Fini in Israele: Un passo avanti e tre indietro

Il viaggio e le dichiarazioni di Fini hanno, a voler essere attenti, un valore altamente positivo, che tuttavia non è affatto quello che gli viene attribuito dalla grande stampa: testimoniano in maniera indiscutibile e definitiva del fatto che il neofascismo, come fenomeno storico, non è mai esistito; e che il fascismo, come fenomeno storico, ha avuto fine nel “maggio radioso” del ’45.

La loro utilità è stata di agitare lo spauracchio fascista in un contesto politico ove esso era in realtà oramai del tutto irripetibile; ed intanto, all’ombra di questo spauracchio, prestarsi ad operazioni politiche “di servizio” rispetto alle esigenze di classi politiche occidentali completamente succubi della grande orchestrazione strategica anglosassone: se negli anni Sessanta si trattava di fornire manovalanza all’attivazione della “strategia della tensione” in Italia, si tratta ora di contribuire a legittimare, dall’alto della presidenza italiana dell’Unione europea, il nuovo ordine israeliano in Palestina.

Storicamente, si potrebbe forse discutere sulle date: certo è che, dal voto favorevole del Msi all’adesione italiana alla Nato nel ’49, non si può più parlare di fascismo in Europa e quindi, tanto meno, di neofascismo. Questo ha comportato il fenomeno, dai risvolti spesso tragici per chi lo ha vissuto sulla propria pelle nel secondo dopoguerra, di un fascismo introvabile, con la conseguente strumentalizzazione di persone e idee in funzione di obiettivi ben diversi da quelli sbandierati sulla pubblicistica e nella movimentistica “neofascista”.

A questa sottile operazione di deception (per usare la terminologia dell’intelligence americana da cui è stata dimostratamente sviluppata), è giusto dirlo, si è prestato, con a volte singolare stupidità, l’intero mondo della sinistra italiana, europea e mondiale, credendo di trovare nel prolungamento rituale e infinito dell’antifascismo bellico un collante con cui aggiustare i pezzi di un puzzle politico che del resto mai è riuscita a completare. Gravissima dunque la responsabilità del nostalgismo della sinistra, che, non avendo avuto il coraggio di svelare, pur disponendo spesso di tutte le informazioni necessarie, il sottile gioco avversario, ne è risultata poi facilmente travolta.

Fini, dicendo quello che ha detto in Palestina, in questo senso ha fatto fare un bel passo avanti, per chi voglia farlo, alla chiarificazione di quel che davvero è stata la storia recente.

Grande tuttavia il passo indietro che Fini ha però contemporaneamente compiuto, rispetto alla verità storica. Proprio quando storici di non bieco e non rituale antifascismo, come Pansa e Galli Della Loggia (si veda il contributo n. 1), cominciano a rivendicare dignità e ragione storica ad un fenomeno come quello della Repubblica Sociale Italiana, Fini ha voluto coprire questo fenomeno, anch’esso tanto vario, complesso, drammatico, sotto la facile categoria moralistica del “male assoluto”.

Un passo indietro nella verità storica di cui l’Italia non sentiva certo il bisogno: se davvero infatti di qualcosa il nostro Paese necessita da oltre mezzo secolo, per riacquistare quella stabilità di coscienza e quella serenità di visione senza le quali un Paese è moralmente spezzato, è al contrario proprio il coraggio di dare a ciascuno il suo, di seppellire onorevolmente i caduti e di comprenderne le ragioni, rispettando tutte quelle scelte che, nel bene e nel male, sono state pagate con la pelle.

Tanto più forte e seria è questa esigenza nel momento in cui fra l’altro ci si rende oramai chiaramente conto da più parti di quanto sia stata costantemente apparente e retorica la “liberazione” recata nel mondo dalle baionette angloamericane: elemento questo che comincia a spingere molti ad analizzare con più attenzione ed oggettività le ragioni dei vinti.

Un passo indietro ulteriore ha fatto poi Fini esprimendo la sua fondamentalistica valutazione morale del fascismo italiano, proprio in occasione della visita in quello stato di Israele che esponenti lucidi e coraggiosi dello stesso ebraismo indicano quale principale beneficiario di ciò che non hanno esitato a definire industria dell’Olocausto.

Un’industria che, al di là dei benefici economici per le organizzazioni sioniste internazionali documentati da Norman Finkelstein, (si veda il contributo n. 2) dimostra di essere una complessa e intelligente operazione con cui sono state poste sotto ricatto dallo stato di Israele le principali classi dirigenti europee, dopo la caduta del muro di Berlino: dalla Germania alla Russia, a molti paesi est europei, in primis la Polonia.

È evidente come questa posizione italiana sarà percepita dai Paesi e dai popoli arabi, e come venga a rompere definitivamente quell’equilibrio bene o male conservato nel dopoguerra con quei Paesi e quei popoli, a partire dall’esperienza politico-economica di Enrico Mattei.

Non basta: con le parole di Fini il nostro Paese ha compiuto anche un terzo passo indietro, su di un piano che non coinvolge solo la storia dell’Italia, la sua struttura morale e la sua collocazione internazionale.

Le sue affermazioni in Palestina sanciscono nella maniera più ufficiale possibile una scelta di campo, totalmente sbilanciata a favore del potere oggi dominante a livello mondiale, rappresentato dall’asse mondo anglosassone – integralismo israeliano: ma tale scelta viene fatta da un Paese come l’Italia che, nel secondo dopoguerra, non mai potuto né saputo sviluppare una vera linea politica internazionale, non è dotata di un proprio autonomo peso militare nel Mediterraneo, non è libera nelle sue strategie economiche.

Così questa scelta non può avere altro valore che quello di un semplice allineamento alla politica dei vincitori del momento, con effetti, rispetto alla nostra identità e sovranità nazionale, che sono già risultati immediatamente chiari da notizie di stampa: stiamo già diventando, proprio nella fase di maggiore distacco della presenza statunitense dall’Europa continentale, la loro più forte base logistica, militare e di intelligence (si veda il contributo n. 3) in Europa e nel Mediterraneo.

Con conseguenze sulla nostra indipendenza nazionale ben note a chi ha studiato la storia dell’influenza statunitense in Europa occidentale, America Latina, Medio ed Estremo Oriente, Africa.

A chi conosce un po’ la storia del Msi e di An, non risulta strano che proprio chi parla tanto di Nazione e di Patria (e si fa votare per questo), stia in realtà operando al suo definitivo assoggettamento: è la medesima condizione degli anni Settanta quando, dietro le proclamazioni nazionalistiche, quel partito era in realtà uno fra gli strumenti più affidabili dei poteri forti e dello Stato invisibile atlantico.

Come le strategie di allora hanno portato all’assassinio di decine di italiani innocenti ed inconsapevoli in attentati stragisti, portano oggi all’uccisione di diciotto italiani, innocenti in quanto obbligati per scelta a prestare obbedienza e certo inconsapevoli della vera strategia di cui sono strumento.

Per queste ragioni non si può riconoscere il diritto a Fini di giudicare la storia italiana e tanto meno, né in Palestina né in Italia, di dire chi sia e dove stia il male assoluto.

LA REDAZIONE, 29 novembre 2003

Print Friendly, PDF & Email