Dopo il petrolio: sull’orlo di un mondo pericoloso è il titolo di un saggio di Paul Roberts ( pubblicato da Gli Struzzi Einaudi) sulla attuale situazione energetica e sulle prospettive future.
L’economia energetica è uno dei temi più complessi e aggrovigliati della nostra epoca. L’effetto serra e le conseguenze climatiche che ne discendono costituisce un problema sempre più percepito e temuto. La stretta relazione tra i due fenomeni è molto forte ed evidente.
Paul Roberts nel suo libro affronta i due aspetti separatamente e nel loro inevitabile intreccio. Entra con decisione nei singoli temi e li analizza evitando le trappole delle impostazioni preconcette e delle valutazioni ideologiche.
L’era del petrolio sta terminando; il problema è sapere quando.
Le stime sbandierate da alcuni organi ufficiali del comparto petrolifero e di istituzioni pubbliche (di alcuni paesi) contrastano con quelle di esperti indipendenti. La sensazione che se trae è che sia in atto un potente gioco di disinformazione al fine di evitare che milioni, miliardi di persone, in particolare quelle del mondo industrializzato, possano cominciare a porsi seri interrogativi sul nostro futuro.
Quali le alternative?
L’idrogeno, secondo l’autore, presenta notevoli vantaggi; manca comunque una struttura che lo possa gestire adeguatamente, ed il suo costo, in ogni caso risulta elevato.
Roberts, focalizza di volta in volta l’attenzione sul fotovoltaico/solare, eolico. Affronta con sano pragmatismo paragoni con altre energie non rinnovabili: petrolio, gas, nucleare alla luce delle nuove tecnologie in grado di rendere queste ultime più pulite e quindi più consone agli odierni imperativi ambientali.
Il lettore, a questo punto, viene introdotto al complesso fenomeno dell’effetto serra. Le previsioni dei climatologi fanno comprendere che il problema è drammaticamente contingente. L’umanità con le sue esigenze ed i suoi consumi, sta avviandosi verso il punto del non ritorno. Malgrado queste temibili profezie, l’autore ci descrive con realismo le diatribe tra gli stati desiderosi di scaricare vicendevolmente sugli altri gli oneri delle trasformazioni che verrebbero richieste per il passaggio ad energie pulite.
Ma anche le ciniche valutazioni fatte da aziende e grandi corporations che, pur sapendo di arrecare danni incommensurabili, procedono nella ricerca senza remore del profitto. Infine i cittadini oggi sempre più frequentemente chiamati consumatori. Anch’essi, in parte, sono consapevoli dei grandi rischi che l’umanità sta correndo in un mondo senza più equilibrio energetico e con serie prospettive di grandi turbative climatiche. Eppure risultano legati alle loro abitudini, ai loro consolidati sistemi di vita, e si mostrano restii ad accettare modelli alternativi a quello consumistico ( e non solo energetico) oggi imperante.
In definitiva, è un discreto ma pacato atto di accusa verso una società ed un orientamento culturale che ritiene di poter perpetuare il modello dello “sviluppo continuo ed inarrestabile” come è avvenuto dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri.
Il futuro, tuttavia, non ci consente di operare con questo modello conservativo. Dobbiamo cominciare a pensare che la nostra vita sarà condizionata da vincoli ineludibili: l’effetto serra ed i vincoli alle emissioni inquinanti, la penuria di materie prime (tra le quali petrolio ed altri combustibili fossili) ed altro ancora.
E non bisogna ritenere che tutto verrà risolto con l’evoluzione della scienza e lo sviluppo delle tecnologie.
Occorre che politica e cultura inizino ad elaborare nuovi modelli capaci di affrancarsi dalla subordinazione all’economia ed ai grandi interessi lobbistici così come avvenuto negli ultimi decenni. Da questa considerazione scaturisce forse l’unica osservazione critica a questo lavoro.
Infatti il pragmatismo usato dall’autore nell’analizzare la politica reale e le regole che governano l’economia attuale, hanno condizionato l’opera in uno schematismo intellettuale di tipo conservativo.
Paul Roberts accetta come naturale e, comunque inevitabile, il fatto che potenti majors possano condizionare la politica di stati e continenti, così come gli interessi delle aziende energetiche debbano prevalere sul diritto alla salute dei cittadini.
Sarebbe occorso un maggiore sforzo intellettuale e più coraggio per indicare una via d’uscita da perseguire a costo di scompaginare le carte di un sistema economico sociale bloccato, retrivo e miope.
Una via d’uscita da una situazione che sempre più assomiglia al tragico destino di chi sta danzando sull’orlo di un precipizio.
Che potrebbe franare in un qualsiasi momento.
In definitiva un libro da leggere per tutti coloro che vogliano comprendere meglio le problematiche energetiche sotto il profilo tecnico scientifico e le complesse valutazioni tecniche, economiche e politiche che vengono richieste ogni qual volta si vogliano prendere in considerazione con serietà e chiarezza d’intenti alternative parziali o totali al nostro attuale sistema energetico.
Il caso Repsol
Un importante produttore petrolifero annuncia la revisione delle stime sulle sue riserve di petrolio e gas (Il Sole 24 ore. Pag. 33 del 27/01/2006). Due anni fa la Dutch Shell annunciò il taglio di circa il 20% delle riserve stimate in suo possesso. Ora è la volta di Repsol (quinta società petrolifera a livello europeo). In tutti e due i casi gli annunci hanno comportato pesanti flessioni dei titoli azionari, con la perdita nelle Borse mondiali di svariati miliardi di euro di capitalizzazione.
Ma il vero problema è un altro. Quanto sono attendibili le stime elaborate e pubblicate dalle compagnie petrolifere e dagli stati produttori?
Sul finire degli anni ‘80, i sei grandi produttori petroliferi del cartello OPEC aumentarono in breve tempo le stime sulle loro riserve dichiarate di circa 300 miliardi di barili di petrolio. Di fatto raddoppiandole. La decisione venne motivata come correzione a precedenti errori di stima. Ma il dubbio sulla correttezza dell’operazione rimase molto forte. Infatti, nel 1985 un decreto OPEC stabiliva che ogni stato partecipante poteva esportare petrolio in proporzione alle riserve dichiarate. Pertanto con maggiori riserve, questi stati potevano produrre di più e, quindi, disporre di maggiori introiti valutari.
Analogamente il valore di mercato di una società petrolifera è legato , tra le altre cose, anche alle riserve di idrocarburi che dichiara di possedere. In relazione a tutto questo molti specialisti ritengono che le riserve complessive siano sovrastimate.
Se questo corrispondesse a realtà, rappresenterebbe un terribile pericolo latente per l’economia mondiale. Significherebbe, in altre parole, che il punto di picco, cioè il momento in cui la produzione non sarà più in grado di soddisfare la domanda, potrebbe essere molto più vicina a noi di quanto si pensi.
Alcuni fissano questa data al 2010; altri ancora prima (Paul Roberts. “Dopo il petrolio”. Gli Struzzi Einaudi. Pag. 42).
Chi avrà ragione?
Fano, 20 gennaio 2006