La trappola libanese

L’avere intravisto giganteschi pericoli spiega il sospiro di sollievo che le cancellerie di tutto il mondo hanno tirato in queste ore, dopo l’approvazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite.
Ma, attenzione a non cadere nella trappola che potrebbe profilarsi in Medio Oriente nelle prossime settimane: lo diciamo in questo caso soprattutto pensando ai militari italiani che saranno chiamati a schierarsi, in un quadro per altro ancora molto confuso, tra l’attuale Linea Blu ed il fiume Litani, nel martoriato sud del Libano.
Le ragioni per cui usiamo esplicitamente il termine trappola vanno quindi ben oltre le preoccupazioni procedurali legate al testo, invero assai confuso, della stessa risoluzione.
Che le ragioni di questo conflitto non possano essere circoscritte ad una operazione di antiterrorismo in grande stile di Israele nei confronti degli Hezbollah crediamo sia bene chiaro a tutti. Alle motivazioni già illustrate qualche giorno fa su Clarissa (si veda: Il taglio netto di Israele: http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=173&tema=Divulgazione) si aggiungono per esempio le informazioni raccolte da Seymour Hersh, prestigioso giornalista Usa, nel suo ultimo articolo in uscita su The New Yorker (http://www.newyorker.com/fact/content/articles/060821fa_fact) che sollevano domande inquietanti. Se sono vere le notizie lì riportate, l’azione di Israele si inquadrerebbe in una assai più complessa pianificazione tra Usa e Israele, avviata la scorsa primavera, rivolta a risolvere il problema iraniano, nella quale in qualche modo l’operazione “Pioggia d’estate” (così è stata chiamata l’offensiva israeliana in Libano dai suoi progettatori) avrebbe il valore di un “test” delle strategie, in particolare di uso dell’arma aerea, programmate per l’attacco all’Iran, oltre a servire ad eliminare in via preventiva una forza politico-militare che potrebbe minacciare Israele in caso appunto di operazioni contro l’Iran.
Questa circostanza appare in qualche modo confermata dall’esplicita minaccia che Dan Gillerman, ambasciatore di Israele alle NU, ha rivolto all’Iran a commento dell’approvazione della risoluzione 1701: “la risoluzione oggi approvata – ha affermato – ha inviato all’Iran un chiaro messaggio: non si possono sviluppare armi che minaccino la regione nel proprio paese e non si possono combattere guerre per procura sul territorio degli altri”.
Che l’amministrazione statunitense stia giocando in modo spregiudicato con la situazione libanese è apparso evidente dal netto sbilanciamento a favore di Israele in sede Onu (evitando la condanna per l’episodio di Qana); dal fatto che gli Usa hanno fornito durante la crisi, con un ponte aereo via Gran Bretagna, armi tra le più moderne ad Israele, in particolare bombe ad altro potenziale e capacità di penetrazione, destinate a fare vittime fra la popolazione civile; dal fatto che non intendano, lo sottolineiamo, prendere parte alla forza Onu prevista dalla risoluzione 1701.
Sorge a questo punto il sospetto che la forza Onu possa trovarsi in realtà coinvolta in un progetto politico-militare di Usa e Israele in cui la presenza di Paesi come Italia Francia Turchia potrebbe rappresentare, nel caso di un aggravamento della crisi con l’Iran, una via di internazionalizzazione di un conflitto che l’Europa in primo luogo sta tentando di evitare. Che questa preoccupazione sia presente nelle diplomazie dei Paesi che più di altri hanno spinto per il cessate il fuoco, come Francia e Turchia, è ben evidente: nelle ultime ore sia la Francia che la Turchia hanno sottolineato che la loro partecipazione al contingente Onu è soggetta ad una più precisa definizione di come questo debba operare sul terreno.
Prudenza giustificabile se a poche ore dal cessate il fuoco, oltre ad una nuova durissima azione militare israeliana nella striscia di Gaza, che ha portato alla morte di tre civili palestinesi, le forze armate di Israele hanno ribadito che “i propri soldati mantengono il controllo di diverse posizioni strategiche, che gli consentirebbe di conquistare in pochi giorni l’intero settore sud del paese confinante, qualora si rendesse necessario” ed il governo israeliano ha ripetuto di “riservarsi il diritto all’autodifesa” – con il vantaggio innegabile di avere questa volta una risoluzione Onu, la stessa 1701, che attribuisce ad Hezbollah la colpa del conflitto: il tutto mentre viene mantenuto il blocco marittimo, aereo e terrestre al Libano.
Attenzione dunque al protagonismo italiano, in una crisi dai confini ancora non chiari quanto a motivazioni e finalità effettive; attenzione a non cadere in una trappola libanese; attenzione a non trovarsi a combattere per Israele: è forse il caso di lasciare questo privilegio all’alleato statunitense.

Anche questa, come già quella dell’Iraq, ancora di più dopo quello che vediamo in Iraq ogni giorno, non è la nostra guerra.

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