La sfida di Putin

Durante il discorso sullo stato della Federazione del 10 maggio, il presidente russo Vladimir Putin ha formalmente sancito quella che era una tendenza politica intrapresa ormai da alcuni anni. Lo zar di Mosca ha gettato la maschera: dopo oltre un decennio in cui ha rivestito il ruolo di socio subalterno verso gli Usa, dopo un oscuro periodo di crisi economica, militare, sociale e politica, la Russia si sente pronta per tornare ad essere una potenza globale.
Putin si fa forte di due elementi strutturali fondamentali. Sul piano interno il suo potere è solido e indiscusso: sono finiti gli anni di Eltsin in cui tecnocrati e criminalità organizzata la facevano da padrone. La classe dei ricchi, ridotta allo stato di nuovi boiardi, può continuare a prosperare tranquillamente purché rimanga sotto il controllo (ovvero il potere) del Cremlino.
Inoltre, la congiuntura economica internazionale sta rendendo le risorse energetiche russe primarie e lucrosissime. Putin, sotto questo aspetto, ha rilanciato dichiarando che “la Russia vuole essere promotrice e parte integrante di una strategia energetica comune per l’Europa”, lanciando anche l’idea di una nuova borsa petrolifera e del gas basata sul rublo e non più sul dollaro. Questa impostazione deriva anche dai recenti accordi economici di Tomsk stretti con la Germania della Merkel e di Schroeder, che la preoccupata e filo-Nato Polonia ha definito come il nuovo patto Molotov-Ribbentrop.
Ma come investire le enormi entrate derivanti dagli idrocarburi? Anche qui Putin non ha dubbi: “La Russia deve avere un forte potenziale militare per la sicurezza interna e contro le pressioni politiche esterne”. Il messaggio a Washington non poteva essere più chiaro.
Mentre diplomaticamente Mosca sta via via riacquistando le posizioni perse in molte delle Repubbliche ex sovietiche (in particolare sono stati riallacciati rapporti stretti con Uzbekistan, Kirghizistan, Kazakistan, ma anche Ucraina, a danno degli Stati Uniti), non appare ancora chiaro il reale atteggiamento nei confronti dell’Iran. Sia una rinnovata alleanza che un cambiamento di regime a Teheran possono portare dei vantaggi. La partita è aperta.

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