Africa dagli occhi a mandorla

Sta assumendo proporzioni rilevanti la penetrazione commerciale in Africa della Cina. Si tratta di un fenomeno nuovo per quello che era sempre stato un continente strettamente legato agli interessi dei paesi occidentali.

 

In alcuni casi Pechino ha approfittato di tensioni politiche contingenti, come l’embargo decretato dagli americani nei confronti del Sudan per la guerra civile nella regione del Darfur, o lo stato di tensione nello Zimbabwe determinato dalla riforma agraria voluta dal presidente Robert Mugabe che ha espropriato i latifondisti bianchi di origine britannica.

 

In altri casi, però, la penetrazione cinese è avvenuta in aperta concorrenza con i paesi occidentali, instaurando un nuovo modello di relazioni internazionali. Se Pechino ha forte necessità delle materie prime africane (soprattutto nel settore energetico), è in grado di fornire in cambio tecnologie, servizi, infrastrutture.

 

E, così, gli accordi commerciali con la Nigeria prevedono la messa in orbita di un satellite per le telecomunicazioni entro il 2007, con il Congo un’imponente programma di costruzione di reti stradali, in Etiopia la realizzazione della più grande diga del continente.

 

Organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale denunciano la spregiudicatezza cinese affermando che gli scambi commerciali dovrebbero essere condizionati da “riforme” democratiche e civili, mentre la Cina non pare intenzionata a fare la “morale” ai governi, spesso autoritari, del continente nero. Del resto, però, Banca Mondiale e Fondo Monetario non sembrano legittimate a proporre soluzioni che per decenni hanno determinato il fallimento delle promesse fatte all’Africa.

 

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