L’Iran si prepara alla guerra?

La comunità internazionale aspetta per il 5 luglio, con l’incontro tra Javier Solana, alto rappresentante per le questioni estere della UE, e Alì Larjani, portavoce del governo iraniano per la questione nucleare, una risposta da parte di Teheran sulla proposta del gruppo di contatto (i 5 componenti del Consiglio di Sicurezza Onu più la Germania) che prevede la sospensione del programma nucleare degli ayatollah in cambio di aiuti economici e benefits.
Questa attesa sembra basarsi su un equivoco di fondo: mentre in occidente (e soprattutto a Washington) si ritiene la proposta come definitiva, in Iran le autorità l’hanno considerata come un primo passo attorno cui cominciare dei negoziati. È molto probabile, quindi, che Larjani porterà una risposta incompleta e tesa a temporeggiare, ciò che verrà accolto come un rifiuto. Le schermaglie diplomatiche degli ultimi mesi sembrano dunque essere giunte al nodo cruciale. E gli Stati Uniti hanno giocato perfettamente la loro partita.
Questo appare evidente anche in Iran, che si sta ormai preparando alla guerra. Negli scorsi mesi le forze armate hanno subito delle radicali ristrutturazioni. La Guardia Rivoluzionaria, la milizia islamica del regime, è stata trasformata in un corpo agile con brigate provinciali tra loro indipendenti e sganciate anche dal comando dell’esercito regolare. La strategia è evidente: creare una forza di resistenza diffusa e pluri-centrica, sulla falsa riga della resistenza irachena, ma molto più disciplinata e meglio armata.
Non sfugge, poi, che le maggiori esercitazioni militari sono avvenute al nord, nelle regioni turcofone ai confini con l’Azerbaigian, e verso ovest, nel Khuzistan, ai confini con l’Iraq. Zone con minoranze azere e arabe da cui, in caso di conflitto, si possono attendere infiltrazioni nemiche e pulsioni secessioniste.

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