Israele e Bin Laden: requiem per un pensionato

Nel momento in cui la stampa occidentale si esalta per l’uccisione di Bin Laden, in quanto nemico pubblico mondiale numero uno, ci sembra molto eloquente il singolare articolo comparso sul prestigioso quotidiano israeliano Haaretz, che, fornendo un’ampia ricostruzione storica degli ultimi anni, traccia una sorta di sprezzante necrologio di Bin Laden, che avrebbe "smesso di essere un terrorista attivo che progettava e organizzava attentati", per cui la sua uccisione conterrebbe una "evidente componente di vendetta", con uno stile che il giornalista considera assai diverso da quello di Israele che si cura solo, a suo dire, di "evitare futuri atti terroristici".
Da analizzare poi con particolare attenzione l’ipotesi secondo cui l’azione che ha portato all’uccisione di Bin Laden troverebbe il suo archetipo in quella di Abu Masab Zarqawi, avvenuta in Iraq grazie alla collaborazione dei servizi giordani, dice il giornalista, evidentemente piuttosto addentro agli ambienti spionistici israeliani, alludendo in modo palese ad un ruolo importante di quelli pakistani nel "chiudere" il capitolo Bin Laden: cosa per altro confermata dalla collocazione del rifugio del terrorista, in un’area millimetricamente coperta dal controllo militare pakistano, dato che vi si trova una delle maggiori accademie militari del paese.
Non meno interessante è l’attribuzione dell’uccisione di Vittorio Arrigoni, definito "giornalista italiano", ai gruppi jihadisti operanti a Gaza, così come la considerazione dello scarso interesse che Israele avrebbe avuto nella lotta al terrorismo islamico internazionale e ad Al Qaida in particolare: quasi che lo Stato ebraico assistesse da semplice spettatore a tutto quanto avviene lontano dai propri confini, nonostante il fatto che sia stato proprio Benjamin Natanhyau a promuovere fin dagli anni Ottanta negli Usa il concetto di terrorismo islamista, nonostante i numerosi convegni internazionali che Israele ospita da anni nel paese, nonostante la celebre affermazione di Sharon, dopo l’attentato delle Torri Gemelle, secondo cui si trattava della "stessa guerra" che Israele stava combattendo da anni.
Si tratta certo di una visione del ruolo di Bin Laden e della minaccia terroristica islamista ben diversa da quella che ci viene ogni giorno ribadita dai mass-media occidentali. Per questo si tratta di una lettura che suggerisce ipotesi e riflessioni tutte non banali, per comprendere meglio quale sia la vera storia delle origini e della funzione del terrorismo islamista, oltre a quella dell’uccisione di Osama Bin Laden.


Solo un vicino turbolento

Yossi Melman
Haaretz, 6 maggio 2011

Il poster di Osama Bin Laden apparso per più di un decennio sul sito web dei più grandi ricercati dall’FBI, ostentando lo slogan "Vivo o Morto" le cui radici affondano nella mitologia del Far West, aveva una bella apparenza. Ma tre presidenti degli Usa non hanno mai preso in seria considerazione le possibilità suggerite dalla frase su quel poster.
"È chiaro che gli Americani non hanno mai seriamente considerato l’ipotesi di prendere vivo Bin Laden", mi diceva un funzionario senior dell’intelligence israeliana questa settimana. "Nelle discussioni con loro abbiamo capito che volevano trovarlo ed eliminarlo. Abbiamo tratto l’impressione che non volessero né avere a che fare con le implicazioni legali di un processo né col rischio che i suoi sostenitori preparassero delle azioni per liberarlo", diceva lo stesso funzionario, che si è incontrato parecchie volte con i suoi colleghi americani.
Aggiungeva che vi era una evidente componente di vendetta nella decisione americana di uccidere Bin Laden e non un desiderio di eliminare un pericoloso terrorista. Bin Laden era un simbolo ed una ispirazione per i suoi seguaci. Un’autorizzazione ad ucciderlo pesava su di lui, ma aveva smesso di essere un terrorista attivo che progettava e organizzava attentati.
La più grande differenza fra l’approccio israeliano e quello statunitense è questa: Israele uccide terroristi come Imad Mughniyeh, il "ministro della difesa" di Hezbollah, non per quello che hanno fatto ma soprattutto per il pericolo che rappresentano per il futuro. Come l’ex capo del Mossad, Zvi Zamir, mi ha detto qualche giorno fa, persino l’uccisione degli uomini dell’OLP dopo la strage degli undici atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 non voleva essere una vendetta ma piuttosto un modo per evitare futuri atti terroristici.
Il terrorismo fondamentalista islamico, che trae ispirazione dall’idea della guerra santa come sviluppata da Bin Laden, non ha coinvolto Israele particolarmente e non lo sta impegnando molto nemmeno oggi. Israele fronteggia minacce terroristiche assai più immediate da parte di Hamas, della Jihad islamica e di Hezbollah. Da parte loro, gli Americani sanno che Israele ha contribuito molto poco alla guerra contro il terrorismo, per cui non chiedono il suo consiglio o il suo aiuto, come invece fanno quando si tratta delle organizzazioni con cui Israele ha abitualmente a che fare.
Parecchi esponenti della sezione ricerche del Mossad si sono resi conto della centralità di Bin Laden nel discorso fondamentalista fin dagli anni ’90. Questo per il fatto che Bin Laden era stato espulso dall’Arabia Saudita nel 1991 e aveva trovato rifugio in Sudan, un paese che è sotto sorveglianza israeliana. Il Mossad e l’intelligence militare hanno cercato di attirare l’attenzione degli Americani sul saudita che, cresciuto nel lusso, stava ora combattendo in Afghanistan e aveva dei piani per il futuro. Ma gli Israeliani avevano l’impressione che gli Americani non si preoccupassero di questo personaggio.

Il punto di svolta del 1998

Fu solo dopo gli attacchi sanguinosi contro le ambasciate Usa in Tanzania ed in Kenya nel 1998 che gli Americani cominciarono a considerare Bin Laden come un pericoloso terrorista. Il presidente Bill Clinton ordinò la sua uccisione ed il bombardamento di obiettivi in Sudan ed in Afghanistan. Tre anni più tardi venne l’ora dell’attacco dell’11 settembre a New York e a Washington, che Bin Laden aveva promosso. Divenne allora l’uomo più ricercato dall’America.
Israele diventò allora ancor meno interessato a lui, anche se, in quasi ogni suo sermone, in videocassetta o in tv, Bin Laden e soprattutto il suo vice Ayman al-Zawahiri, menzionavano Israele, la Palestina e gli Ebrei insieme ai Cristiani, all’Occidente ed ai regimi islamici "eretici" che collaborano con i "Crociati".
Ma la differenza fra le parole e i fatti erano grandi. Nell’Asia sud-orientale, alla fine del 2001, 15 terroristi provenienti dall’Indonesia e dalla Malesia, addestrati in Afghanistan, stavano progettando di attaccare, insieme ad altri obiettivi, anche l’ambasciata israeliana a Singapore. Ci furono attacchi contro alberghi di proprietà israeliana a Mombasa, in Kenya, nel 2002, ed un tentativo di abbattere un aereo delle linee Arkia che stava decollando da quel paese. Ci sono stati anche attacchi ad una sinagoga a Gerba, in Tunisia, contro istituzioni ebraiche in Marocco e contro una sinagoga ad Istanbul.
La consapevolezza israeliana della minaccia posta da Al-Qaida è cambiata un po’ dopo che gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. Abu Masab Zarqawi, un giordano, aveva organizzato Al-Qaida in Iraq. Senza che nessuno glielo chiedesse, si era auto-nominato emiro e si era subordinato a Bin Laden. Alla fine, Zarqawi è stato assassinato dalle forze speciali statunitensi, come risultato della cooperazione con le forze di sicurezza giordane. Retrospettivamente si può notare che questa operazione ha molti aspetti in comune con quella che ha portato all’uccisione di Bin Laden.
"Cominciavano ad avvicinarsi a noi. Sentivamo il loro fiato sul collo", dice un altro funzionario dell’intelligence israeliana. Nel 2005, in un messaggio on line, Zawahiri paragonava il Medio Oriente ad un grande uccello. Una delle sue ali si spiega sopra Iraq, Siria e Libano; l’altra sull’Egitto ed il Maghreb: ma il suo cuore è in Palestina.
Zawahiri invocava un attacco diretto contro Israele a partire dal Libano. L’intelligence israeliana si era accorta che nel nord del Libano si stava formando un gruppo di jihadisti sotto il nome di Ansar al-Islam: era composto da una dozzina di musulmani di varie nazionalità che avevano lasciato i campi di battaglia dell’Iraq e si erano infiltrati in Siria, dirigendosi poi alla spicciolata verso Tripoli, in Libano. Stavano seguendo un modello afghano, secondo il quale combattenti di differenti nazionalità si mettono insieme per combattere un musulmano mentre lottano contro un occupante straniero.

Gli sforzi di Hezbollah

I funzionari israeliani erano preoccupati che Al-Qaida si preparasse ad agire contro Israele dalle sue basi in Libano. Queste preoccupazioni sono cresciute dopo la seconda guerra del Libano e dopo diversi tentativi di Ansar al-Islam di lanciare razzi contro Israele. Ma il pericolo venne annientato prima di realizzarsi, grazie agli sforzi energici dell’esercito libanese, con il supporto di Hezbollah. Come nel mondo sotterraneo della criminalità, questo gruppo non intendeva infatti consentire ad elementi non autorizzati di operare nella sua zona d’influenza.
Nel frattempo, l’intelligence israeliana era diventata consapevole del pericolo della jihad a sud. Delle reti jihadiste avevano preso forma nella striscia di Gaza, con l’aiuto di gruppi beduini del Sinai. Il risultato era stato l’attacco del 2004 agli hotel sulla costa tra Eilat e Sharm el-Sheik, rivolti a danneggiare l’economia ed il turismo egiziani. Non era un segreto per nessuno che decine di migliaia di turisti israeliani si crogiolano al sole di queste spiagge.
Un altro sviluppo era il traffico di armi che partiva dall’Iran e aveva per destinazione Gaza, via Yemen e Somalia, paesi con una larga presenza di Al-Qaida, nonché via Sudan. Così aumentarono gli sforzi per valutare cosa si stava delineando a seguito di questi movimenti, un’ampia struttura di cellule terroristiche attivate localmente, soprattutto in prossimità dei confini con Israele.
Le autorità israeliane hanno migliorato le loro capacità di reazione anche grazie all’aiuto dei loro alleati, in particolare Americani e Francesi. Inoltre, hanno chiesto all’Egitto di agire con decisione contro Al-Qaida nel Sinai per evitare infiltrazioni a Gaza. Ma gli Israeliani sono rimasti spesso delusi dalla inefficienza egiziana.
I documenti di Wikileaks mostrano che il capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, aveva parlato all’ambasciatore americano in Israele, il 27 dicembre 2007, di Mansur Abu Gaaith, un esponente di alto livello di Hamas sospettato di avere legami con Al Qaida. Secondo il cablogramma americano, in una data sconosciuta, questi era tornato a Gaza dopo una breve missione in una località sconosciuta all’estero, per migliorare le capacità di utilizzo di razzi e per addestrare i suoi uomini all’impiego di velivoli senza pilota.
Israele aveva dato agli Egiziani tutte le necessarie informazioni su Abu Gaaith, compresa la data del suo volo ed il passaporto che egli avrebbe utilizzato, nella speranza che le forze di sicurezza egiziane lo arrestassero. Invece gli Egiziani non fecero nulla. Alla fine, Abu Gaaith è stato arrestato nel Sinai dalla polizia egiziana per ragioni diverse e senza che l’intelligence egiziana ne fosse al corrente. L’Egitto voleva rilasciarlo e solo una forte pressione americana sul governo di Hosni Mubarak lo ha trattenuto dietro le sbarre.
A distanza di quattro anni dall’avvertimento di Diskin, il movimento jihadista ha preso forza a Gaza; l’uccisione del giornalista italiano Vittorio Arrigoni qualche settimana fa è proprio un esempio della volontà di sfidare il regime di Hamas. Ma né l’Al Qaida di Gaza né quella del Sinai rappresentano ancora una minaccia per Israele.
Così come Israele ha avuto relativamente poco interesse per i movimenti di Bin Laden, quest’ultimo e la sua gente non hanno prestato in realtà grande attenzione a Israele, nonostante le loro accese dichiarazioni. Le maggiori preoccupazioni del saudita Bin Laden erano rivolte a rovesciare il regime in patria, per stabilirvi invece il califfato ed espellere i "Crociati" americani dalla sua terra.
Uno dei pochi capi di Al Qaida che cercava di spingere Bin Laden a portare attacchi contro Israele è noto come Abu Zubaydah: si trova ora detenuto a Guantanamo. Come è emerso dai documenti di Wikileaks pubblicati la settimana scorsa da Haaretz, Abu Zubaydah, nato in Arabia Saudita da genitori palestinesi, non riuscì a persuadere Bin Laden. Fortunatamente per Israele, pochi Palestinesi sono stati attivi nel movimento internazionale jihadista.

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