Hezbollah non disarma

Il comitato ministeriale che aveva il compito di stabilire le linee programmatiche del nuovo governo libanese di "unità nazionale" che vede rappresentate tutte le componenti politiche, e soprattutto confessionali, del quanto mai composito Paese dei Cedri, ha ultimato i suoi lavori approvando un documento di compromesso.
Principale nodo da sciogliere era lo status di Hezbollah, partito sciita che governa nel sud come in una sorta di stato-ombra, con proprie strutture amministrative ed una milizia armata particolarmente efficiente. Dalle richieste di disarmo totale e inserimento nelle strutture statali avanzate dai partiti filo-occidentali (spalleggiati da Stati Uniti, Israele, Francia), alle rivendicazioni di Hezbollah come unico vero argine per la difesa della sovranità nazionale contro Tel Aviv, la vittoria sembra averla riportata Hassan Nasrallah, leader del Partito di Dio. Il movimento mantiene integre le sue strutture, in particolare militari, anzi, si sancisce una sorta di diritto alla "resistenza" contro aggressioni straniere (Hezbollah respinse l’invasione israeliana dell’estate 2006 con una grande vittoria soprattutto sul piano politico) ed addirittura si auspica la riconquista delle zone ancora occupate nel sud dall’esercito con la stella di David (fattorie di Sheba).
Ago della bilancia per la buona riuscita del compromesso è stato senza dubbio in neo presidente della Repubblica, Michel Suleiman, già capo di stato maggiore, che nei giorni scorsi aveva auspicato un "abbraccio" fra l’esercito libanese e la "resistenza" (ovvero Hezbollah).
Tiepide le reazioni dai partiti della precedente maggioranza del premier Siniora. Soprattutto si sottolinea la precarietà e confusione dell’accordo, organi di stampa parlano già di governo di "disunità nazionale". Effettivamente l’accordo sembra più una tregua che una reale pacificazione, quasi in attesa degli eventi futuri. Per il Libano si attendono le elezioni della prossima primavera, ma saranno soprattutto gli avvenimenti internazionali (pace o guerra in Medio Oriente?) a decidere il futuro del paese.

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