Lavoro a cottimo 4.0, la rivoluzione del post Covid

Domenica 7 giugno, in una piovosa mattina mentre facevo la barba, un’intervista radiofonica mi ha fatto sorridere per la paradossale e involontaria comicità di una proposta surreale, spacciata come “intelligente”.

Ripensare l’organizzazione del lavoro

Ospite del programma Si può fare di Radio 24, puntata dal titolo “Dallo smart working all’esercito: i lavori del post Coronavirus”, l’economista Tito Boeri, autore di uno studio a proposito del cosiddetto smart working (che smart non è, è solo home…) ha lanciato una proposta (dal minuto 46, per i curiosi o scettici). Occorre ripensare l’organizzazione del lavoro, non potendo i dipendenti tornare in ufficio (a parte che non capisco perché, sono tutti anziani o affetti da comorbosità? È scoppiato un nuovo epicentro di contagio?).

Comunque, Boeri ha detto che in questi mesi di home working si è evidenziata la difficoltà di molti dipendenti a lavorare da case piccole, con famiglie numerose, senza l’adeguato supporto tecnico-informatico, le reti, gli archivi, il supporto immediato dei colleghi, ecc.

Allora, occorre trovare delle soluzioni. Ed ecco la genialata che mi ha fatto ridere: «Bisogna realizzare degli spazi comuni di coworking». Boeri ha inventato l’ufficio! Cioè, realizzare degli uffici alternativi agli uffici non più frequentati.

Un nuovo caporalato?

Una settimana dopo, ho smesso di ridere. Anzi, mi si è gelato il sangue.

Al Tg Uno di domenica 11 giugno (13:30 min 9:50, sempre per gli scettici) il professor Pietro Ichino, giuslavorista, è tornato sul tema dell’home working e ha dichiarato che, per risolvere il problema di case troppo piccole e affollate, occorre: «incentivare lo sviluppo e l’offerta di luoghi di lavoro agile, diffusi capillarmente sul territorio, il cui costo dovrebbe essere posto a carico dell’impresa».

Questa bizzarra coincidenza di proposte dell’intellighenzia del nostro Paese non fa più ridere. Se due indizi fanno una prova, a cosa stanno pensando? Quale modello di lavoro stanno costruendo per il nostro futuro?

Pensiamoci bene: qual è la differenza tra il lavoro in un ufficio di un’azienda e il lavoro in un ufficio messo a disposizione per l’home working?

Il progetto è l’espulsione dal mondo del lavoro di tutti quei lavoratori impegnati (per generalizzare) nei servizi di back office e trasformare questo lavoro in una prestazione a cottimo sotto caporalato.

Cioè, il progetto sottointeso è di appaltare il lavoro a “cooperative esterne” gestite da caporali (chi mette a disposizione gli uffici). Il lavoro, a questo punto, verrebbe pagato a cottimo, con una concorrenza spietata al ribasso e senza diritti per i lavoratori.

Questo già avviene in altri settori dell’economia (per esempio, il delivery). Ora l’dea è di replicare il sistema anche per i lavori di tipo intellettuale.

L’idea alla base di tutti i progetti di lavoro 4.0 è analoga: “delocalizzare” dall’impresa alla società i costi sociali del lavoro. Ovvero, l’azienda paga a cottimo la prestazione, minimizzando i costi e massimizzando i profitti, sui cui paga le tasse altrove. Lo Stato si fa carico del welfare (pensioni, assistenza sanitaria, sussidi al reddito) a spese della fiscalità generale del Paese, che s’impoverisce.

Io non rido più e mi chiedo come alcuni nostri concittadini illustri possano mettere la loro intelligenza al servizio di un progetto di svendita del capitale umano del nostro Paese.

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