QUE VIVA CHAVEZ!

La recente visita in Italia del presidente del Venezuela Hugo Chavez è mediaticamente passata inosservata. Soprattutto le televisioni non ne hanno parlato. Strano, visto che il Venezuela è un paese importante, con una grande comunità italiana, e soprattutto è uno degli stati più importanti al mondo per riserve petrolifere e di gas, cosa da non sottovalutare vista la precaria condizione energetica mondiale e l’instabilità del Medio Oriente. Forse il motivo di tanta indifferenza non è tanto da addebitarsi all’importanza geoeconomica del paese latino-americano, quanto piuttosto alla scomodità del suo presidente e di ciò che rappresenta.

Ma chi è Hugo Chavez? Su di lui sembra potersi dire tutto e il suo contrario. Ne è un fulgido esempio l’articolo del Corriere della Sera a firma di Gian Antonio Stella del 14 ottobre 2005. Scrive infatti Stella: “Chávez fa un sacco di cose che potrebbero piacere al Cavaliere [Silvio Berlusconi, n.d.r.] e renderlo insopportabile alle sinistre e altre che potrebbero essere lette esattamente a rovescio. E tale è la confusione che è riuscito a seminare intorno che qui sta appunto la sua magia. Ambigua com’è ambigua Maria Lionza, la dea india che cavalca nuda un tapiro e che è sì pagana ma anche un po’ cristiana e un po’ india e un po’ spagnola e un po’ tutto insieme”.
Stella si dilunga poi su questa ambiguità di Chavez, enumerando tutta una serie di presunte contraddittorietà: è l’idolo dei no-global per il suo aperto antimperialismo, tanto da entusiasmare il popolo di Porto Alegre con la visione di un mondo bello e solidale, ma al tempo stesso “introduce l’educazione militare nelle materie scolastiche «come base d’una coscienza nazionalista»”. È la voce degli umili e degli oppressi, ma questo sentimento ecumenico non lo esime dal mandarsele a dire col cardinale venezuelano Rosario Castillo Lara, che “denuncia un progressivo «scivolare verso un sistema completamente dittatoriale, collettivista»” del Venezuela, e si sente rispondere dal presidente che lui è un “«bandito, immorale e buffone» nonché «golpista col diavolo in corpo»”. Anche la destra italiana sembra in qualche modo sedotta da Chavez, secondo Stella soprattutto “attratta dai modi spicci chavisti” tanto che l’ambasciatore italiano si congratulò con entusiasmo per la sua vittoria nello scorso referendum costituzionale che lo riconfermava alla guida del Paese. Ma al tempo stesso è turbata per l’alleanza con Fidel Castro, l’ultimo grande dittatore comunista, per la sua apertura all’Iran, stato canaglia per eccellenza, per la sua avversione strutturale nei confronti degli Stati Uniti. “Insomma: da che parte sta, Hugo Chávez?” si chiede infine Gian Antonio Stella dalle pagine del Corriere. Proviamo a ripercorrere la visita di Chavez in Italia, una risposta, forse, potremmo riuscire ad ottenerla.

Chavez esordisce a Roma alla celebrazione dei 60 anni della Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Il suo non è un discorso di prammatica, tutt’altro, è un atto d’accusa senza mezzi termini: anche dal punto di vista alimentare, gli Usa sono “una minaccia per il mondo”, poiché “è impossibile raggiungere l’obiettivo dell’emancipazione dalla fame all’interno del modello economico che oggi domina il pianeta” e tale modello non è che l’espressione del “colonialismo globale” americano (da il Manifesto del 18 ottobre 2005).

La visita romana continua con la celebrazione nel parco del quartiere Montesacro, ai piedi della statua dedicata a Simon Bolìvar, in ricordo dello storico giuramento che il libertador pronunciava lì duecento anni prima. Nel discorso di commemorazione Chavez parla diffusamente di pace, ecologia, cultura. Ma soprattutto parla di Gesù Cristo, il “primo antimperialista” della storia, e dell’importanza rivoluzionaria ed umanista di un messaggio di luce capace di illuminare il mondo. Al punto che l’unica autorità italiana presente (nella veltroniana Roma), il presidente del Municipio Benvenuto Salducco, non può che definirlo, con buona pace del cardinal Castillo Lara, “un grande cattolico” (agenzia Ansa del 17 ottobre 2005).

Il giorno successivo si cambia scenario e Chavez giunge a Milano. È un tuffo negli incontri istituzionali e del capitalismo italiano, vede persone con cui, si presume, questo mezzo indio ed ex parà, rivoluzionario e populista, debba trovarsi a disagio. Ma è tutto il contrario. Alla Camera del Lavoro sono grandi sorrisi e strette di mano con il premier Silvio Berlusconi (un “grande amico”, così come lo sarebbe Romano Prodi, dirà Chavez), e con i massimi vertici dell’economia energetica italiana: gli amministratori delegati dell’Enel e dell’Eni. Riceve applausi a scena aperta a palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, di fronte alla business community, quando annuncia perentorio che se gli Stati Uniti si possono dimenticare il petrolio venezuelano, ce ne sarà sempre in abbondanza per i fratelli europei. Assiste con Massimo Moratti (il più grande petroliere italiano) al match di football tra l’Internazionale F. C. (di cui Moratti è proprietario) e la nazionale venezuelana. Ma di non solo petrolio si tratta, visto che il prossimo anno l’Inter giocherà una partita amichevole in Chiapas contro una nazionale dell’Esercito zapatista (il sub comandante Marcos ha promesso una schiacciante vittoria dei suoi – cosa tra l’altro non impossibile visto lo stato di forma dei nerazzurri…). Ma, sorpresa nella sorpresa, la giornata milanese termina con un bagno di folla no-global. Accolto dallo sventolio di bandiere di Cuba e del Che Guevara, dai cori festanti di bellaciao, davanti a qualche migliaio di giovani in delirio Chavez non si tira indietro e li entusiasma citando due padri storici della sinistra italiana: l’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi, ed il nazional-comunista Antonio Gramsci (da Il Manifesto del 18 ottobre 2005).

Il quadro che esce da questa visita in Italia parrebbe davvero confuso, quasi a fornire argomenti favorevoli alle tesi dell’editorialista del Corriere Gian Antonio Stella. Ma quello che i commentatori e gli scettici non capiscono, o che fingono di non capire, è la vera natura di Hugo Chavez. L’errore risiede nel giudicare il presidente venezuelano con le categorie proprie della politologia del 20° secolo, con i vecchi schemi di destra e sinistra, fascismo e comunismo, autoritarismo e democrazia. La forza dirompente di Chavez sta nella sua modernità che sfugge alle classiche didascalie. Ecco che nell’epoca matura della globalizzazione acquista forza e significato potersi rifare all’identità nazionale ed etnica, come resistenza verso l’omologazione ed il neo-colonialismo culturale; per questo Simon Bolivar rappresenta più che un simbolo, è sangue vitale che innerva oggi più che mai i concetti di libertà ed indipendenza. Allo stesso tempo, il liberismo economico ha svelato completamente la sua funzione di apri pista del potere plutocratico e finanziario, quindi rifarsi a quel modello vuol dire, specialmente per un paese in via di sviluppo, stringere ancora di più il cappio dello propria sottomissione. Ma la risposta non può certo essere quella del socialismo reale che ha fallito là dove è diventato sistema di governo, piuttosto un socialismo nuovo, una terza via, un socialismo comunitarista e solidale in cui la libertà di impresa non vada a discapito della collettività, magari nel segno dell’autogestione.

Ecco che i vari tasselli di cui si compone l’astrusa identità chavista prendono forma: identità bolivariana, progresso collettivista (e non necessariamente sviluppo, che spesso riguarda i pochi a discapito dei tanti), solidarietà e fraternità fra individui e popoli per recuperare il messaggio originario del cristianesimo. Qualcosa di completamente nuovo. O forse di antico.

Non ha dunque senso chiedersi “da che parte sta Hugo Chavez”. Sta semplicemente dalla sua parte e da quella del suo popolo, e di tutti quei popoli umiliati ed oppressi che non hanno voce. Ciò che, di questi tempi, è sufficiente per definirlo un rivoluzionario.

2 novembre 2005

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