La logica di Israele

La situazione del Medio Oriente, nel generale disinteresse delle opinioni pubbliche europee anestetizzate dall’abile uso dei mass media occidentali, che continuano a minimizzare i rischi che si vanno accumulando in quel teatro a noi così vicino, continua a nostro avviso ad aggravarsi.

La pubblicazione, lo scorso 18 luglio, sull’autorevole New York Times, di un singolare articolo dello storico israeliano Benny Morris, considerato un “revisionista” per certe sue importanti conclusioni sulla radicalità degli interventi di “pulizia etnica” praticati da Israele contro gli arabi palestinesi agli albori della sua storia recente, nella guerra del 1948, deve suonare come un campanello di allarme.

L’articolo, infatti, pubblicato senza commenti ma con grande rilievo anche dal Corriere della Sera di domenica 20 luglio, dà per certo un attacco preventivo israeliano contro l’Iran tra il 5 novembre 2008 ed il 19 gennaio 2009. Ma lo storico si augura questo attacco ed il suo successo, in quanto “se l’attacco fallisse, il Medio Oriente precipiterebbe quasi sicuramente in una guerra nucleare”: una guerra nucleare in Medio Oriente, che, a parere dello storico israeliano, è comunque inevitabile.

Si tratta di un documento di eccezionale gravità, proprio in quanto proveniente da un intellettuale, da un storico: tanto più grave in quanto fa seguito alla poderosa prova di forza militare che Israele ha dato in giugno nei cieli di Creta, in una operazione aerea combinata di dimensioni mai viste, a 900 chilometri di distanza dal proprio spazio aereo.

Risulta evidente quindi che anche le manovre diplomatiche di Israele sui fronti siriano, libanese e palestinese degli ultimi giorni rispondono allo scopo di garantirsi rapidamente, e se necessario ad alto costo, la copertura alle spalle necessaria ad un impegno politico-militare di estremo rischio, quale solo può essere rappresentato dall’operazione di guerra preventiva contro l’Iran data per certa da Benny Morris.

Siamo dunque prossimi ad un svolta militare in Medio Oriente che potrebbe trasformare l’intero volto del mondo contemporaneo, così come lo conoscono le generazioni successive alla seconda guerra mondiale. A tale svolta le classi dirigenti europee non sono né pronte né attrezzate, né sul piano politico, né su quello culturale, né su quello, che conta più di tutti, morale. Gli ultimi negoziati svoltisi a Ginevra hanno del resto dimostrato, nella durezza delle posizioni statunitensi e nella vaghezza di quelle europee, che Europa e Stati Uniti hanno una visione profondamente diversa del contesto mediorientale: gli Usa sono pienamente consapevoli che l’opzione militare sta per essere giocata, probabilmente con il loro benevolo silenzio-assenso, l’Unione Europea cerca di autoconvincersi che non sarà mai così.

Il nodo di fondo, del resto, risiede nel lungo lavoro di carattere appunto morale che Israele è stato capace di svolgere entro le coscienze dei componenti delle classi dirigenti occidentali negli ultimi vent’anni, al punto che oggi proprio uno storico, in spregio delle esperienze di oltre tre millenni di storia mondiale dell’umanità e di ogni logica, può pensare di scrivere, su uno dei più autorevoli quotidiani occidentali, che solo una guerra può evitare una guerra.

L’arroganza intellettuale ci viene oggi esibita, dopo quella militare di qualche settimana fa, senza che nessuno trovi il coraggio di replicare che nessuna Memoria e nessun Olocausto può dare il diritto esclusivo ad un solo Paese al mondo di colpire militarmente un altro. Ad Israele non può essere attribuito il ruolo di gendarme del Medio Oriente: è questo che l’Europa dovrebbe trovare il coraggio di dire a chiare lettere, se necessario contrapponendosi agli Usa.

Solo questa affermazione, e una diplomazia conseguente, può ancora salvare la pace mondiale. Se nessuno la farà, prepariamoci a qualcosa di terribile.

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