Strage di Damasco: ipotesi a confronto

Il 23 novembre Damasco è stata scossa da due attentati kamikaze con autobombe che hanno colpito la sede dei servizi segreti nel cuore della capitale, uccidendo almeno 40 persone tra addetti alla sicurezza e civili e provocando oltre 100 feriti. Da subito il rimpallo sulle responsabilità: le autorità siriane hanno accusato gli estremisti sunniti legati ad Al Qaeda, per l’opposizione al regime di Assad si tratterebbe di un auto attentato per colpevolizzare la resistenza. Presentiamo un confronto tra diverse tesi espresse da analisti internazionali e italiani comparse su alcuni quotidiani nazionali.

Per Marvin Cetron, analista di intelligence per CIA e FBI e fondatore del think tank «Forecasting International», sentito da Ennio Caretto (Il Corriere della Sera, 24 dicembre), gli attentati "hanno una matrice interna che non è quella di Al Qaeda […] Gli attentati alle sedi dell’ intelligence siriana si inquadrano nella rivolta popolare scoppiata in Siria a marzo, un portato della primavera araba. Da allora, il regime di Assad ha esercitato una feroce repressione, e ci sono stati scontri armati con la resistenza. Non mi risulta che Al Qaeda abbia avuto un ruolo negli scontri degli ultimi nove mesi. Le bombe potrebbero averle messe o la stessa intelligence o la resistenza siriana. È troppo presto per dire [qual è l’ipotesi] giusta. Ma bisogna chiedersi a chi giovino le stragi di ieri e perché abbiano avuto luogo il giorno dopo l’ arrivo degli osservatori della Lega araba. Ritengo sospetta l’ immediata asserzione del regime di Assad che esse dimostrano che è terrorismo. È la tesi che gli serve a giustificare la repressione e a strappare il riluttante assenso del mondo islamico. [L’ipotesi della responsabilità della resistenza] è meno plausibile: le sedi dell’ intelligence siriana sono ultra protette e non è semplice arrivarci con un’ auto carica di esplosivi. L’ opposizione in Siria non è bene organizzata e i due attentati sono stati programmati e coordinati con cura".
Sull’ipotesi di una mano straniera dietro gli attentati, Cetron sostiene: "La destabilizzazione di Iran e Siria sono il sogno di Israele. Trent’ anni fa, quando l’ Iran e l’ Iraq si fecero guerra, Israele fornì armi all’ uno e all’ altro, in modo che restassero instabili e che nessuno vincesse. Ma non credo che Israele abbia molto a che vedere con gli attacchi di Damasco. Potrebbe invece avere qualcosa a che vedere con gli attentati agli impianti missilistici iraniani degli ultimi mesi. E comunque Israele non è il solo nemico di Siria e Iran. […] Ci sono Paesi islamici come l’ Arabia Saudita che sperano che i regimi siriano e iraniano crollino. Nella regione anzi è in corso una guerra occulta dei loro servizi segreti, talora in alleanza con quelli occidentali, contro i servizi segreti di Damasco e Teheran. Si appoggia l’ opposizione, la si consiglia, non di rado la si arma. Naturalmente, è una questione così delicata politicamente che tutti gli interessati lo negano".
Sugli scenari futuri ed eventuali sviluppi Cetron ritiene che il regime siriano possa durare "ancora un paio di anni, ma non si può mai dire. Dipenderà altresì da eventi esterni, a esempio da quanto accadrà in Iraq, di nuovo in preda alla violenza settaria di sunniti e sciiti, e soprattutto in Iran. In Siria si sono verificate delle diserzioni tra le truppe, e la resistenza si rafforza. Ma non basta, ci vorrebbe un intervento militare esterno come in Libia, per ora improbabile, ne andrebbero di mezzo il Libano e Israele. E le pressioni di Lega araba e Onu, se e quando avranno luogo, non daranno grandi risultati. [La situazione in Iran sarà decisiva]. Tra un anno o due l’ Iran dovrebbe essere in grado di produrre l’ atomica e dei missili con cui minacciare Medio Oriente e Europa. A quel punto, a meno che Teheran non faccia marcia indietro, una coalizione più o meno pubblica o Israele da solo attaccherà le basi e gli impianti iraniani sotterranei, mi pare 26 in tutto, dove si trovano queste armi. Sarebbe un’ operazione gigantesca, una pioggia di missili capaci di penetrare a grande profondità. Con il regime iraniano, crollerebbe anche quello siriano. Ma auguriamoci che non si attui mai questo scenario, e che i due regimi cadano sotto le spinte interne".

Alix Van Buren (La Repubblica, 24 dicembre) intervista Patrick Seale, considerato uno dei più profondi conoscitori del Medio Oriente nel panorama anglosassone. Secondo Seale: "L’attentato a Damasco segna un autogol di proporzioni monumentali da parte dell’ opposizione armata, oltre a rappresentare la prima azione del genere nella capitale. […] Le bombe hanno prodotto l’effetto di rafforzare le tesi del governo".
Sulle possibili responsabilità, Seale vede "la mano dell’opposizione armata, la stessa che poco tempo fa aveva colpito una centrale dell’Intelligence alle porte della capitale. Però, il risultato è controproducente, e per più di un motivo. […] Primo, perché prendendo di mira il centro della città ha impaurito la popolazione. I siriani sanno bene cos’è successo in Iraq e in Libano, come quei due Paesi siano stati distrutti dalla guerra civile. Non vogliono che questo si ripeta in Siria. Secondo, gli attentatori hanno avallato la tesi del regime, cioè che l’insurrezione sia di matrice terrorista. Terzo, hanno offeso la Lega araba proprio all’arrivo degli osservatori: la Lega vuole una transizione pacifica verso la democrazia, ma l’opposizione vuole rovesciare il regime. [L’opposizione è] una galassia di gruppi frammentati, che ora ne escono ancora più indeboliti, divisi fra chi ritiene che la protesta pacifica sia la loro forza morale, e chi vuole lo scontro armato. I secondi ora prevalgono sui primi: si rafforzano gli islamisti, con armi che affluiscono dall’Iraq e dal Libano, e notizie di squadre di Al Qaeda arrivate dall’Iraq. […] Il governo si rafforza nella convinzione, anzi l’ossessione, che si tratti di una cospirazione esterna, guidata dai "nemici" storici, America, Israele, parte dell’Europa, decisi a indebolire l’asse Siria-Iran-Hezbollah e a frammentare il Paese. Questo porta la leadership a trascurare le legittime richieste del popolo, le proteste contro la disoccupazione, la brutalità della polizia, la mancanza di libertà. […] Serve una transizione pacifica attraverso il dialogo. Ma l’opposizione armata sta trascinando il Paese verso la guerra civile".

Gianandrea Gaiani, presentato come uno dei "maggiori esperti di cose militari che riguardano il Medio Oriente", nonché direttore della rivista "Analisi Difesa", intervistato per il Messaggero del 24 dicembre, sostiene: "Premetto che in base agli scarsi elementi che possediamo è difficile parlare con qualche certezza. Però, detto questo, io osservo che mi sento di escludere che siano stati i servizi siriani a colpire se stessi, facendo anche vittime tra i propri commilitoni. In fondo, se fosse vera questa ipotesi, i servizi potevano colpire qualche obiettivo civile o politico. Che siano arrivati a colpirsi da soli mi pare francamente improbabile. […] Alcune fonti dell’opposizione siriana parlano di un possibile coinvolgimento degli sciiti iracheni dell’Esercito del Mahdi di Moqtada al Sadr. Anche questa mi pare un’ipotesi non credibile. Gli sciiti sono maestri nel preparare bombe e ordigni, ma, che io sappia, non prediligono le azioni kamikaze, che invece sono tipiche dei sunniti. […] Quindi mi pare sia plausibile che l’attentato sia stato messo in atto da Al Qaeda. Se si considera poi che alle esplosioni sono seguiti scontri a fuoco mi viene in mente il modo di agire dei qaedisti e dei talebani in Afghanistan. Prima si fa esplodere un’autobomba, poi un altro gruppo apre il fuoco. Del resto Al Qaeda combatte ovunque gli sciiti e il potere siriano è alawita, cioè appartenente a una setta sciita. Va poi ricordato come la Siria abbia colpito duramente Al Qaeda e come, al tempo stesso, abbia favorito il passaggio verso l’Iraq di centinaia e centinaia di volontari qaedisti. C’è poi da considerare la segnalazione dei servizi segreti libanesi di un paio di giorni fa. I libanesi avevano avvertito Damasco del possibile ingresso in Siria di gruppi qaedisti. E, dal canto suo, Al Qaeda cerca da sempre un ruolo nelle varie rivoluzioni arabe. [Il mio sospetto è] che si stia preparando qualcosa di simile a ciò che è accaduto in Libia. È singolare osservare che proprio mentre arrivano gli osservatori della Lega araba, l’Arabia Saudita chiuda la propria ambasciata. Questo mentre in Turchia i dissidenti vengono addestrati da turchi, francesi, americani. Potrebbe anche nascere una sorta di zona franca in territorio siriano protetta da Paesi stranieri. Una specie di piccola Cirenaica. Ed è quello che Assad teme, non a caso ha fatto minare tutte le frontiere".

Maurizio Molinari ha infine sentito (per La Stampa del 24 dicembre) l’analista Joshua Landis, presentato come "direttore del Centro di studi mediorientali all’Università dell’Oklahoma e autore della newsletter «Syria Comment», considerata una delle più accurate fonti su quanto avviene a Damasco". Questi alcuni brani dell’intervista:
"Oramai è evidente che Bashar Assad ha deciso di combattere fino alla fine. Non sappiamo se lo stia facendo per timore di essere ucciso come Muammar Gheddafi, per salvare la sua famiglia e i suoi averi o perché è davvero convinto di potercela fare. Ciò che conta è che non ha alcuna intenzione di farsi da parte. [Si apre uno scenario] di una lunga lotta interna, sanguinosa e feroce, perché al momento l’opposizione non è in grado di prevalere contro un esercito che resta in gran parte compatto a difesa del regime. Certo, le defezioni ci sono e la resistenza armata cresce di intensità, ma non è ancora in grado di sconfiggere l’esercito. Ciò significa che potremmo avere davanti un periodo di violenze crescenti, destinato a durare forse uno o anche due anni […]Il consiglio nazionale siriano auspica una rivoluzione pacifica sul modello tunisino, ma in realtà in Siria si combatte nelle strade. I suoi appelli alle azioni non violente hanno scarso impatto. C’è un’opposizione militare che si muove da sola, si alimenta con i disertori e punta a uccidere i soldati. [Ne uscirà] una nazione araba lacerata dai conflitti interni come lo sono oggi l’Iraq o il Libano. Sommerà conflitti etnici, religiosi e regionali. La Siria prima degli Assad ha avuto 40 anni di violente lacerazioni e saranno tali conflitti a tornare protagonisti, quando gli Assad non ci saranno più. È una nazione priva di un’unica identità, e questo sarà fonte di conflitti interni e instabilità esterna […] Né l’Occidente né la Lega Araba vogliono un’altra guerra perché sanno che l’esercito siriano non è quello libico. Sarebbe tutt’altra vicenda rispetto la Libia […] L’opposizione siriana è sola davanti a un apparato militare che resta compatto ed efficiente. Continua ad avere mezzi pesanti, truppe scelte, strutture di Intelligence, centri di comando e controllo e i suoi capi non temono di essere uccisi. È una situazione opposta a quella che abbiamo visto in Libia, dove furono i blitz della Nato a fiaccare il regime. Il confronto in Siria fra civili e militari è destinato a far scorrere molto sangue, offrendo a gruppi estremisti la possibilità di compiere attentati come quelli avvenuti a Damasco contro alcune sedi dei servizi di sicurezza".

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