Banche e banchieri sulla sedia degli imputati, come responsabili del più drammatico crollo finanziario degli ultimi settanta anni. Dalle tivù ai giornali, dai giudizi della gente comune agli ambienti politici, il giudizio è unanime e inequivocabile. Ma una frase, più volte sentita o letta, mi ha incuriosito: "ci sono cose che non saranno più come prima", con riferimento diretto al comportamento dei banchieri ed alle politiche aziendali intraprese fino ad ora dalle banche.
Può sembrare da parte mia presuntuoso ma, di fronte a queste massime, rimango scettico, malgrado l’inusitata portata dei provvedimenti assunti a livello governativo, qualunque sia la latitudine e la dimensione dei paesi rappresentati, così come i veloci mutamenti intervenuti (ed altri se ne preannunciano) nello scacchiere del risiko bancario e finanziario in genere.
Gli Stati Uniti hanno versato sul moloch di questa crisi di mercato (fino ad ora) oltre 900 miliardi di dollari. L’Amministrazione americana ha effettuato interventi diretti nelle crisi aziendali, sfoderando un "interventismo" in economia assolutamente impensabile appena qualche mese fa. Analoghi provvedimenti sono stati assunti in quasi tutti i paesi più avanzati che dispongono di economie aperte e di mercati finanziari integrati con quelli del resto del mondo.
In questa girandola di eventi è di primaria importanza individuare con esattezza le responsabilità che hanno portato a questo cataclisma. Per quanto ignominiosi siano stati i comportamenti di molti dirigenti di banche e altre istituzioni finanziarie, penso che la storiella delle poche mele marce nel canestro della frutta non costituisca neanche più motivo di ilarità.
Bisogna chiarire che se gli amministratori hanno sbagliato con politiche errate e con decisioni personali riconducibili al modello "Pirati di Maracaibo", lo hanno fatto in un contesto ambientale edotto dei rischi che si stavano profilando e degli abusi che venivano commessi.
La mancanza di regole, come molti oggi scoprono, non può essere considerata come una semplice imperfezione del "meraviglioso" mercato di cui disponiamo. Le regole fino agli anni ’90 c’erano e tenevano a freno gli eventuali comportamenti spavaldi ma, le stesse, sono state gradualmente e sistematicamente eliminate in gran parte dei paesi avanzati per lasciare spazio ai "liberi istinti concorrenziali" (con i risultati che conosciamo).
Limitando la nostra analisi ai fatti italiani possiamo annoverare due interventi legislativi che hanno rivoluzionato il nostro mercato finanziario: la deregolamentazione valutaria e la nascita della banca universale nell’ambito della più complessa riforma bancaria, entrambi i provvedimenti risalenti ai primi anni novanta.
Altro aspetto su cui vorrei spendere qualche parola sono i controlli.
La opacità del mercato in cui vengono negoziati derivati, titoli strutturati, ecc., così come la mancanza di regole chiare nella elaborazione dei bilanci di aziende finanziarie e non, non doveva essere a conoscenza degli organismi di controllo nazionali e internazionali?
Come mai in questi anni Banca d’Italia, Consob, Banca Centrale Europea, Banca dei regolamenti internazionali e così via non hanno sostenuto un deciso cambiamento di rotta? Una banca può operare (direttamente o tramite una sua controllata) per miliardi di euro nel mercato dei derivati, ma il suo bilancio consolidato non evidenzierà tali poste e, tanto meno, costituirà fondi di accantonamento prudenziali per eventuali perdite. Questo è un bilancio veritiero?
I "controllori" si sono posti queste semplici, terribilmente semplici, considerazioni?
E, paradosso dei paradossi, queste sono le stesse persone che ora si pavoneggiano come i salvatori del sistema economico e finanziario internazionali. Ecco perché la frase "ci sono cose che non saranno più come prima" mi fa sbottare in un’amara risata.
Alla resa dei conti abbiamo chiamato al capezzale del paziente, in qualità di medico, lo stesso responsabile della sua malattia. Inoltre, analizzando gli strumenti messi in campo dai singoli governi nazionali, possiamo concludere che gli stessi sono finalizzati a… non cambiare proprio nulla.
Un intervento ciclopico (dal punto di vista delle risorse finanziarie messe in campo) fatto in punta di piedi. Malgrado gli enormi danni prodotti da questa debacle finanziaria ho la netta percezione che, da parte delle singole classi dirigenti nazionali, non vi sia il coraggio e la determinazione a riscrivere le regole del gioco.
E sì che ce ne sarebbe bisogno!!
A livello intellettuale, quanto dal punto di vista tecnico giuridico, non sarebbe neanche un impegno particolarmente gravoso. Occorre riconfigurare l’attività delle banche come attività imprenditoriale in grado di fornire servizi alla collettività: risparmio, credito, gestione dei pagamenti e introiti.
Vietando (come avveniva fino a circa quindici anni fa) l’assunzione di posizioni speculative (su titoli e derivati) in proprio (trading), quanto l’acquisizione di partecipazioni in aziende non bancarie.
Infine creando una netta separazione tra banche e settore parabancario, in particolare con le società che si occupano di gestione del risparmio: fondi comuni mobiliari aperti o chiusi, immobiliari, ecc..
Ciò riporterebbe il sistema finanziario nell’alveo di una utile e preziosa funzione al servizio dell’economia, togliendole tuttavia lo scettro di un potere in grado di condizionare la vita di intere comunità e l’attività produttiva di aziende piccole e grandi che rappresentano la vera ricchezza di ogni paese.
Rimane un’ultima questione da affrontare: i controllori, cioè le Banche Centrali. Enti che, con differenze tra stato e stato, sono accomunati dal fatto di essere depositari di un potere enorme, il controllo sulla moneta, autonomo dal controllo politico.
E’ giusto tutto questo? E’ veramente democratico?