Gazprom sotto tiro a Mosca

Negli ultimi anni Gazprom è stato il braccio armato del Cremlino. Lo dimostrano l’aggressività commerciale e  le mire espansionistiche del monopolio energetico. Gazprom è il pilastro attorno al quale Putin ha costruito la politica del capitalismo controllato dallo stato. Ma, negli ultimi tempi, sembra che i rapporti tra l’asse Cremlino- Gazprom  e le altre multinazionali energetiche stiano cambiando.
Lo scorso 6 marzo il Ministro dell’economia German Gref ha attaccato duramente il monopolista e il suo presidente Dmitri Medvedev (anche primo vice ministro e tra i papabili per la successione di Putin): "Gazprom tarda nel formulare le previsioni produttive del periodo 2010-2015" impedendo al governo di elaborare gli scenari di sviluppo dell’economia russa.
La capacità produttiva prevista non sarebbe sufficiente a soddisfare la crescente domanda industriale. Sono carenti gli investimenti destinati agli ammodernamenti degli impianti e dei macchinari e dell’entrata in funzione dei nuovi  gasdotti, mentre stanno lievitando i costi per l’estrazione. Anche gli analisti dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) la pensa come Gref  e prevedono che, in assenza di un nuovo piano di investimenti in nuovi progetti, siano possibili inadempienze nelle forniture di gas destinate all’Unione Europea, causa "la diminuzione degli investimenti di Gazprom nell’introduzione di nuove tecniche estrattive".
L’amministratore delegato di Gazprom Aleksej Miller (altro personaggio vicino al presidente Putin) ha respinto le critiche sostenendo che: "non ci sono motivi di allarme poiché disponiamo di un numero più che sufficiente di giacimenti e di riserve da sviluppare quando sarà necessario". 
Come se questo non bastasse Gazprom sta incontrando ostacoli anche nell’espansione in settori diversi dal gas. Il servizio federale anti monopoli (Fas) potrebbe non concedere l’autorizzazione necessaria per formare una società mista con la Compagnia energetica siberiana del carbone (Suek), leader del settore carbonifero che esporta in Cina e in India. L’idea di una nuova società Gazprom-Suek sarebbe stata appoggiata, per non dire suggerita, dal Cremlino. Quest’ultimo avrebbe programmato l’aumento dei volumi di carbone rispetto a quelli di gas nell’industria della produzione elettrica, il Sistema di elettricità unificato (Ees), in cui Gazprom controlla il 13% del pacchetto azionario. Nelle previsioni, il carbone destinato a Ees sarebbe raddoppiato nel 2015, in un mercato dominato dalla società costituenda.
L’export di gas rende alle casse dello stato entrate superiori a quelle derivanti dal carbone. A questo grande affare si sarebbero dovuto unire anche Ferrovie di Russia, dirette da un altro fedelissimo di Putin, l’ennesimo ex ufficiale del Kgb Jakunin (l’incremento del consumo di carbone richiede il rafforzamento dei trasporti ferroviari). Ma contro questa fusione si sono pronunciati sia Gref che il direttore dell’Ees Anatolij Chubais, l’artefice delle privatizzazioni durante la presidenza di Boris Eltsin degli anni ’90.
La contemporaneità, la gravità, e il rilievo delle personalità che hanno mosso gli attacchi al grande monopolio del gas russo suggeriscono una chiara valenza politica. Gazprom è l’elemento principale della strategia del Cremlino, sul piano interno ma soprattutto su quello internazionale. Le critiche hanno un destinatario: Vladimir Putin. E’ cominciata la grande corsa elettorale del 2007-2008.

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