I giri di valzer del Tribunale penale per il Libano

Nel pieno della crisi della Siria, ecco riapparire il minaccioso fantasma del Tribunale penale per il Libano (TPL). Tale organismo ibrido e dall’incerta legalità (nato da una costola del Tribunale dell’Aia per i crimini di guerra in Jugoslavia) e voluto fortemente dagli USA e Israele, nacque, come noto, all’indomani dell’omicidio del premier libanese Rafik Hariri, il 14 febbraio 2005, ed è tuttora operante.
Esso è composto, oltre che da giuristi internazionali, anche da giudici libanesi, ma è bene notare che la sua validità, pur essendo stata accettata dall’allora premier libanese Fouad Siniora, non è mai stata ratificata né dal parlamento né dai Presidenti della Repubblica libanese, Lahoud e Suleiman, succedutisi in questi anni.
 
Inizialmente le indagini del TPL puntarono sull’ipotesi di colpevolezza della dirigenza siriana (in primis Bashar Al Assad) e sull’allora presidente libanese Emile Lahoud (considerato filosiriano). Fu fatto uso di falsi testimoni per incastrare 4 ufficiali libanesi, che furono incarcerati nel 2005, per essere poi completamente scagionati nel 2009, dopo essersi fatti 4 anni di galera.
Nel frattempo, però, la situazione politica era notevolmente cambiata: Assad aveva dato l’ordine di ritirare le truppe siriane dalla valle della Bekaa (che occupavano quella parte di Libano da molti anni) e stava tentando di instaurare una politica di buone relazioni con l’Occidente; ciò fu sufficiente affinché l’operatività del TPL si fermasse senza ulteriori conseguenze, ma non determinò lo smantellamento del tribunale.
 
A luglio 2006, come noto, in seguito ad incidenti sul confine, Israele invase il Libano meridionale, tentando di riprendersi quella fascia di territorio a sud del fiume Litani, già abbandonata dal governo Barak nel 2000. I combattenti Hezbollah però, dopo un mese di feroci combattimenti, riuscirono a fermare l’invasione e costringere Israele a ritirarsi, mentre il governo Siniora ed il cosiddetto esercito libanese non muovevano un dito per fermare le distruzioni e i massacri. Guarda caso, il TPL si rimise in moto cominciando ad istruire una nuova inchiesta che ipotizzava la responsabilità, nell’omicidio di Rafik Hariri, proprio di Hezbollah, "il partito di Dio".
Tutto però si è trascinato stancamente sino all’ottobre 2010, quando Ahmadinejad ha compiuto una trionfale visita in Libano; a questo punto l’attività del TPL (attualmente presieduto dal giurista italiano Antonio Cassese), riprende freneticamente e il pubblico ministero (il francese Daniel Bellemare) il 17 gennaio di quest’anno deposita presso il giudice istruttore un atto d’accusa "riservato" in cui si parla apertamente di complicità dei vertici Hezbollah nell’omicidio Hariri.
La reazione di Hezbollah non si fa attendere: i ministri del partito di Dio chiedono di non riconoscere più gli atti del TPL, dato che (come detto prima) quel tribunale non era stato mai autorizzato dal parlamento, e chiedono l’uscita dei giudici libanesi. Saad Hariri, premier e figlio di Rafik, non ha la forza di compiere un passo così impegnativo; allora 14 ministri di Hezbollah ed un ministro del partito di Walid Jumblat si dimettono, provocando una crisi di governo ed una situazione di stallo ad oggi ancora presente, perché Saad Hariri si rifiuta di collaborare con un governo di cui non gli venga riconosciuta la leadership.
 
Ma la storia cammina veloce: dal mese di marzo la Siria è interessata da una massiccia ondata di proteste, ampiamente foraggiate dagli USA, che tentano di abbattere il governo di Assad; Saad Hariri è a sua volta sospettato di soffiare sul fuoco della crisi siriana e di contrabbandare armi, per conto degli americani e degli israeliani, attraverso la frontiera nord, verso i ribelli siriani che hanno già provocato molte decine di morti tra l’esercito e la polizia, a dimostrazione che la crisi siriana non è determinata soltanto dal desiderio di libertà del popolo, ma è ampiamente inquinata da agenti provocatori.
E’ tempo allora per un nuovo giro di valzer: l’accusatore del TPL Bellemare nelle scorse settimane si è recato segretamente nella sede del TPL all’Aia dove dal governo francese sembra gli siano state fornite "nuove prove" che inchioderebbero (guarda caso!) proprio il governo siriano come maggiore indiziato nell’omicidio Hariri, senza peraltro disdegnare una complicità di Hezbollah.
Bellemare ha quindi depositato ai primi di maggio, presso il giudice istruttore, un nuovo e corposo documento "riservato" che comprenderebbe circa una trentina di nomi, tra esponenti del governo siriano e di Hezbollah. Più che un ritorno alla prima fase dell’inchiesta si potrebbe ipotizzare la tentazione di prendere i classici due piccioni con una fava: balcanizzare il Libano, tentando di decapitare Hezbollah, e aumentare la pressione contro il governo di Assad, accusandolo, oltre che delle "atrocità" compiute dal suo esercito contro i civili (armati), anche dell’omicidio di Rafik Hariri.
Ciò aprirebbe la strada ad una prospettiva "libica" per Damasco, ovvero far passare, in sede di Consiglio di Sicurezza, una risoluzione tipo "no fly zone" che potrebbe gettare ulteriormente il paese nel caos e provocare la distruzione dell’economia siriana.
C’è da sperare che Cina e Russia siano abbastanza forti da bloccare tali velleità in Consiglio di Sicurezza, soprattutto riflettendo sull’errore compiuto non opponendosi, col diritto di veto, ai bombardamenti in Libia, terra che vedrà queste due grandi nazioni definitivamente fuori da qualsiasi collaborazione con la Libia stessa.

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