Telecomunicazioni: le finzioni del libero mercato

Non siamo degli esperti di telecomunicazioni, anche se, come tutti, siamo costantemente alle prese con le telecomunicazioni. È solo per questa ragione che ci avventuriamo a parlare della vicenda Digitel Telecom, che ha coinvolto numerose società di fornitura di servizi di telecomunicazioni ed i loro 60mila clienti, i quali vorrebbero solo uscire dall’arrogante monopolio di fatto della ex azienda di Stato – suscitano delle osservazioni che hanno dell’ovvio, ma di cui ben pochi parlano forte e chiaro.
Ci domandiamo che senso abbia parlare di liberalizzazione del mercato (fra l’altro strategico, nel caso delle telecomunicazioni), se la struttura fisica base (il cosiddetto backbone) rimane nelle mani di un unico competitor, il quale si fa forte di questa posizione-chiave, ereditata dal passato, a scapito non solo dei concorrenti minori ma soprattutto degli utenti.
Non entriamo ovviamente nel merito della vicenda giudiziaria in corso, né della condotta di Telecom, che ha staccato di punto in bianco le linee a Digitel, mettendo a rischio l’indotto di oltre una novantina di piccoli operatori locali delle telecomunicazioni ad essa collegati, i quali hanno il non piccolo merito, rispetto al gigante Telecom, di essere più vicini ed attenti alle esigenze del cliente, che in genere è una piccola azienda, una micro-impresa o un privato – vale a dire quella parte dell’economia reale che, a sentire i soloni della sociologia, dovrebbe beneficiare di più delle cosiddette nuove tecnologie. Non si tratta ovviamente del primo caso (si pensi ai casi Italiacom, OkCom, Bip Mobile), e sicuramente non sarà l’ultimo, e anche per questo sarebbe forse il caso di parlarne sul serio.
È infatti necessario dire chiaramente che quella della libera concorrenza è una pietosa finzione liberista, alla quale assistiamo come utenti/clienti ovunque nel mondo: da un lato la concentrazione di posizioni oligopolistiche, delle sempre più forti multinazionali globali, in settori strategici quali l’agro-industria, il medicale, l’industria cosiddetta dell’informazione, l’energia, la finanza, la distribuzione; dall’altro una proclamata “liberalizzazione dei servizi” che si è tradotta, come appunto dimostra il caso Digitel Telecom, in una sorta di permesso a tempo per i concorrenti minori: finché rimani ai margini del mercato, tutto bene – se poi diventi un concorrente importante, ti taglio fuori. Il tutto con la benevola presenza degli Stati, nei quali le grandi aziende trovano sempre più spazio a causa dei cosiddetti “costi della democrazia” di craxiana memoria: le grandi aziende riescono spesso ad ottenere le norme più favorevoli o ad edulcorare quelle che possono minacciarne gli interessi.
Questa è una delle contraddizioni del capitalismo che hanno una lunga storia alle spalle e che occorrerebbe finalmente affrontare: la strada è da un lato quella per cui i servizi strategici di interesse pubblico sono di natura particolare non assoggettabile alla pura logica del mercato; dall’altro il fatto che il governo dell’economia deve essere sottratto ai partiti ed ai parlamenti e deve vedere imprese, lavoratori e quadri decidere in un loro organismo di governo autonomo quali debbano essere le regole nella produzione, nella distribuzione, nel consumo. Diversamente, il cittadino-consumatore non può che essere il suddito dei tempi nuovi, alla mercé delle lotte di potere dei grandi potentati economici.
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