La Fine dello Scontro di Civiltà

La Commissione d’inchiesta indipendente sull’11 settembre ha finalmente divulgato il suo corposo rapporto. Oltre che sugli attacchi terroristici subiti, la Commissione ha indagato a tutto campo sugli ultimi avvenimenti della politica internazionale, giungendo a poche e generiche conclusioni: che le armi di distruzione di massa che hanno giustificato l’invasione dell’Iraq effettivamente non c’erano; che i gravissimi errori dei servizi di sicurezza che non prevenirono l’11 settembre non furono di natura politica, scagionando le amministrazioni Clinton e Bush; auspicando un riordino dei suddetti servizi perché il loro scoordinato proliferare ha aumentato la possibilità di confusione ed errore; rammaricandosi per il fatto che in ben dieci occasioni, con “un pizzico di fortuna”, gli attentati avrebbero potuto essere sventati; ha negato che vi fossero legami concreti tra il regime di Saddam ed Al Qaeda; ha piuttosto rivelato un legame tra alcuni dirottatori delle Torri gemelle e l’Iran, che li avrebbe aiutati e facilitati negli spostamenti.

Insomma, l’11 settembre non è mai avvenuto. O meglio, è avvenuto, ma nessuno ne ha specificamente colpa, dunque nessuno è responsabile. È colpa dei burocrati di Washington, ovvio, ma guai a indicare responsabilità con nomi e cognomi. Rimane completamente in piedi la sola teoria dell’attacco terroristico pianificato, organizzato e portato a termine dai diabolici terroristi islamici di bin Laden. È vero, l’attacco all’Iraq appare oggi del tutto ingiustificato, ma tant’è! Ormai le uova sono rotte e dunque tanto vale cucinare la frittata… e del resto Saddam era brutto, sporco e cattivo, per cui alla fine si è fatto ciò che si doveva fare.

Il rapporto, in definitiva, ci lascia così come ci aveva trovato: stessi dubbi, stesse certezze. Solo in un caso offre un nuovo, fecondo elemento, per la politica estera americana e per l’amministrazione che uscirà vittoriosa dalle elezioni del prossimo novembre: l’Iran è il nuovo nemico. Già molti elementi erano al loro posto: il regime degli ayatollah è antidemocratico e opprime i diritti civili del suo popolo (ma perché il movimento riformista del presidente Khatami non è mai stato sostenuto dagli stessi americani?); l’Iran è sotto accusa perché starebbe tentando di avere la bomba atomica (ammesso che sia vero, perché mai un paese sotto costante minaccia non dovrebbe pensare di ottenere armamenti che fungano da deterrente contro eventuali attacchi?); ora è venuto fuori che l’Iran avrebbe aiutato gli attentatori dell’11 settembre (e, ammesso che sia vero, non esistono forse prove documentate, del tutto analoghe, di aiuti da parte di stati come l’Arabia Saudita e il Pakistan?); tra breve aumenteranno le voci che vorranno collegare l’instabilità e il terrorismo in Iraq con l’attività dei servizi segreti iraniani (mentre tutti sanno che le maggiori sacche di resistenza avvengono da parte sunnita, da sempre nemici storici – la guerra Iran-Iraq dovrebbe insegnare, degli sciiti iraniani. E tra gli stessi sciiti iracheni e iraniani non corre buon sangue, storicamente, per motivi di egemonia); già ora si dice che l’Iran sostiene i gruppi terroristici Hezbollah in Libano, minaccia grave per la vita di Israele (mentre Israele, con la sua politica di espansione e le sue bombe atomiche, stavolta vere, non rappresenta alcuna minaccia per i popoli confinanti).
Insomma, il collegamento tra Iran e 11 settembre, effettuato dalla Commissione di inchiesta, ci suona come una sorta di “via libera” per una campagna diplomatica e mediatica che investirà da qui per i prossimi mesi la nazione persiana, fino ad una soluzione che porterà al completamento della strategia imperiale americana per il Medio Oriente e l’Asia centrale.

Nel 1996, lo studioso americano Samuel Huntington pubblicava un saggio dal titolo The Clash of Civilization and the Remaking of World Order (pubblicato in Italia da Garzanti, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale). Il volume ebbe molto successo e risonanza mondiale, e quel titolo divenne quasi una profezia: moltissimi lo hanno utilizzato per dipingere la situazione mondiale dopo il 2001, anche oltre le analisi e le tesi dell’autore stesso. Huntington infatti delineava uno scenario problematico, in cui, dalla fine della guerra fredda, i nuovi destini del pianeta si sarebbero giocati sul confronto tra le diverse civiltà, e non più tra nazioni o blocchi socio-economici. In questo senso l’autore prevedeva l’ascesa di due civiltà, quella islamica e quella Sinica (cinese), che avrebbero fronteggiato quella occidentale, guidata dagli Stati Uniti. E se gli Stati Uniti, come paese leader dell’occidente, avesse cercato di resistere ed ostacolare tale ascesa (soprattutto nei confronti della Cina) piuttosto che accettare un nuovo contesto multilaterale, avrebbe potuto provocare uno scontro epocale di civiltà, una guerra mondiale. Nella pubblicistica mondiale odierna, quando si parla di “scontro di civiltà”, si mette invece l’accento sull’aggressività e sulla presunta nuova guerra santa della civiltà islamica contro l’occidente. Di tale situazione, l’11 settembre sarebbe la sintomatica e drammatica conseguenza. Affrontare la questione in questi termini significa semplicemente ribaltare la realtà. Non è difficile dimostrare che il cosiddetto occidente ha intrapreso, non da ora, una guerra di aggressione e di civiltà contro altre zone del pianeta. Solo a voler rimanere nell’ambito islamico in oggetto, come si possono dimenticare le guerre coloniali britanniche e le ingerenze e il dominio americano in Medio Oriente dalla fine della seconda guerra mondiale? Piuttosto, i sussulti islamici della nostra epoca, se fossero genuini, dovrebbero essere considerati come gli ultimi spasmi di una civiltà strangolata, e non come i vagiti di una civiltà che sta rinascendo.
In realtà, le tesi di Huntington possiedono un grado di analisi (e anche di fascinazione) ben superiore alle semplificazioni sopra delineate ad opera di populistici imbonitori per il consumo di sprovveduti telespettatori. Ma anche Huntigton commette, a nostro avviso, due gravi errori di impostazione e ribaltamento della realtà.
Prima di tutto considera di trovarsi, mentre scriveva il suo libro, a metà degli anni ’90, sull’orlo dell’inizio di uno scontro di civiltà. Non ha visto che, al contrario, ci si trovava già alla fine di tale scontro. La civiltà egemone, quella anglosassone, nord-atlantica, americana (come si preferisce), stava per compiere il balzo finale per il dominio assoluto. Creando e utilizzando magistralmente lo strumento di una guerra difensiva contro la civiltà islamica, qualche anno dopo, quel balzo veniva effettuato (eravamo nel 2001), tra non molto assisteremo all’atterraggio. Quando l’Iran verrà normalizzato e messo definitivamente sotto controllo, gli Stati Uniti possiederanno tutte le carte del mazzo: il controllo completo delle risorse energetiche, il controllo di tutte le risorse finanziarie, il controllo delle risorse biotecnologiche (e quindi agroalimentari e mediche). Nessun popolo, nessuna civiltà, potrà mai più svilupparsi senza accettare le regole, i limiti, i ritmi imposti dalla civiltà imperiale. Quella cinese, colta proprio nel momento di massimo sforzo (e massima debolezza) potrebbe afflosciarsi su se stessa, semplicemente, stroncata dalle interne contraddizioni incapaci di trovare una valvola di sfogo esterna, senza bisogno di ulteriori confronti.

Secondariamente Huntington considera l’occidente un blocco comune, guidato dagli Stati Uniti, ma fondamentalmente omogeneo e unitario. Non considera minimamente la possibilità che invece l’Europa continentale possa essere una civiltà altra rispetto a quella anglosassone atlantica, così come magistralmente esposto da Gaetano Colonna nel suo La Resurrezione della Patria (si veda nella sezione “Saggi della montagna” su questo sito). E così, questa manovra imperiale finale, può vedersi tanto proiettata verso la Cina, quanto rivolta verso l’Europa, in modo da stroncare definitivamente ogni velleità di suo sviluppo autonomo ed indipendente. Anzi, forse è proprio questo l’obiettivo finale, visto che a leggere tra le righe la storia della globalizzazione, essa può essere vista come il costante tentativo (tra l’altro riuscito) di tenere divisa e internamente contrapposta l’Europa continentale. Le élite europee (di destra e sinistra), già ampiamente americanizzate, non potrebbero trovare nessuna linfa (culturale, economica, politica, militare) per opporsi al nuovo ordine mondiale. Gli unici pensieri critici potrebbero rimanere quello progressista e quello identitario, ormai spettri di se stessi, ampiamente minoritari, facilmente liquidabili e ancora strumentalmente indirizzabili l’uno contro l’altro, mentre potrebbero essere una risorsa per tutta l’umanità se solo fossero capaci di coesistere e nutrirsi uno dell’altro.

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