La Colombia di Uribe. Democrazia o stato canaglia?

Álvaro Uribe Vélez fu eletto Presidente della Colombia per la prima volta nel 2002 e poi rieletto, per la verità con la maggioranza schiacciante di oltre il 62% dei votanti, nel 2006. Non contento dei due mandati ottenuti, Uribe, tramite il suo partito, sta cercando di modificare la Costituzione affinché il prossimo anno possa ripresentarsi candidato alla prima carica dello stato per un altro quadriennio.
La strada sembra abbastanza in discesa visto che nei giorni scorsi la camera dei rappresentanti ha approvato il ricorso al referendum che dovrà decidere se modificare la carta costituzionale in modo tale da permettere la rielezione del presidente oltre i due mandati. La maggioranza schiacciante (85 voti favorevoli contro 5) ha fatto gridare allo scandalo, con la denuncia da parte di alcuni membri dell’opposizione di corruzione all’interno delle loro stesse fila, in cambio di cariche pubbliche. La decisione del parlamento dovrà ora passare il vaglio della Corte costituzionale.
La cosa che appare paradossale è che Uribe ha seguito gli stessi passi del suo acerrimo nemico Chavez che, dopo un tentativo fallito, al secondo referendum riuscì a modificare la costituzione in modo da poter essere rieletto indefinitamente.
Come in Venezuela, anche in Colombia l’opposizione è insorta di fronte alla prospettiva di avere un presidente "monarca" e mette in guardia dai pericoli per la democrazia.
Ma in che termini si può parlare di democrazia in Colombia? Uribe è il principale alleato degli Stati Uniti nella regione latino americana e, grazie a questo, ha potuto beneficiare di parecchi milioni di dollari di finanziamenti per la lotta al narcotraffico,al terrorismo e alla delinquenza organizzata.
Il problema è che la battaglia contro "il male" viene effettuata, parallelamente all’esercito, dalle forze paramilitari che si sono macchiate di violenze anche peggiori delle organizzazioni che cercano di combattere e, come sempre, a rimetterci sono stati gli strati più deboli della popolazione come gli indigeni, spesso cacciati dai loro territori, ufficialmente per problemi legati alla sicurezza, ma in sostanza perché i paramilitari potessero disporre delle loro terre, dando il via anche a grandiosi progetti agro industriali gestiti dalle multinazionali.
Non mancano esecuzioni sommarie, prepotenze e clima di terrore, tutto è permesso nel nome della sicurezza, creando in questo modo la figura del "cattivo buono", che giustifica la sua condotta con il fine positivo.
Gli echi delle violenze sono arrivati anche in Usa tanto è vero che recentemente il senato ha congelato una piccola parte dei fondi stanziati a favore della Colombia, in attesa di chiarimenti in merito a violazioni dei diritti umani (vedi: Gli Usa discutono degli aiuti all’America Latina ).
La connivenza tra governo, esercito e paramilitari è stata denunciata in più occasioni e lo stesso presidente Uribe è stato tirato in ballo da un condannato per l’appoggio da lui dato, quando era governatore, ad operazioni costate la vita a decine di innocenti.
Anche dal punto di vista sociale i sette anni di Uribe hanno lasciato il segno, allargando la fascia di povertà in cui vive la popolazione, riducendo drasticamente le spese per l’istruzione, privatizzando la sanità e allungando l’orario di lavoro.
Essere alleati degli Usa dà ancora il lasciapassare di fronte alla comunità internazionale e se Uribe visitasse l’Europa sarebbe accolto con tutti gli onori, come un capo di Stato di un paese democratico, mentre altri presidenti che hanno quasi azzerato l’analfabetismo e permesso l’accesso all’assistenza sanitaria gratuita a tutti, non sarebbero neanche ricevuti, con la giustificazione della mancanza di democrazia nel loro paese.
Ma lo status di democratico oggi viene dato solo ha chi ha buoni rapporti con le superpotenze (o lo è lei stessa) e a chi dispone di ingenti risorse naturali che possono far comodo.
I buoni rapporti con Cina, Russia e Libia insegnano.
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