Come previsto dai più attenti osservatori, a qualche mese di distanza dall’elezione di Michelle Bachelet alla presidenza del Cile, non si è notato alcun cambiamento di rotta rispetto al vecchio governo Lagos del quale la neo-eletta era Ministro della Difesa.
Il fatto che la Bachelet avesse un passato comunista, fosse stata prigioniera politica ai tempi di Pinochet e che, comunque, rappresenti un partito di sinistra, aveva fatto pensare a qualcuno che il Cile si sarebbe potuto distaccare dalla politica statunitense, andando ad ingrossare le fila di quei paesi che propongono un modello alternativo di sviluppo.
Ma la sinistra rappresentata dalla Bachelet è di stampo liberista e decisamente filoamericano (è già stato firmato anche il TLC, tratado de libre commercio con gli Usa), niente a che vedere con quel governo Allende che negli anni ’70 aveva iniziato un programma di nazionalizzazione dell’economia e intendeva distaccarsi dall’egemonia statunitense prima che il golpe militare ne interrompesse l’esperienza.
A livello di politica economica nulla è cambiato rispetto al periodo della dittatura, infatti, il modello neoliberista teorizzato dai Chicago boys, di cui si avvalse Pinochet, ha continuato ad essere utilizzato dai governi successivi ed ha portato ad un peggioramento nella distribuzione del reddito (il 10% della popolazione detiene il 50% della ricchezza, mentre un numero molto ampio di persone vive in stato di estrema povertà).
Il nuovo corso dell’America Latina è dunque molto più frastagliato di quello che alcuni commentatori ritengono, definendo semplicisticamente la gran parte dei nuovi esecutivi come di "sinistra" o "centro-sinistra". È ad esempio molto diversa l’ esperienze di "sinistra" alla Chavez, definita spesso, in modo forse dispregiativo, "populista", da quella rappresentata dalla Bachelet o da altri Presidenti di nazioni circostanti, che si distaccano solo in minima parte da politiche di governi di "destra" o che comunque rimangono allineati agli Usa.
