso come esempio l’informazione che è stata diffusa dal servizio pubblico sull’aggressione israeliana contro Gaza, di cui su clarissa.it abbiamo sinteticamente raccontato le origini immediate.

La prima osservazione che facciamo è che purtroppo siamo tutti abituati ad ascoltare distrattamente i telegiornali ed in genere, oramai, tutto quanto è multimediale: invece, avendone la possibilità, analizzare un contenuto, come ci proponiamo brevemente di fare qui, è molto utile, perché ci permette di osservare come viene “costruita” l’informazione.

È un esercizio che dovremmo ripetere più spesso, e dovremmo spiegarlo più spesso alla gente, per aumentare la consapevolezza degli ascoltatori.

L’esempio che abbiamo prescelto è il telegiornale delle 20 di Rai 1, di sabato 15 maggio 2021, di cui riportiamo prima il video, e di cui poi esaminiamo la trascrizione.

 

Quanto tempo?

Le notizie che riguardano la situazione in Palestina coprono poco meno di 4 minuti nel telegiornale.

Notiamo come prima cosa che di questi pochi minuti, 3 su 4 vengono utilizzati dai “corrispondenti” Rai che riferiscono da Israele.

Essi non solo si concentrano su quanto accaduto nello Stato ebraico, ma addirittura ripetono per ben due volte la medesima notizia, quella di un razzo di Hamas che ha colpito Ramat Gan, replicandola addirittura come “aggiornamento” sulla situazione, in chiusura del pezzo.

È normale che l’ascoltatore riporti quindi complessivamente l’impressione che sia preponderante la minaccia missilistica su Israele, cosa che certo non corrispondente alla realtà, non fosse altro che per il potenziale tecnologico e organizzativo dello Stato ebraico, rispetto ad Hamas ed alle altre minori organizzazioni palestinesi.

Vittime e non vittime

La documentazione filmata che accompagna i servizi, a parte i pochi secondi iniziali, dedicati al chirurgico abbattimento del palazzo dei media a Gaza, riguarda esclusivamente Israele, rafforzando in tal modo in che ascolta e guarda l’impressione di un maggiore impatto del conflitto sulla popolazione d’Israele.

Mentre vengono mostrati e fatti parlare ben due testimoni oculari israeliani, nulla viene portato a documentare visivamente la situazione dei civili Palestinesi, né da Gaza né dalla Cisgiordania.

Dire e soprattutto non dire

La prima cosa che colpisce particolarmente è il fatto che non venga fatto alcun riferimento al bilancio delle vittime, che a quella data erano in rapporto di 10 a 1.

Viene ricordato il massacro nell’edificio palestinese di Shati, riportando la pretestuosa affermazione israeliana («Quel palazzo era usato dai miliziani di Hamas»), come se essa bastasse a giustificare il massacro – senza per altro fare cenno alle altre numerose vittime dei massicci bombardamenti effettuati su Gaza.

Nonostante l’evidenza dei numeri, si ritiene fondamentale riportare testualmente l’affermazione del premier israeliano Netanyahu («Facciamo di tutto per evitare vittime tra i civili»).

La seconda è l’incredibile collegamento che viene effettuato, intervistando il sindaco di Ramat Gan, tra il razzo lanciato da Hamas sul centro abitato israeliano e addirittura i missili di Saddam Hussein: un nome che tutti ricordano come di un capo di Stato mediorientale alla testa di un Paese sovrano, dotato di un cospicuo potenziale militare, pur tuttavia annientato in pochi giorni dall’intervento occidentale nel 1991.

Quasi che Hamas non operi invece da un territorio occupato da decenni da Israele, in barba a numerose risoluzioni Onu: territorio di cui lo Stato ebraico dovrebbe garantire decente sopravvivenza e sicurezza, e che invece viene periodicamente usato come punching ball ogni volta che occorre riaffermare la superiorità militare della Stella di David.

Terzo punto, di cui occorrerà rammentarsi è che, nonostante la Rai e le altre testate del mainstreaming ogni giorno si diffondano sul diritto all’informazione ed alla sicurezza dei giornalisti, in questa occasione la graziosa conduttrice, al sicuro nei confortevoli uffici romani, nulla si sente di dire, né lo fanno i corrispondenti accreditati presso lo Stato ebraico, sull’evidente “asimmetria informativa” che si determina d’ora in avanti in Terra Santa dopo la distruzione del palazzo dei media a Gaza, la cui risibile giustificazione israeliana («Quel palazzo era usato dai miliziani di Hamas») viene invece diligentemente riportata.

Si ritiene di avere esaurientemente informato l’ascoltatore in merito alla «diplomazia al lavoro» per il cessate il fuoco, facendo menzione della presa di posizione (chiede una riunione straordinaria!) da parte di Di Maio, di peso certamente fondamentale nel modificare l’intero quadro internazionale mediorientale.

Nel frattempo ci si dimentica invece, chissà perché, di ricordare che gli Stati Uniti d’America, oltre ad essere i principali fornitori di armamenti allo Stato d’Israele, si sono opposti in sede ONU alla presentazione di una risoluzione su quanto lì sta avvenendo, in spregio al diritto internazionale!

Non si informano gli ascoltatori, ad esempio, che l’amministrazione Biden, l’osannato presidente democratico Usa, ha notificato al Congresso degli Stati Uniti d’America, il 5 maggio scorso la vendita programmata a Israele, per un controvalore di 735 milioni di dollari, di Joint Direct Attack Munitions (JDAMs) e di bombe di piccole dimensioni (Small Diameter Bombs), cioè esattamente gli stessi tipi di munizioni che vengono utilizzate da Israele per abbattere le abitazioni civili, le scuole, il palazzo dei gironalisti, il centro Covid di Gaza.

Senza parole

Consigliamo al lettore, per strappargli un sorriso, di rivedere con attenzione la fine del servizio, quando, dopo aver ripetuto per la seconda volta la stessa notizia, il nostro simpatico Raffaele Genah si trova a corto di notizie, non sa più proprio cosa dire e borbotta imbarazzato una frase (a dire il vero assai poco comprensibile) sull'”incrocio” tra Gaza e Tel Aviv.

Riguardatela, per cortesia. Se questa è informazione pubblica

 

TELEGIORNALE RAI 1
sabato 14 maggio, ore 20 – trascrizione

Buonasera a tutti dal TG1.
Sesto giorno di operazioni militari in Medio Oriente.
Non si fermano i raid israeliani sulla striscia di Gaza: dopo le bombe della notte, Israele avverte: attacchiamo il grattacielo sede dei media internazionali a Gaza, che crolla dopo i colpi.
Protesta dell’Associated Press. Telefonata tra Biden e Netanyahu.
Anche il lancio di razzi di Hamas non conosce tregua.
Sentiamo Angelo Figurini.
Il palazzo delle televisioni internazionali a Gaza non c’è più, bombardato dagli aerei, crolla su se stesso. Pochi minuti prima, avvertiti ed evacuati, i giornalisti
chiedevano di recuperare almeno il materiale, per continuare almeno a lavorare. Risposta negativa delle 16.
«Siamo inorriditi» la reazione della Associated Press, che aveva lì i suoi reporter: «Israele deve garantire la sicurezza dei giornalisti», twitta la portavoce della Casa Bianca.
«Quel palazzo era usato dai miliziani di Hamas», la motivazione ufficiale d’Israele.
Il premier Netanyahu telefona a Biden: «Facciamo di tutto per evitare vittime tra i civili».
I cronisti stranieri ora però lamentano: «Raccontare quello che succede a casa sarà difficile».
Sesto giorno di guerra.
24 ore in cui non sono mai fermati né gli aerei israeliani né i razzi di Hamas, arrivati di nuovo fino a Tel Aviv:
«Possiamo lanciarli per sei mesi sulla vostra città», minaccia Hamas «È la nostra risposta ai bombardamenti di stanotte a Gaza».
I raid israeliani avevano distrutto un palazzo nel campo profughi di Shati: «Ci abitavano uomini di Hamas» spiega l’esercito, ma nello stesso edificio abitava una famiglia. Muoiono la madre e quattro figli e altri cinque parenti.
L’episodio infiamma le proteste anche in Cisgiordania.
Diplomazia del mondo al lavoro per un cessate fuoco.
Biden telefona al presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen.
L’Italia con Di Maio chiede all’Europa una riunione straordinaria sulla crisi in Medio Oriente, ma per ora a parlare sono i razzi e le bombe.
Il lancio di razzi di Hamas da Gaza non diminuisce: un uomo è rimasto ucciso a Tel Aviv, e allora vediamo il reportage del nostro corrispondente Raffaele Jenah.
Decine ne irrompono all’improvviso le spiagge delle strade i locali di Tel Aviv e delle altre città centrali sulla costa, affollate nel giorno dello Shabat, si svuotano in un istante, e partono i colpi delle batterie antimissile Iron Dome
Un colpo riesce ad arrivare qui a Ramat Gan nei sobborghi della città, centrando un’auto e l’onda d’urto investe cinque palazzi: un uomo resta ucciso.
«Ero nel rifugio, altri due metri avrebbe colpito la mia casa» – racconta questa donna.
«Il terrore negli occhi della gente» commenta il proprietario di questo negozio di tabaccheria.
Hamas rivendica questi lanci come la rappresaglia per la morte di dieci persone, tra cui otto bambini, nel campo profughi di Shati nella zona nord di Gaza…
E la memoria torna al 1991 quando, durante la Guerra del Golfo, proprio questa zona fu bersagliata da oltre 30 razzi di Saddam Hussein.
«Ricordo ancora la paura di quei giorni – dice il sindaco – e il trauma che abbiamo vissuto: dopo 30 anni la morte e terrore arrivano ancora dal cielo»
E per gli ultimi aggiornamenti in diretta, il corrispondente Raffaele Genah:
«Sì, il missile è caduto proprio qui, centrando il palazzo alle mie spalle, come abbiamo visto nel servizio, un uomo è rimasto ucciso, ma il terrore stamattina ha riguardato tutta la costa a sud di Tel Aviv, è stata una mattinata di terrore e la notte che sta per arrivare si annuncia ugualmente di allarme, perché quello che sta succedendo tra Gaza e Tel Aviv sicuramente avrà un…, avrà sicuramente un incrocio»
grazie
grazie

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