Il gusto del danaro

"L’avidità, non trovo una parola migliore, è valida. L’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità in tutte le sue forme: l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha improntato lo slancio in avanti di tutta l’umanità" (dal film: Wall Street di Oliver Stone, 20th Century Fox, USA – 1987)

Ci troviamo di fronte ad una crisi finanziaria  senza precedenti, creata dalle banche e subita dalle banche. Qualcuno potrebbe domandarsi come sia possibile. Da un punto di vista  logico ed esaminando la questione a livello sistemico, si potrebbero incontrare delle difficoltà  per rispondere. Credo che per comprendere i fatti dovremmo mettere in correlazione alcuni dati e, contemporaneamente, armarci  di un sistema di valutazione che sappia penetrare nei meandri  della natura umana.
Nel 2008  le obbligazioni derivanti da cartolarizzazioni rappresentavano oltre un terzo dell’intero mercato obbligazionario americano.  I derivati  del credito, cioè delle particolari polizze  assicurative contro i rischi di default (insolvenza)  delle società emittenti l’obbligazione (CDS: crediti default swap) sono passati da 693 miliardi di dollari del 2001 ai 45.000 miliardi nel 2007.
Questi dati, apparentemente diversi tra loro,  ci permettono di comprendere  la dimensione quantitativa del fenomeno. Sono cifre enormi,  che presuppongono grandi operazioni da parte di soggetti specializzati ( banche, compagnie di assicurazioni) da cui conseguono affari estremamente lucrosi.
Che le attività di finanza strutturata e di trading abbiano comportato significativi incrementi  nei guadagni delle banche lo si può dedurre da questo confronto: nel 2006 gli utili conseguiti dalle banche nel mondo sono stati pari a 788 miliardi di dollari contro 372 nel 2002; con numerosi casi di ROE (redditività sul capitale investito) superiore al 20/25%.
Ma questa cifra, di per sé enorme, si amplierebbe ulteriormente se tenessimo conto del livello davvero straordinario di stipendi e premi di vario genere che è stato sistematicamente distribuito tra i dirigenti del top e middle management di grandi e grandissime banche di credito ordinario e banche d’affari.
Ora consideriamo questi elementi: scarsa informazione che caratterizza un mercato nel pieno della sua espansione (anche se si tratta di attività finanziaria); alta redditività assicurata dall’attività di trading  su obbligazioni incorporanti crediti cartolarizzati; commisurazione di  premi a dipendenti e manager bancari ai risultati di breve periodo (calcolati su base annuale ma anche trimestrale); mancanza di adeguati controlli interni (da parte cioè della stessa banca) e di controlli esterni (da parte del sistema creditizio nazionale). Se uniamo questo insieme di considerazioni potremmo, a mio parere, disporre della giusta chiave di lettura i grado di rispondere al quesito iniziale.
Anche se occorre sottolineare che molte banche sono rimaste fuori da questo circolo vizioso, anche se sarebbe opportuno distinguere tra banche d’affari e banche ordinarie (queste ultime meno esposte sui rischi delle "obbligazioni tossiche") ciononostante penso sia lecito  affermare che le banche sono rimaste vittime di loro stesse e della propria avidità.
Il bisogno esasperato di evidenziare una redditività sempre più elevata, spinti in ciò dalla brama di conseguire superlative  remunerazioni, ha indotto numerosi management di altrettanti istituti di credito ad accettare crescenti livelli di rischio con la mendace giustificazione che "tanto tutti fanno così" e  con le conseguenze che tutti noi stiamo osservando.
D’altronde se  dedicassimo del tempo a studiare  le crisi avvenute  nel corso dei secoli passati, troveremmo dei denominatori comuni: violazione delle regole; controlli inadeguati, ma soprattutto, un elemento sempre presente nell’animo umano. L’avidità.

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