Da Hiroshima a Teheran

Cambia la strategia nucleare degli Stati Uniti. La nuova dottrina compare in un documento delle Forze armate statunitensi denominato DJNO (Doctrine for Joint Nuclear Operations) del marzo 2005. Analizzato da Michel Chossudovsky, professore di economia dell’Università di Ottawa e direttore del Global Research, il documento illustra interessanti, e preoccupanti, novità.
Conseguente alla linea di condotta delineata con la “guerra preventiva”, gli armamenti nucleari, intesi durante la guerra fredda quasi unicamente nella loro funzione di deterrente, oggi divengono esplicite armi tattiche. Si legge nel documento: “è essenziale che le forze armate statunitensi si preparino all’uso di armi atomiche, e che siano determinate ad impiegarle se ciò è necessario per prevenire o per reagire all’uso di armi di distruzione di massa”. Dunque anche la semplice previsione che un eventuale nemico possa utilizzare armi di distruzione massa giustifica l’utilizzo di armi atomiche a scopo preventivo.
Un altro cambiamento strutturale è quello relativo la decisione operativa sull’utilizzo di tali armi. Mentre precedentemente tale decisione era esclusivo appannaggio del Presidente, ora la decisione ultima spetta ai comandanti militari sul campo. Il presidente, in caso di crisi bellica, si limita a fornire un via libera a priori, consentendo l’utilizzo di tutti gli armamenti, convenzionali e non, ad appannaggio della cosiddetta “cassetta degli attrezzi” di cui dispone ogni comandante. A costui, che potrà essere anche un generale di brigata, spetterà la decisione discrezionale sull’utilizzo degli armamenti più appropriati determinati dallo scenario di guerra, comprese le testate atomiche in sua dotazione.
Questa discrezionalità dipende anche dalle innovazioni tecnologiche in questo settore che hanno portato alla definizione di piccole testate nucleari, cosiddette “mini-atomiche” che avrebbero caratteristiche di estrema flessibilità nell’utilizzo e sarebbero, a detta dei vertici militari, “sicure per la popolazione civile”.

Il tipo di scenario appena delineato si attaglia perfettamente all’attuale crisi tra Stati Uniti e Iran. Un paese islamico fondamentalista (“stato canaglia”) ostile ad Israele e all’occidente, sponsor di gruppi e fazioni considerate “terroriste”, un programma nucleare civile che potrebbe, un giorno, diventare anche militare. Ce n’è abbastanza per considerare l’opzione nucleare “preventiva”. E le autorità americane non fanno nulla per nasconderlo, quasi a voler preparare l’opinione pubblica all’evento.

Nemmeno le autorità iraniane devono essere allo scuro di tutto ciò, eppure sembrano non fare nulla per scongiurare l’eventualità. Anzi, l’aggressività mostrata dal paese degli ayatollah sembra suggerire una domanda: ma l’Iran vuole la guerra? Secondo alcuni analisti l’eventualità di uno scontro bellico con gli Stati Uniti non spaventerebbe affatto l’Iran, per diverse ragioni che qui proviamo a riassumere brevemente.

Primo: a Teheran si pensa, evidentemente, che can che abbaia non morde. Gli Stati Uniti sarebbero impantanati in Iraq e non sarebbero dunque in grado di sostenere un ulteriore sforzo bellico come quello in corso. Ma anche se la fazione più oltranzista dell’amministrazione Bush, e più vicina ai desiderata di Israele, dovesse prevalere, i vertici delle forze armate persiane e dei Guardiani della Rivoluzione si sentono ottimiste. Per due motivi: la vastità e la struttura geografica impedisce di fatto una invasione del paese sullo stile iracheno; una campagna esclusivamente aerea potrebbe protrarsi per moltissimi mesi. Nel frattempo l’Iran chiuderebbe il Golfo persico e getterebbe in una profonda crisi energetica l’intero pianeta; le fazioni filo-iraniane in Afghanistan, Iraq, Libano, darebbero battaglia nelle retrovie nemiche; lo stesso esercito iraniano, ben armato e motivato, potrebbe infliggere duri colpi agli avversari. Si comincerebbe una guerra di usura che gli iraniani sentono di riuscire a non perdere, fino a costringere il nemico a ritirarsi. Che per loro, nel mondo musulmano, potrebbe equivalere a una enorme vittoria (per una analisi più approfondita si consulti il seguente articolo di Amir Taheri).
Secondo: l’aggressività internazionale iraniana è esclusivamente strumentale al fronte interno. Il presidente Ahmadinejad si rende conto di avere sotto di sé un paese che ha perso lo slancio rivoluzionario che consentì la cacciata dello Scià nel ’79. Soprattutto tra i giovani universitari e disoccupati degli agglomerati urbani sono vasti malcontento e disillusione. Puntando sul nazionalismo e sulla minaccia esterna il regime tenta di rivitalizzare e ricompattare il paese prima che possa sfuggire completamente di mano dal punto di vista sociale. Ma riuscirà la diplomazia iraniana nel rischioso gioco di tirare la corda fino ad un attimo prima del suo spezzarsi?
Terzo: potrebbero esistere fazioni all’interno del regime iraniano, in qualche modo corrispondenti e analoghe a quelle esistenti negli Stati Uniti e Israele, che rispondono ad ideologie ed interessi sopranazionali e che stanno muovendo verso la guerra. Sarebbero influenti centri di potere finanziario, religioso, massonico, come l’organizzazione segreta sciita Hojattieh che avrebbe egemonizzato sia i pasdaran che i servizi di sicurezza del paese, e di cui farebbe parte lo stesso presidente Ahmadinejad (si vedano gli articoli di Fausto Carotenuto e Maurizio Blondet). Del resto questi due mondi erano già in contatto quando negli anni ’80 l’amministrazione statunitense di Ronald Reagan (e del vicepresidente George Bush sr.) vendette illegalmente armi all’Iran (scandalo noto come Irangate o Iran/Contras connection). I gruppi di potere al governo attualmente nei due paesi sono gli stessi, e in diversi casi sono fisicamente le stesse persone.

Nel concludere questa allarmata disanima vogliamo riproporre un brano tratte dalle pagine del diario del presidente americano Harry Truman scritte pochi giorni prima l’utilizzo della bomba atomica su Hiroshima, parole che risuonano come un terribile avvertimento per la nostra epoca: “Abbiamo scoperto la bomba più terrificante della storia dell’umanità. Potrebbe avverarsi la distruzione col fuoco profetizzata nell’era della Valle dell’Eufrate, dopo Noè e la sua arca favolosa. […] Quest’arma dovrà essere usata contro il Giappone […] Verrà utilizzata in modo che gli obiettivi siano militari, soldati e marinai e non donne e bambini. Sebbene i giapponesi siano selvaggi, crudeli e spietati, noi, come leader mondiali del benessere comune non possiamo lanciare quella terribile bomba sulla vecchia o sulla nuova capitale […] L’obiettivo sarà puramente militare […] Sembra la cosa più terribile mai scoperta, ma si può fare in modo che diventi la più utile.

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