Gli Usa bloccano ancora l’Onu sugli insediamenti di Israele

Il 18 febbraio scorso è stata presentata una risoluzione di condanna da circa 130 Paesi al Consiglio di Sicurezza avverso Israele, a causa degli indiscriminati insediamenti ebraici nei Territori occupati. Sui 15 Paesi aventi diritto di voto 14 hanno votato a favore di tale risoluzione ed uno solo contro (che ha esercitato il suo diritto di veto): gli USA.
Risulta quindi che, dei 5 membri permanenti del Consiglio, anche Francia e Regno Unito (che di solito si allineano senza discutere) hanno votato in maniera difforme agli Stati Uniti.
Dei rimanenti 10 Paesi (membri non permanenti), che hanno tutti votato la risoluzione di condanna, due sono membri della NATO (Germania e Portogallo) ed un terzo è il più fedele alleato rimasto ai nordamericani nell’America latina: la Colombia, Paese che ha recentemente accettato l’installazione di ben 7 basi militari USA.

L’ambasciatore nordamericano all’ONU, Susan Rice, ha dichiarato: "La risoluzione avrebbe allontanato dalla realtà una soluzione basata su mutui negoziati; gli Usa respingono le attività coloniali di Israele in Cisgiordania, ma le Nazioni Unite non rappresentano il foro appropriato per risolvere il decennale conflitto". Per la Rice, insomma, esiste una qualche autorità dell’Onu, ma, così decretando, il suo Paese dimostra di non riconoscerne la legittimità del ruolo di mediatore internazionale nella risoluzione dei conflitti.
In termini di consenso è stata una vera e propria débacle della diplomazia a stelle e strisce, sempre più appiattita sui diktat israeliani; sia l’AIPAC che il governo israeliano si sono infatti affrettati ad offrire i loro ringraziamenti a Barack Obama per la "comprensione", esercitata dal governo americano, nella spinosa votazione.
L’incredibile è quindi accaduto: non risulta infatti che, almeno in tempi recenti, gli "alleati" si siano tanto platealmente dissociati dalla volontà dell’Impero. Evidentemente la misura è colma anche per i più fedeli sudditi storici e gli USA, per la prima volta, si trovano ad essere isolati proprio nella cosiddetta "comunità internazionale", di cui pretendono di avere la leadership.

Da Bruxelles Catherine Ashton, il capo della diplomazia europea, ha espresso il suo ”rammarico” per la impossibilità di ”raggiungere un consenso intorno alla risoluzione sugli insediamenti al consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. ”La posizione dell’Ue sugli insediamenti ebraici, compresi quelli a Gerusalemme est" (ha sottolineato il capo della diplomazia dell’Unione europea) "è chiara: sono illegali secondo il diritto internazionale, costituiscono un ostacolo alla pace e rappresentano una minaccia alla soluzione dei due Stati”. La Ashton ha quindi ribadito la necessità di ”fare tutto il possibile per una rapida ripresa dei negoziati tra le parti". E’ importante notare come la Ashton (britannica ed euroscettica), pur edulcorando la pillola con l’ultima frase sulla ripresa dei negoziati, ha emesso il comunicato con il consenso di tutti i 27 Paesi facenti parte dell’Unione, compresi gli ex satelliti del blocco sovietico, sempre fedelissimi alla politica di Washington da quando hanno cambiato campo.

Dopo il veto degli Usa l’Autorità nazionale palestinese ha dichiarato di voler ”rivedere il processo negoziale” con Israele. ”Si tratta di una decisione sciagurata e squilibrata, che influenzerà la credibilità dell’amministrazione americana" ha dichiarato Yasser Abed Rabbo, segretario generale del comitato esecutivo dell’Olp, uno dei principali negoziatori per l’Anp.
I palestinesi hanno ricordato alla comunità internazionale che, proprio attraverso le sue attività di insediamenti in terra di Palestina, Israele sta creando una colonizzazione de facto della loro terra e che, di conseguenza, si è molto vicini a precludere la fattibilità della realizzazione concreta dello Stato palestinese. Risulterebbe infatti impossibile costituire un nuovo Stato palestinese con un territorio non internamente connesso, essendo quest’ultimo infestato da enclaves ebraiche, sempre più vaste e popolose, che pretenderebbero di restare sotto la sovranità israeliana, con la conseguente creazione di una miriade di "corridoi" (ad uso esclusivo) di collegamento tra di loro e con lo Stato ebraico, impedendo così l’integrità territoriale al costruendo nuovo Stato.
I palestinesi fanno inoltre notare che varie Convenzioni di Ginevra, di cui Israele è parte contraente, proibiscono all’occupante il trasferimento di popolazione civile nel territorio occupato. Esattamente quello che Israele ha fatto e continua a fare con le illegali colonie in Palestina, compresa Gerusalemme Est.

Resta comunque lo stupore sulla completa abdicazione, da parte dell’Amministrazione Obama, ad un pur minimo tentativo di influenza sulla politica israeliana, pur essendo gli USA il maggior finanziatore (a fondo perduto) dello Stato ebraico in termini di svariati miliardi di dollari l’anno.
Tale passività è tanto più incomprensibile, se si pensa che molti regimi del nord Africa sono crollati e (o sono in procinto di farlo) e che altrettanti regimi dell’Asia anteriore rischiano di fare la stessa fine, rimettendo in discussione rapporti vitali con gli USA che durano da decenni. Lo sciagurato veto imposto all’ONU da Obama avrà sicuramente l’effetto di rinfocolare la collera e la sfiducia verso l’America delle popolazioni di questi Paesi in via di cambiamento, con il pericolo di una deriva "radicale" che certo non gioverebbe all’America stessa.
Questo dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, quanto sia potente la lobby ebraica negli USA:  il governo Obama è pronto ad affrontare la collera di centinaia di milioni di musulmani, abitanti in vastissimi territori nei quali è contenuta la metà delle riserve energetiche della Terra, pur di favorire, in ogni modo possibile, le improponibili pretese di uno Stato (Israele) grande quanto una regione italiana.

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