“Deriva americana” è una raccolta di articoli scritti dall’autore dal 2001 al 2003 e pubblicati, prevalentemente, sul “The New York Times”. In Italia il volume è pubblicato da Laterza.
Conosciamo Paul Krugman come economista, ma in questo libro lo scopriamo impegnato anche politicamente.
Gli argomenti trattati sono numerosi e spaziano dalla politica estera a quella interna, dalla finanza all’economia. In tutto questo comunque è presente un filo conduttore rappresentato da una costante critica verso l’Amministrazione Bush e la destra conservatrice americana. L’autore si definisce (più volte) come “liberal”, un uomo, pertanto, legato ai valori fondamentali della società americana ma contrario a qualsiasi forma di integralismo.
Per tutelare questo patrimonio accusa l’attuale Amministrazione e le forze politiche che la sostengono, di operare non per il bene della comunità ma nell’interesse di ristretti gruppi che strumentalizzando valori patriottici e le idee guida che hanno rappresentato e rappresentano da sempre una bandiera degli Stati Uniti nel Mondo, quali libertà e democrazia, puntano a divenire sempre più ricchi e potenti. Le apparenti grandi riforme proposte ed in parte realizzate dalla Amministrazione Bush costituiscono, di fatto, dei grossi regali alle classi più abbienti. Basti citare la riforma fiscale dove, secondo Krugman, il 40% dei benefici acquisiti con le riduzioni di imposte vanno a favore di appena l’1% della popolazione americana. Così anche la privatizzazione della Social Security produrranno – se realizzata – di fatto, un ampliamento della forbice tra ricchi e poveri.
Rimanendo nel campo economico, si possono leggere articoli taglienti che evidenziano i lapalissiani conflitti di interesse tra il sistema politico istituzionale e la governance delle grandi corporations, fino a giungere a quelli della stessa famiglia Bush..
L’autore si occupa, inoltre dei rapporti economici internazionali. La loro gestione da parte di Bush viene ritenuta altamente inadeguata: basti pensare all’arrogante imposizione di dazi doganali sulle importazioni di acciaio, in palese contrasto con gli accordi WTO, organismo che costituisce il peculiare prodotto della politica economica internazionale Usa nel corso dell’ultimo cinquantennio.
Anche nella finanzia internazionale Krugman ravvisa nell’attuale Amministrazione un nuovo, pericoloso stile. L’abbandono dell’Argentina al default finanziario del 2001 rappresenta una evidente contraddizione, tenuto conto che il paese sudamericano ha subito un tracollo a causa della dollarizzazione della sua economia.
Per non parlare, in campo ambientale, della mancata sottoscrizione della Convenzione di Kyoto. Ciò per soddisfare gli enormi interessi del settore dell’energia che tanta parte ha avuto nella elezione del presidente Bush.
Infine le menzogne, le pressioni esercitate sui funzionari dell’Intelligence per ottenere da costoro rapporti favorevoli alla guerra, così come sui giornalisti e mass media per ammorbidire l’opinione pubblica e prepararla alla guerra contro l’Iraq.
L’analisi di Krugman non si limita ad indicare le decisioni e le azioni sbagliate dell’Amministrazione, ma mette in risalto i bassi interessi di bottega di una classe dirigente sempre più tronfia del suo potere, intollerante verso chi osa opporsi, chiusa in una visione confessionale della società e del Mondo.
Il quadro che viene tracciato dall’autore sulla attuale società americana non è per nulla attraente. Anzi evidenzia un paese inquieto, ambiguo e inquietante.
Una situazione ancora più preoccupante alla luce di quanto scritto nelle sue prime pagine sul “potere rivoluzionario”, frase coniata da Henry Kissinger per delineare un potere che non accetta la legittimità del sistema e che, secondo lo scrittore, ben si attaglia allo stile ed alla strategia della destra conservatrice americana.
In definitiva un libro leggibile, con molte informazioni su fatti della politica interna e internazionale visti e spiegati da un americano cha ha ancora il coraggio di parlare.