L’Angola al voto tra Cina e democrazia

Si svolgono oggi in Angola (5 settembre) le elezioni legislative, le prime dalla fine della guerra civile terminata ufficialmente nel 2002 e durata complessivamente per 30 anni. A fronteggiarsi lo schieramento governativo del MPLA e l’opposizione storica della UNITA, due movimenti nati dalla lotta di liberazione contro il Portogallo e che portarono all’indipendenza dell’Angola negli anni ’70 ma che poi continuarono a fronteggiarsi aderendo ai due campi opposti della guerra fredda.
L’attuale presidente José Edoardo Dos Santos (MPLA) al potere dal 1979, è stato accusato più volte dall’UNITA (sostenuta negli anni da Sud Africa e Stati Uniti) di corruzione e clientelismo. Il governo del MPLA ha ormai perso il carattere ideologico che ne aveva fatto una bandiera del socialismo africano durante le lotte contro il colonialismo, assumendo tutti i caratteri del partito unico autoritario e identificandosi, di fatto, con lo stato stesso su cui ha un controllo vastissimo e capillare.
Ma con la fine della guerra fredda (e la pacificazione interna) lo stesso MPLA ha saputo dare un nuovo indirizzo alla politica del paese determinando una sorta di miracolo industriale. Basandosi sulle ricchezze naturali, l’Angola ha avuto una impressionante crescita economica con il tasso di sviluppo (+20% annuale) più alto del Continente e superando anche la Nigeria come produttore di greggio. Le multinazionali straniere fanno a gara per accedere allo sfruttamento delle ricchezze angolane, ma su tutti, in questi anni, sono stati i cinesi a fare i migliori affari e a impiantarsi stabilmente a Luanda.
La strategia cinese è estremamente semplice ed efficace. In cambio di risorse naturali (in particolare petrolio) le compagnie del dragone costruiscono infrastrutture primarie e portano tecnologie, senza immischiarsi negli affari politici interni. E così nascono strade, ospedali, scuole, dighe. Da ultimo la notizia che, proprio come in uno spot elettorale a favore del governo, la China International Corporation ha inaugurato lo scorso 31 agosto i cantieri per la costruzione di una intera città da 200mila persone nei sobborghi della capitale, dotata di tutte le più moderne infrastrutture. Il grande progetto urbano dovrebbe dare lavoro a 10mila operai locali (è la disoccupazione il grande problema angolano, stimata al 65%).
L’Angola sembra così avere le carte in regola per diventare un paese ricco e moderno, ma finora solo una parte marginale della popolazione pare godere di privilegi e opportunità. Luanda è uno specchio della situazione: quartieri in cui risiedono la nomenclatura e la borghesia industriale appaiono degni di uno stile occidentale; il resto della popolazione è ammassato nelle baraccopoli della periferia, senza accesso ad acqua potabile ed elettricità, privo di assistenza sanitaria e scuole.
Se, dunque, la vittoria del MPLA di Dos Santos appare scontata, per la struttura stessa del potere e per il dominio dei mezzi di comunicazione, la pressione delle organizzazioni internazionali (occidentali) potrebbe aprire, dopo la vittoria, una crepa nel sistema. Gli osservatori di Stati Uniti, UE, di organizzazioni umanitarie (come Human Rights Watch) sono pronti a denunciare brogli e violenze e sostenere le probabili proteste dell’UNITA. Anche se le condizioni appaiono al momento diverse, un altro fronte di tensione potrebbe aprirsi nell’Africa australe dopo lo Zimbabwe.

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