Madagascar: referendum o guerra civile?

Dopo aver ignorato le proteste dell’opposizione che gli intima di dimettersi, il presidente del Madagascar Marc Ravalomanana si è detto pronto ad organizzare un referendum per porre fine alla crisi politica del paese.
L’intenzione è stata manifestata davanti una folla di migliaia di sostenitori, radunati di fronte al palazzo presidenziale in difesa del loro leader. Ma le strade di Antananarivo sono invase anche dai seguaci dell’ex sindaco Rajoelina, che hanno minacciato di marciare sulla residenza di Ravalomanana se il presidente non si farà presto da parte.
Al momento non è ancora chiaro il contenuto dell’eventuale referendum, ma secondo fonti vicine a Ravalomanana si tratterebbe semplicemente di un voto pro o contro la permanenza al potere del presidente, per misurare il sostegno dei cittadini.
Intanto Rajoelina ha dichiarato non solo di essere in costante contatto con l’esercito, ma addirittura di essere lui stesso a dare gli ordini alle forze armate, aggiungendo: "Per ora stiamo aspettando che (Ravalomanana) si dimetta. In caso contrario, abbiamo altre opzioni. Non posso dire se ciò comporterà un’azione militare."
Di fatto anche nell’esercito la situazione è confusa, soprattutto dopo il cambio al potere di pochi giorni fa, quando il colonnello Andre Ndriarijaona si è sostituito al capo delle forze armate, autonominandosi comandante. A proposito delle intenzioni del presidente, il nuovo leader dei militari ha affermato: "Un referendum ha bisogno di tempo per essere organizzato, e il paese non può permettersi di prolungare una situazione così difficile. Forse può offrire una soluzione democratica, ma ciò che mi preoccupa è il caos che lo precederebbe."
Aldilà dei disordini e degli scontri, che hanno già causato più di 100 morti, il colonnello si riferisce sicuramente anche alle ripercussioni dello stallo politico sull’economia del paese. Ad esempio il settore turistico, che garantisce 400 milioni in entrate all’anno, ora è completamente bloccato; gli effetti di questa crisi non tarderanno a sentirsi su una popolazione già molto povera, con il 70% degli isolani che guadagna meno di due dollari al giorno.

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