UNA GRANDE COALIZIONE

Due tendenze, contrapposte, sembrano caratterizzare gli snodi politici di alcune aree geostrategiche fondamentali. La prima è una radicalizzazione in senso estremistico nel mondo islamico mediorentale. Dopo l’elezione del cosiddetto ultraconservatore Ahmadinejad a presidente dell’Iran, si è passati all’impressionante vittoria del movimento fondamentalista Hamas nelle elezioni legislative dell’Autorità palestinese. Questi due eventi elettorali hanno messo in allarme Stati Uniti ed Europa che si troverebbero a dover fronteggiare un rinnovato pericolo “antisemita e antioccidentale”.

All’opposto, in Israele ed in Germania sembrano affermarsi coalizioni moderate che raggruppano nello stesso governo elementi storicamente avversari. A Berlino l’esecutivo presieduto da Angela Merkel ha realizzato una sorta di compromesso storico tra i cristiano democratici e i socialisti. In Israele si prospetta la vittoria alle vicine elezioni del neopartito centrista fondato da Ariel Sharon, e a quanto pare la malattia che ha estromesso l’uomo forte di Tel Aviv dalla scena pubblica, probabilmente per sempre, non ha minimamente scalfito il suo progetto politico. Un panorama simile potrebbe realizzarsi anche in Italia visto che la recente legge elettorale ha di fatto decretato la fine dei due opposti schieramenti su base maggioritaria. L’instabilità che può uscire ad aprile dalle urne potrebbe condurre, mutatis mutandis, a ricostituire il blocco sociale e politico che fu la base del pentapartito.

 

Nel 1998, negli stessi due paesi europei, Germania ed Italia, si svolsero mutamenti politici paralleli ma simili. Erano quelli gli anni del cosiddetto “ulivo mondiale”, con governi riformisti di sinistra che governavano i più importanti paesi occidentali. Gli esecutivi di questi due paesi si reggevano però su maggioranze più radicali. In sequenza, a distanza di poco tempo, in Germania si assistette alla fuoriuscita dell’ala operaista della SPD guidata da Oskar Lafontaine e il nuovo governo si consolidò sul binomio rosso-verde del cancelliere Schroeder e del ministro degli esteri Joska Fischer. In Italia il governo Prodi cadde per l’uscita dalla maggioranza di parte del Partito della Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti, ma al suo posto si insediò un esecutivo maggiormente riequilibrato al centro con l’ingresso di una componente che nel frattempo si era staccata dal centro/destra.

Furono in molti a vedere nelle due operazioni i prodromi di una crisi internazionale, quella del Kosovo, che portò allo scoppio della guerra tra Nato e Jugoslavia nel marzo del 1999. I due paesi, fondamentali per lo scenario bellico, avevano bisogno di maggioranze che fossero stabili, che non contenessero istanze troppo radicali e pacifiste, che fossero saldamente filo-atlantiche, che avessero la possibilità di controllare eventuali derive contestatarie della loro base popolare. I governi usciti dalle due mini crisi erano perfetti allo scopo.

Che lo scenario di guerra in preparazione abbia determinato quei mutamenti politici ha avuto, almeno per il caso italiano, delle autorevoli conferme. Il 4 ottobre del 2000 l’ex ministro della Difesa Carlo Scognamiglio (uno dei transfughi del centro/destra che entrò nel nuovo governo D’Alema) scriveva sul quotidiano Il Foglio polemizzando con James Rubin, portavoce dell’allora Segretario di Stato americano Madeleine Albright: “A Rubin sfugge che in Italia avevamo dovuto cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politici-militari che si delineavano in Kosovo… Prodi ad ottobre aveva espresso una disponibilità di massima all’uso delle basi italiane, ma per la presenza di Rifondazione nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l’on. D’Alema. [L’accordo si componeva di] due parti. La prima era il rispetto dell’impegno per l’euro… la seconda era il vincolo di lealtà alla NATO: l’Italia avrebbe dovuto fare esattamente ciò che la NATO avrebbe deciso di fare” (brano tratto dal sito di Domenico Gallo).

 

Visti i precedenti, quando in paesi e situazioni differenti si delineano mutamenti politici che appaiono correlati, diventa necessario prestare attenzione e verificare se possono esistere motivazioni nascoste ma comuni.

 

Le spiegazioni possono essere tantissime. La prima e più semplice è la casualità: nessun disegno e nessuna strategia, semplicemente coincidenze e ricorsi della storia senza nessuna relazione le une con gli altri.

Altra spiegazione potrebbe essere una sorta di forza che in determinate circostanze sembra spingere gli uomini verso uno stesso ineluttabile destino. È lo spirito inconscio dei popoli a prendere il sopravvento.

Infine, è la spiegazione più prosaica, forze oscure ma assolutamente reali stanno incanalando gli eventi della storia verso una soluzione che sia loro favorevole.

 

Quindi quale potrebbe essere il senso di questi rivolgimenti politici? Dal versante islamico di Iran e Palestina sembra arrivare il messaggio di una sfida aperta all’occidente. Dall’occidente sembra esserci la preparazione, attraverso il compattamento politico derivante dalle grandi coalizioni, per una stagione di crisi epocale e catastrofica, probabilmente militare. Vista l’accelerazione dei fenomeni a cui stiamo assistendo non dovrebbero mancare molti mesi per avere la risposta all’interrogativo.

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