AVVENTURIERI E AVVENTURISTI

L’Italia apparì grande, nelle epoche più buie della sua storia politica, oltre che per i suoi artisti ed i suoi inventori, per i suoi mercenari, per i capitani di ventura, come si chiamarono allora, che segnarono per esempio il Quattro-Cinquecento italiano: da Giovanni delle Bande Nere al Colleoni, al Gattamelata, a Federico da Montefeltro.
Venivano, è vero, pagati, ma in compenso a loro volta pagarono spesso di persona, e questo, come ha bene mostrato Il mestiere delle armi di Olmi, è sempre qualcosa che ha un proprio autonomo valore morale.
La morte di Fabrizio Quattrocchi, con l’ira e il coraggio insieme con cui è stata affrontata, ci ridà tutta questa fondamentale dignità etica e insieme rappresenta il segno di quanto il nostro Paese abbia perduto e disperso di un valore fondante, quello della Patria, faticosamente conquistato durante un secolo di guerre e diverse centinaia di migliaia di vite umane, ad esso volontariamente sacrificate.
Non servirà vedere le immagini di quella uccisione, vile come tutte le uccisioni di persone non in grado di difendersi e insieme epilogo prevedibile da chi abbia scelto per sé il mestiere delle armi: l’immagine che ognuno di noi se ne può fare, è un’immagine di orgoglio e di rabbia che riepiloga in sé la tragicità estrema del momento in cui l’Italia, come Patria, si trova.
Il fatto che un senso elementare di “italianità” sia espresso così disperatamente da un singolo uomo, pronto a combattere e a rischiare la vita per denaro straniero, per società “di sicurezza” che sono emanazioni, come ha più volte mostrato la stampa di questi giorni, di compagnie multinazionali che fanno voracemente e spietatamente affari e politica in Iraq, indica il ritorno del nostro Paese ad una condizione di totale incapacità a definire e realizzare una propria Missione, in senso mazziniano, in grado di motivarne e illuminarne l’azione agli occhi dei concittadini e dei popoli.
È il ritorno ad una condizione, diciamola tutta, pre-unitaria, in cui l’eroismo patrio fu per esempio affidato al valore, ben documentato, delle legioni di italiani che, animati da sogni insieme giacobini e imperiali, seguirono Napoleone in Russia.
La tradizione del mercenariato italiano è stata anche quella dei grandi condottieri, degli Eugenio di Savoia, dei Montecuccoli, degli Andrea Doria, che, insieme ai nomi che abbiamo già rammentato, furono almeno maestri dell’arte in cui eccellevano, l’arte della guerra: mentre i mercenari italiani oggi sono in ostaggio non solo della banda che li tiene prigionieri ma, in quanto “carne da cannone”, anche dei signori delle multinazionali.
Le notizie e le cronache ci confermeranno nei prossimi giorni e mesi, come già appare evidente, che questi avventurieri sono infatti entrati nella trappola di un “grande gioco” che nessuno di loro, nelle loro piccole o grandi storie di vita, poteva certamente dominare. Sarà interessante capire quanto la loro morte sia servita ai loro uccisori o ai più sottili manovratori della politica mediorientale, giacché è oramai evidente che la realtà di questa guerra è, dietro le grandi invocazioni al nome di Dio (cristiano e islamico), quella di una guerra sucia (1) non diversa da quelle che si sono combattute ovunque il potere anglosassone abbia deciso di intervenire (dal Vietnam, all’Irlanda, al Sudamerica, al Corno d’Africa) a difesa dei propri vitali interessi.
Di fronte a questi italiani avventurieri sta la nostra classe dirigente di avventuristi, ai componenti della quale invocare la Patria serve come strumento di conquista e di conservazione del potere, ignorando, per le proprie ambizioni, i compiti che la Missione dell’Italia invece imporrebbe.
Se agli avventurieri avviene sovente di pagare di persona, e con questo di dimostrare una propria essenziale moralità, degna del rispetto di tutti, agli avventuristi avviene sempre di far pagare ad altri il prezzo delle proprie ambizioni, senza poter però pretendere poi il rispetto di nessuno.

(1) ovvero “guerra sporca” in spagnolo. Così venivano chiamati questi tipi di conflitto in America Latina all’epoca dei desaparecidos.

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