Berlusconi e la libertà di espressione

Un amico italiano dalla Spagna ci segnala un articolo comparso sul quotidiano El Mundo del 25 maggio u.s.
Lo stesso, ci ha fornito una traduzione del pezzo facendo presente, tuttavia, di non essere un esperto conoscitore della lingua spagnola. Ci permettiamo, comunque, di riportare per intero la traduzione in italiano, scusandoci per gli eventuali errori di cui solo noi rispondiamo. Riteniamo giusto, infatti, correre il rischio di una traduzione non perfetta ma che possa fornire un giudizio della stampa internazionale sul rispetto della libertà d’espressione in Italia. E poter riflettere…. Facciamo presente, tuttavia, che su internet numerosi siti forniscono dettagliate informazioni su questo documentario. Alcuni di questi lo vendono in formato DVD.

“”Barcellona.
Ieri si è proiettato a Barcellona all’interno del International Public Television Conference – INPUT – il documento “Citizen Berlusconi”. Molto atteso.
Sarebbe stato solo uno degli appuntamenti del foro se non fosse che la censura italiana ha proibito la proiezione del film nel paese d’origine. Questo comincia a diventare abituale in Italia. La vera notizia è che il film era stato selezionato nell’ultimo festival di Cinedocumentari europei di Oslo e la direttrice, Vigdis Lian, decise di toglierlo dalla programmazione pur di mantenere buone relazioni con il Governo Berlusconi. Fu tale l’indignazione che sollevò nel paese nordico che la popolazione minacciò di boicottare il festival. Alla fine venne proiettato tre volte invece dell’unica volta prevista e il documentario prodotto da Stefano Tealdi è diventato un esempio della lotta per la libertà di espressione contro la censura. Tealdi era ieri a Barcellona per denunciare il fatto che “ il maggior problema dei giornalisti in Italia non è tanto la censura quanto l’autocensura”.Il cavaliere con tre reti televisive di sua proprietà e dominando le altre tre reti della RAI in questo momento controlla il 90% della audience italiana.
Continua Tealdi… “egli (il cavaliere) ha creato un nuovo pubblico televisivo ed elettorale che si confondono”. Il produttore italiano denuncia che la confusione è arrivata a tal punto che il Presidente “.. non prende le sue decisioni in Parlamento per poi ritrasmetterle, ma invece le annuncia prima in televisione.” Questa situazione è la ragione per cui il finanziamento della produzione di “Citizen Berlusconi” non è stata italiana. “sapevamo che se qualcuno avesse osato farlo avrebbe tentato di influenzare i contenuti “ e continua “.. molti colleghi giornalisti, produttori mi dissero – non lo fare perché ti può solo creare problemi –. E questa è la cosa più tragica. Il non fare.” Riflessione. Di Cristina Fallaras “”

I cittadini occidentali danno per scontata la presenza ed il rispetto del principio di libertà.
Fino al momento precedente la lettura di questo articolo, alla domanda “in cosa consista la censura in un paese democratico del 21° secolo”, avrei risposto, seppur superficialmente e d’istinto, che tale istituto può (e deve) operare nel campo della morale limitando o negando la diffusione di video e carta stampata per ciò che attiene tematiche inerenti sesso, erotismo, violenza, ecc..
A ciò avrei aggiunto tutti quei casi in cui immagini, testimonianze, ecc. risultino capziose e strumentali, oppure accuse e affermazioni, siano faziose, non corredate da prove certe e inoppugnabili e che vengano rivolte ad un individuo o soggetto collettivo comportando seri danni alla sua immagine e reputazione.

Non conosco le ragioni che hanno impedito sinora in Italia la diffusione del documentario su Berlusconi. Non so, quindi, se si possa parlare di censura o autocensura. Sta di fatto che il documentario non viene trasmesso dalle nostre emittenti televisive. Se ci trovassimo di fronte alla censura sarebbe un fatto grave di per sé. Ancora di più in relazione alla carica detenuta dal signor Berlusconi. Risulterebbe difficile in questo caso sostenere la legittimità dell’atto per tutelare la reputazione di Berlusconi, quando altri paesi (democratici e occidentali) hanno già provveduto alla trasmissione.

Ma la cosa più inquietante, semmai corrispondesse a verità, è quanto viene scritto nell’articolo citato, dove si riportano alcune frasi rilasciate nell’intervista dal produttore Tealdi: “il maggior problema dei giornalisti italiani non è la censura quanto l’autocensura.”
Quando un sistema non deve più ricorrere alla censura per controllare l’informazione, ma dispone di vincoli e forme di controllo così sottili, ramificate e invasive da assicurare lo stesso risultato, significa che la libertà intesa come diritto e come dovere civico ed interiore è avvizzita.

Ma questo “mal sottile” ristagna sia nelle pieghe del potere dove istituzioni e organi deputati mancano ai loro doveri deontologici, sia nella morale dell’individuo.
Qualora il giornalista o altro esponente della cultura, sentisse il “dovere” di emendarsi, secondo i desiderata del potente di turno, per ragioni di opportunità, – economica, di carriera e altro ancora -, significherebbe che il tessuto intellettuale della nazione è decaduto al rango di “scriba”, cioè di semplice esecutore nel riportare e trasmettere la altrui volontà.

Senza più analisi critica, senza più il desiderio di ricercare la verità. Ciò equivarrebbe alla morte della coscienza di un Popolo, ma anche alla fine di questo Popolo.

Per la verità preoccupazioni simili sono diffuse in tutto il pianeta.
Basti pensare alla “disponibilità” di gran parte dei mass media anglosassoni di accettare per buone le più ridicole bugie espresse dall’Amministrazione americana a proposito delle “armi di distruzione di massa” in Iraq o numerosi altri interventi sulla questione del terrorismo, ecc. che hanno evidenziato un atteggiamento “morbido” e “collaborativo” con i rispettivi governi.
Questo crescente distacco dalle finalità di una libera informazione sta divenendo usuale e, in qualche modo, generalmente accettato. Credo che la crisi di obiettività e indipendenza che sta colpendo, anche se in misura diversa, le società dei paesi democratici abbia delle radici comuni che si chiamano liberismo e globalizzazione. In nome del mercato si è acconsentito alla creazione di imperi mediatici di dimensioni colossali che dispongono di quote rilevanti nei singoli paesi e contemporaneamente sono presenti su molteplici mercati. Ciò, evidentemente, consente un controllo dell’informazione assolutamente impensabile fino a qualche anno fa. I vari Murdoch, Berlusconi (in questo caso in veste imprenditoriale) sono i rappresentanti di interessi e “filosofie” in grado di inficiare seriamente l’obiettività dell’individuo e, di conseguenza, la sua libertà di pensiero.

E’ tempo di uscire dalle secche di un’epoca arida e senza ideali.
Se il singolo ha il dovere di continuare a mantenere e ricercare una propria indipendenza intellettuale boicottando le grandi catene mediatiche, a livello collettivo si deve avere il coraggio e l’intraprendenza di porre alcuni settori dell’agire umano al riparo del verbo liberista. Il settore mediatico a cui potrebbero aggiungersene altri, quali il farmaceutico, l’istruzione, la salute, la ricerca dovrebbero essere protetti dai criteri meramente economicisti ed aperti ad una visione della vita e della società maggiormente orientata ai reali bisogni di una comunità sempre più vasta e complessa dove la solidarietà, il senso di giustizia ed il rispetto per l’uomo siano valori condivisi ed universalmente accettati.

Fano, 10 luglio 2004

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