Il nuovo Consiglio ONU per i diritti umani. Vecchi problemi?



Lo scorso 9 Maggio l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è riunita a New York per eleggere il nuovo Consiglio per i Diritti Umani. Tale organismo dovrà prendere il posto della vecchia Commissione per i diritti umani, le cui capacità operative sono state minate nelle fondamenta dall’appesantimento burocratico e dalla gestione politica cui era soggetta.
Il nuovo Consiglio, quale organo sussidiario dell’Assemblea Generale, dovrà promuovere il rispetto universale e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali mediante la possibilità di effettuare raccomandazioni. Esso consta di 47 membri, eletti dall’Assemblea Generale. Come molti organi insediati in seno all’ONU, anche il Consiglio per i diritti umani prevede una ripartizione dei membri direttamente proporzionale alla distribuzione geografica; così gli stati asiatici ed africani potranno contare su 13 membri ciascuno, gli stati dell’America Latina su 8 membri e quelli dell’Europa occidentale su 7.
Il risultato delle votazioni ha sollevato non poche polemiche nella comunità internazionale a seguito dell’elezione di Paesi quali Cuba, la Cina, l’Arabia Saudita ed il Pakistan, che certamente non costituiscono dei modelli da emulare in tema di diritti umani.
Forti critiche sono venute dagli Stati Uniti, dall’Italia e da numerose organizzazioni non governative che operano nel settore, che hanno accusato inoltre il Consiglio di capacità operative ridotte a causa di un appesantimento burocratico, con il rischio quindi di aver creato un organo malfunzionante sin dall’inizio.
Nessuno però pare aver preso in considerazione l’idea che la presenza di questi Paesi nel Consiglio possa costituire un incentivo per spingerli a creare un sistema interno tale da garantire maggiormente la tutela e dei diritti umani e delle libertà fondamentali ai cittadini.

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