Vademecum per il risparmiatore

Da decenni si piange sulle periodiche tosature che i piccoli e medi risparmiatori subiscono per effetto di crolli azionari, default internazionali, fallimenti o insolvenze di gruppi aziendali, crack relativi a intermediari di risparmio.
Ritornano alla memoria nomi tristemente famosi: Sgarlata, Euromobiliare, Sindona e il Banco Ambrosiano, l’insolvenza della Russia nel 1998, quello dell’Argentina del 2001, dulcis in fundo Cirio e Parmalat.
Centinaia di migliaia di investitori hanno constatato sulla loro pelle cosa significhi la cosiddetta economia di carta, quando cioè l’economia reale (produttrice di beni e servizi) viene fagocitata dalla finanza trasformatasi da elemento funzionale in sovrastruttura.
Ricchezza scritturale che si moltiplica o che viene erosa fino al suo annullamento in tempi brevissimi: mesi, settimane, in taluni casi giorni.
I detentori dei bonds Cirio, fino al momento in cui non si evidenziarono i trucchi contabili del suo patron Cragnotti, erano convinti di possedere ricchezza, potere di acquisto. Hanno invece constatato di essere possessori di titoli, oggi neanche più espressi su carta ma esistenti in forma virtuale negli archivi della Montetitoli Spa, privati di gran parte del loro valore.
Spazzatura, insomma.
In questi frangenti le polemiche divampano. Si cercano capri espiatori. Si propongono nuove leggi. Si assicura che questo sarà l’ultimo caso. C’est déjà vu.

Al di là delle diatribe, con il presente intervento ci si propone di fornire consigli pratici e mi auguro utili ai piccoli e medi risparmiatori oggi più che mai spaventati a porre i loro risparmi in luoghi e mani non serie.
Prima di addentrarmi nell’argomento vorrei chiarire che cosa si intende per piccoli e medi risparmiatori. E’ uso comune tra i vari operatori finanziari (Banche, SGR, SIM) definire grande l’investitore che dispone di un patrimonio finanziario (titoli e danaro depositato in conto corrente) superiore a 500.000,00 euro.
Per tali clienti gli intermediari finanziari hanno creato ( o sono in corso d’opera) apposite strutture che dispongono, normalmente, di elevate professionalità per gestire questo segmento di clientela. Per questa ragione ometterò di occuparmene nella presente trattazione.

E’ ritenuto, invece, piccolo risparmiatore, quello che dispone di una ricchezza finanziaria complessivamente pari o inferiore ai 100/150.000 euro. Di conseguenza sono medi risparmiatori coloro i quali posseggono patrimoni compresi tra i 150.000 e 500.000 euro.

Prima di addentrarmi nelle scelte circa la composizione del portafoglio relativa a queste due categorie enuncerò alcuni principi di base che ritengo appropriati per un sana e prudenziale gestione.

In primo luogo la Finalità dell’investimento.

Quest’ultimo verrà destinato alla conservazione del proprio valore nel tempo ed all’ottenimento di una redditività che consenta almeno di recuperare la perdita di potere di acquisto dovuta alla inflazione monetaria. L’investimento in titoli sarà quindi orientato, di massima, alla conservazione degli stessi fino al loro naturale rimborso se obbligazioni, al possesso per lunghi periodi se si tratta di titoli azionari o similari.
Tale strategia viene definita da “cassettista”.

Il secondo punto è centrato sul comportamento del risparmiatore.
Costui, non essendo uno specialista, deve attivarsi per ottenere una consulenza effettiva ed una trasparente informazione e deve sforzarsi per divenire soggetto attivo nelle scelte e valutazioni. Data la crescente complessità del sistema finanziario, quest’ultimo punto potrebbe venire interpretato come un buon proponimento ma scarsamente realista.
E’ mia intenzione dimostrare che ciò è possibile da parte di chiunque si impegni coerentemente in questo esercizio.

Terzo. Il risparmiatore deve operare con serenità e buonsenso nelle decisioni finanziarie. Nel corso dell’ultimo decennio, molti risparmiatori affascinati dai bagliori dei guadagni facili e fuorviati dall’ottimismo a tutti i costi dispensato da analisti e istituzioni finanziarie, hanno assunto atteggiamenti sempre più orientati alla speculazione che rasentava in taluni casi la scommessa pura e semplice.
Questo atteggiamento mentale era ed è esiziale perché mette a repentaglio ricchezze realizzate in anni di sacrifici e fa si che il risparmiatore si trasformi in giocatore, una veste eticamente ed economicamente inadeguata al suo profilo.

Quarto. La crescente intermediazione del risparmio effettuata dagli operatori finanziari (Banche, SIM, SGR) e realizzata attraverso strumenti quali fondi comuni di investimento, gestioni patrimoniali mobiliari, gestioni patrimoniali in fondi, polizze vita sta divenendo una rendita di posizione di costoro, perdendo di conseguenza la sua funzione originaria volta ad assicurare una diversificazione degli investimenti ed una gestione maggiormente professionale degli stessi. Grazie alle laute commissioni percepite dagli operatori, il sistema finanziario preme affinché l’intero risparmio, o gran parte di esso, diventi “gestito” in modo da poter massimizzare la redditività su tali assets.
Il ritorno ad una gestione diretta degli investimenti per taluni casi rappresenta un beneficio per il risparmiatore (gravato da minori costi) ed una più corretta ed equilibrata remunerazione degli intermediari finanziari.

Dopo tali premesse concentreremo l’attenzione sulle decisioni inerenti la composizione tipo di un portafoglio finanziario (piccolo e medio). Prescindendo dall’entità della somma, il portafoglio viene idealmente suddiviso in tre ambiti o settori caratterizzati da una progressiva redditività (1) a cui corrisponde una liquidità (2) via via decrescente. Il primo dei tre viene definito monetario, il secondo reddituale, il terzo consolidato.

Ora passiamo alle decisioni relative alla composizione di un piccolo portafoglio. Il tutto rigorosamente espresso in valuta dell’Unione Europea (euro) onde evitare il rischio di cambio o valutario ed in titoli emessi dai paesi dell’area OCSE al fine di contenere il più possibile il cosiddetto rischio Paese.
Circa un 25% verrà destinato al settore monetario da intendersi titoli a tasso fisso con vita residua inferiore a 18 mesi (per es. BTP, BOT,CTZ, BOND) o titoli a tasso variabile pure con vita residua maggiore a 18 mesi ma con bassa variabilità (3) del corso (per es. CCT, BOND a tasso variabile).
La quota predominante – 65% – sarà concentrata nell’area reddituale. In tal caso si opterà per titoli – che dispongono di cedola semestrale o annuale – pubblici, sovranazionali, bond bancari e corporate con vita residua inferiore ai 10 anni.
Una quota residuale – 10% – sarà investita nel settore consolidato che presenta livelli di rischio maggiori ai quali sono da associare, tuttavia, previsione di rendimenti più elevati.
Ai titoli a tasso fisso con cedola, si aggiungeranno anche gli zero coupon bond. Tutti con vita residua maggiore a 10 anni. A questi, in alternativa o in aggiunta, potranno essere considerati anche titoli azionari visti secondo i dettami dell’investimento da “cassettista”. In tal caso si privilegeranno titoli con ingente capitalizzazione di Borsa, elevato flottante, adeguato rapporto price/earning, appartenenti a settori maturi (alimentare, meccanico, energetico, bancario, assicurativo) o in espansione ( telecomunicazioni, media) privilegiando società che operano da lungo tempo nel settore. Da evitare settori emergenti e nuovo mercato. Un occhio di riguardo si avrà per quei titoli emessi da società con partecipazioni dello Stato o di altri Enti Pubblici. Alternativo all’investimento azionario diretto è quello in fondi di investimento azionari o bilanciati.

Nel caso di un portafoglio medio (150.000/500.000 euro) i principi guida rimangono identici. Anche le finalità, concentrate sulla conservazione del capitale. Tuttavia la maggiore disponibilità di capitale permetterà di focalizzare l’attenzione sulla redditività accettando un aumento equilibrato e ragionato del rischio di taluni assets del portafoglio complessivo.
Si destinerà, pertanto, ca. il 15% ca. ad investimenti liquidi (settore monetario). L’area reddituale assorbirà il 65/70% del patrimonio.
Infine l’investimento in capitale di rischio (settore consolidato) verrà ampliato (rispetto al precedente portafoglio) a ca. il 20% del patrimonio complessivo.

Qualunque sia l’ammontare complessivo del portafoglio è importante ribadire l’importanza di una diversificazione dei titoli che compongono il portafoglio. Ognuno di essi, di norma, non dovrebbe pesare per più del 10% dell’intero patrimonio. Tale percentuale può essere ampliata per titoli di alto e altissimo rating (da AA per S. & P.; da Aa3 per Moody’s) soprattutto se facenti parte del comparto monetario; mentre può essere saggio una sua riduzione qualora si voglia investire in titoli con rating di medio livello ( BBB o Ba1 rispettivamente per S. & P. o per Moody’s).

Le scelte di investimento perseguite, malgrado i principi guida enunciati abbiano già toccato tali argomenti, richiedono qualche ulteriore chiarimento.
La scarsa propensione evidenziata per il cosiddetto risparmio gestito non è da intendersi in senso dogmatico. Voglio sottolineare però che il ricorso ai fondi comuni di investimento monetari e/o obbligazionari comporta per il risparmiatore un aumento dei costi (eventuali commissioni di entrata e/o uscita, commissioni di gestione) che riducono sensibilmente il già magro reddito percepito, soprattutto in relazione ad una congiuntura (sarebbe più appropriato parlare di periodo) quale quella attuale caratterizzata da bassi o bassissimi tassi di interesse. Con il possesso di titoli il risparmiatore disporrà di un flusso cedolare periodico (semestrale/annuale) complementare. Infine in una ottica di cassettista il titolo, giungendo alla sua naturale scadenza, verrà rimborsato alla pari (100, normalmente), e ciò vanificherà il cosiddetto rischio di mercato. Rischio che colpisce, invece, tutti i fondi comuni a causa della loro stessa struttura. Argomentazioni analoghe possono essere espresse per le gestioni patrimoniali mobiliari di qualsiasi natura.

Una nota a parte viene espressa per le cosiddette polizze vita a premio unico o ricorrente. Prodotti ibridi che coniugano la copertura (peraltro in misura assai limitata) del caso morte con un investimento finanziario legato prevalentemente ad uno o più fondi (comuni di investimento) appositamente costituiti o ad indici (azionari, o di un gruppo di azioni) o ad obbligazioni. In ogni caso tale investimento, in genere, risulta sconsigliabile per le seguenti ragioni. In primo luogo gli elevati costi di entrata (che possono raggiungere anche il 4/5% del capitale investito), le elevate commissioni di gestione, così come le pesanti penali applicate in caso di liquidazione anticipata.
Altro elemento negativo: la scarsa liquidità dell’investimento. Infatti, normalmente, tali polizze prevedono un periodo di vincolo (anche di alcuni anni) durante il quale la polizza non può venire riscattata. Successivamente, qualora il risparmiatore decidesse di liquidare anticipatamente la polizza (la durata delle stesse varia da 5 anni a periodi molto più estesi) verrebbe (come sopra esposto) sottoposto a pesanti penali che inciderebbero sensibilmente sulla redditività complessiva dell’investimento.

In questa esposizione ho omesso qualsiasi tipologia di investimento cosiddetto speculativo: futures, options, covered warrant, ecc.. Tali prodotti, sono strumenti finanziari “derivati” che, spesso, tradendo le finalità per le quali gran parte di essi sono stati ideati e realizzati vengono utilizzati per “scommettere” sull’andamento di una valuta, o di un indice azionario, o sull’andamento dei tassi di interesse o altro ancora.
Al di là di eminenti, quanto evidenti, motivi di carattere etico, scommettere somme di danaro che provengono da risparmi accumulati con lavoro e sacrifici è non coerente ai principi del “buon padre di famiglia” e più in generale ad una sana percezione della funzione del risparmio e dell’investimento.

Eventuali proposte da parte di operatori finanziari su tali prodotti, che favoleggiano risultati sicuri e guadagni mirabolanti, dovrebbero venire liquidate senza alcuna esitazione. Non solo, tali persone, evidentemente, risultano incompatibili per la gestione ponderata dei risparmi e quindi sono da sostituire con altre più serie ed equilibrate.

Un’attenzione particolare verrà destinata alle obbligazioni (4) in particolare quelle emesse da soggetti privati quali aziende (corporate) o banche.
Per quanto concerne i criteri di scelta dei bonds è importante optare per titoli che presentino una struttura semplice. Con tale termine si individuano titoli che esprimono un tasso fisso per l’intera sua durata il cui interesse verrà corrisposto semestralmente o annualmente e, nel caso di obbligazioni a tasso variabile, che esprimano un chiaro e costante rapporto con indici molto diffusi quali ad esempio Euribor, Irs, pubblicati sui più importanti quotidiani finanziari e non.

Altro elemento di assoluta importanza è l’affidabilità dell’emittente (debitore). Questa viene misurata attraverso un giudizio sintetico, il rating (indicato con una lettera dell’alfabeto), espresso da soggetti che svolgono professionalmente attività di analisi.
Le società più note in questo settore sono Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch Ratings. I giudizi delle prime due vengono pubblicati da tutti i quotidiani nonché dalle riviste specializzate in materia. Per contare su una buona qualità del titolo, cioè sulla elevata probabilità che il prestito venga correttamente rimborsato, vengono consigliati rating almeno pari ad A- (Standard & Poor’s) che esprime sul conto dell’emittente “adeguate capacità di far fronte al proprio impegno”.

Si sconsigliano, in linea di massima, le obbligazioni strutturate. Ciò in considerazione del fatto che le stesse sono strumenti complessi per le quali sovente il risparmiatore inesperto non comprende appieno il loro funzionamento. Il loro rendimento non è calcolabile a priori (come una normale obbligazione) ma risulta dipendente dal verificarsi di talune condizioni (scenari di mercato). Anche la durata, talvolta, non è certa in quanto l’emittente può riservarsi la facoltà di rimborsare anticipatamente il titolo. Risulta pertanto palese il maggiore grado di rischio rispetto ad una normale obbligazione.
Una certa attenzione deve essere posta anche per le obbligazioni subordinate emesse principalmente da aziende bancarie. In caso di insolvenza dell’emittente, le stesse verranno rimborsate solo dopo aver soddisfatto tutte le altre obbligazioni.

Sulle obbligazioni è importante segnalare una iniziativa denominata “Patti Chiari”, un progetto realizzato dalle più grandi banche italiane che si ripromette (finalmente!!) di fornire una corretta informativa su tali investimenti ed in particolare la realizzazione, e la sua gestione nel tempo, di un elenco di obbligazioni a basso rischio e a basso rendimento che possa dare una elevata sicurezza agli investimenti finanziari dei risparmiatori.

Questa breve esposizione non è certo in grado di risolvere le innumerevoli problematiche che ogni risparmiatore deve affrontare per gestire il suo patrimonio finanziario.
Tuttavia desidererei che alcuni punti siano stati assimilati con chiarezza.

Primo: ridurre il grado di delega concesso all’intermediario finanziario qualunque esso sia: Banca, società di gestione del risparmio, ecc.. Ciò significa riappropriarsi della possibilità di decidere direttamente, sia procedendo con investimenti diretti a scapito di quelli che prevedono un esplicito mandato (fondi, gestioni patrimoniali, ecc.), sia esigendo dall’operatore finanziario una chiara informazione ed esaustive spiegazioni per le scelte finanziarie che si intendono prendere.

Secondo: puntare sulla semplicità degli investimenti. Spesso il ricorso a strumenti finanziari complessi aumenta considerevolmente i rischi per l’investitore senza che ve ne sia (da parte sua) una chiara consapevolezza, tra l’altro facendo sostenere costi elevati (commissioni, spese e quant’altro) e concedendo all’operatore comodi alibi qualora le cose non vadano lungo il corso previsto.

Terzo: la regola aurea in questa materia è che non esistono investimenti assolutamente sicuri, così come un investimento con rendimenti più elevati comporterà rischi corrispondentemente maggiori. Attenzione quindi alle offerte di investimenti particolarmente remunerative!

Durante l’ultimo decennio siamo stati abbagliati dalle deregolamentazioni finanziarie e valutarie che hanno innescato una colossale corsa speculativa. Così abbiamo creduto che la ricchezza potesse essere creata dall’economia di carta. Ma la finanza e le valute sono e devono essere strumenti dell’economia fondata sul lavoro, l’investimento produttivo, il risparmio, la capacità d’impresa. Tutto il resto è solo trasferimento di ricchezza da alcuni soggetti ad altri. Ed in genere, finora, ciò ha comportato pesanti perdite per milioni di risparmiatori di tutto il mondo e colossali fortune per pochi “eletti”. Dobbiamo rompere questa spirale in nome del nostro interesse ma anche per la piacevole consapevolezza di non essere più soggetti passivi sui quali vengono dirottati rischi (e di conseguenza probabili perdite) ma che vengono estromessi ogni qual volta si debbono dividere dei proventi.

(1) remunerazione del capitale investito.

(2) la facilità di trasformare titoli e altro risparmio gestito in danaro liquido.

(3) è determinata dalle oscillazioni di prezzo di un titolo rilevate in ogni giornata di mercato borsistico. Tanto più il titolo è affidabile tanto più basse saranno le oscillazioni e quindi la sua variabilità.

(4) titoli emessi da soggetti pubblici (Enti sovranazionali, Stato, altri Enti Pubblici) o privati (aziende, banche) attraverso i quali vengono raccolti capitali che dovranno essere rimborsati ad una certa scadenza. Su tali capitali l’emittente provvederà al pagamento di interessi periodici chiamati cedole.

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